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Graffiti ai tempi dell’Inquisizione

L’arte grafica degli inquisiti

di Giuseppe Nativo

Cella con graffito raffigurante un signore che prega Palazzo Chiaramonte, Palermo

Pacienza/ Pane, e tempo.

 

Queste le parole che – graffite sul muro di una cella del palazzo Chiaramonte, sede del Tribunale della Santa Inquisizione siciliana di rito spagnolo, nella Palermo del XVII secolo – Giuseppe Pitrè riesce a decifrare nel lontano 1906. Si trovano lì, ammutolite dal tempo ma ancora vive e pregne di significato. Segni,   parole di disperazione, di paura, di avvertimento, di preghiera, di cose ricordate o sognate.

Dello stesso stile dovevano probabilmente essere i graffiti presenti sulle pareti delle antiche celle seicentesche del castello di Modica, capitale della Contea, probabilmente opera dei carcerati, delle quali ne rimane ancora oggi una modesta traccia. Figure sbiadite dall’ingiuria del tempo che tornano dal passato.

Le poche fonti documentarie che tracciano la storia del castello di Mohac (così era anche indicata Modica nel corso del XVI secolo) testimoniano la presenza di variegati locali adibiti a carcere, diversificati a seconda della tipologia dei condannati. Tra queste carceri particolarmente terribili erano le fosse baronali, locali sotterranei angusti, privi di luce e umidi coperti da un lastrone a cui si accedeva attraverso un’apertura cilindrica scavata nel terreno. In esse il condannato veniva calato, incatenato mani e piedi, per scontare la pena nelle tenebre, tra gli insetti, la sporcizia e mangiando il pane del dolore.

Una delle pene più severe era quella del “murus”, ossia della prigione che si distingueva in murus largus ossia prigione semplice e murus strictus ossia prigione con la catena ai piedi. In entrambi i casi il prigioniero veniva nutrito a pane ed acqua. Le prigioni erano costruite con il maggior risparmio possibile di spesa e di spazio; celle piccole, strette ed oscure per contenere pochi prigionieri. Si aveva cura che il rigore della detenzione non fosse tale da estinguere la vita del detenuto, ma, ciò nonostante, si verificava una mortalità eccessiva.

Le prigioni utilizzate dall’Inquisizione – come quelle scoperte a Palermo a palazzo Steri, sede del “santo” Tribunale – racchiudevano, ciascuna, sei od otto persone. Nelle celle sotterranee, lunghe dodici piedi e larghi otto circa, vi era da un lato un tavolato e dall’altro uno strato di paglia lungo quanto il carcere e largo metà. Una parte dei prigionieri quindi giaceva sul suolo,mentre l’altra su quei “soffici” letti. In un angolo vi era ricavata una fossa utilizzata come latrina, che veniva svuotata con cadenza settimanale. Ciò rendeva l’atmosfera – già umida per la profondità, per l’alito stesso dei carcerati e per la poca luce – pessima oltre che miasmatica, appena respirabile, a causa del gas ammoniacale di cui era gravida. 

Cella con  graffito intriso di simbolismo iconografico Palazzo Chiaramonte, Palermo

 

Eppure, malgrado tali condizioni per nulla igieniche, l’animo immortale di uno dei condannati ha lasciato dei versi che, con uno stile ed una intonazione malinconica, come lacrime di un cuore inconsolabile al pensiero di essere rinchiuso in una tetra prigione, così recitano:

Nun ci nd’è nu scuntenti comu mia/ Mortu, e nun pozzu la vita finiri./ Fortuna cridi ch’immortali io sia;/ Chi si murissi nun duvria patiri,/ Pirchì cu la mia morti cissiria/ La dogghia e l’infiniti mei martiri./ Per fari eterna la memoria mia/ Nta tanti stenti nun mi fa muriri.

Giuseppe Nativo

L’Autore, Giuseppe Nativo, 44 anni, vive e opera a Ragusa. Ha condotto ricerche su problemi socio-demografici del territorio ibleo e studi storico-archivistici riguardanti la Sicilia del XVI secolo, nonché su tematiche medievali e rinascimentali. Attualmente è impegnato a ricostruire la biografia dell’illustre giureconsulto chiaramontano u.j.d. Ioannes Antonius Cannetius, la cui attività, negli anni ’50 e ’60 del Cinquecento, fu oggetto di attenzione da parte della Santa Inquisizione locale. Collabora alle testate locali Pagine dal Sud, La Provincia di Ragusa, Insieme, Dialogo e Bohémien (mensile di Acireale, Siracusa e Ragusa). “Le Ali di Ermes” ospita altri suoi interessanti articoli di carattere storico, “Aspetti culturali della Sicilia dell’Età Moderna”, “L’Inquisizione in Sicilia” e “Streghe: eretiche o erboriste?”.

Chi volesse contattarlo, può scrivergli al seguente indirizzo e-mail: giusnati@tin.it

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