sito web:
www.centroyogashanti.org
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“Il
tuo Sé è il maestro supremo. L’insegnante che incontri fuori di te
è solo una pietra miliare. Solo il tuo maestro interiore camminerà con
te fino alla meta, perché egli è la Meta.”
Sri
Nisargadatta Maharaj
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GRAZIE
A TUTTI I MIEI INSEGNANTI CHE MI HANNO SEMPRE INDICATO LA VIA
di Pina Bizzarro
Qualcuno di voi mi ha chiesto più volte che fine ha fatto il nostro
“giornalino”? Di certo non l’ho dimenticato ma i moltissimi
impegni mi hanno fatto rimandare di mese in mese questo importante
appuntamento e approfondimento con tutti voi. Questo strumento è nato
per completare la nostra pratica con riflessioni, condivisioni e nozioni
teoriche; vuole essere come un filo, che crea un contatto tra me e voi e
rinnovo ancora una volta il mio invito a tutti gli allievi per
condividere la loro esperienza con tutti noi scrivendo qualche rigo su
questi fogli.
Informo coloro (i pochissimi) che ancora non ne sono a conoscenza che da
questo mese sono un’insegnante riconosciuta dalla FEDERAZIONE ITALIANA
YOGA, poiché ho superato l’esame finale che ha concluso il percorso
dei 4 anni dell’ISFIY (Istituto Superiore di Formazione Insegnanti
Yoga) a Roma. A ottobre mi sarà consegnato il fatidico “pezzo di
carta” con il prestigioso bollino europeo a simboleggiare che questo
diploma è riconosciuto dall’Unione Europea di Yoga e a partire dal
prossimo anno farò parte anch’io dell’Albo insegnanti della FIY.
Quando 4 anni fa mi sono iscritta in questa scuola pensavo a questo
giugno 2005 come una meta davvero lontana, quasi non dovesse mai
arrivare. Invece questi 4 anni sono volati a dimostrazione di come il
tempo è una rappresentazione mentale.
Ho vissuto ogni viaggio verso Roma come un viaggio verso me stessa, ogni
volta con gioia e non come un sacrificio; la gioia di apprendere mi
ripagava sempre dai vari imprevisti, (scioperi di treni o aerei,
difficoltà a lasciare da sola la mia mamma, i non pochi problemi
economici, ecc) e ogni volta che ritornavo le mie lezioni diventavano
sempre più ricche, più intense perché riscoprivo in me quegli
insegnamenti che immediatamente venivano riversati nei nostri incontri.
E’ mio desiderio ringraziare e dedicare questo diploma a tutti gli
insegnanti che ho avuto nella mia vita.
Ritaglio simbolicamente questo diploma per donarlo a tutti loro poiché
è anche grazie a loro che sento di percorrere il giusto sentiero.
Ricordo appena il volto di quella mia prima insegnante di Yoga,
incontrata quasi per caso 15 anni fa, che mi fatto scoprire la bellezza
di questa antica disciplina nell’ambito di una vacanza naturista nei
pressi di Perugia.
Ricordo le sere che si concludevano con canti e mantra: suoni per me sconosciuti che mi evocarono
qualcosa di sacro e antico. Conservo nel mio cuore la luce di
quelle mattine quando al sorgere del sole ci si ritrovava in un cortile
esterno per eseguire il “Saluto
al sole”; è stato in quel contesto che mi resi conto di quanto la
mia mente e il mio corpo non erano affatto in perfetta sintonia e da qui
la necessità di un lavoro costante che consentisse questa graduale
reintegrazione.
E dal quel primo approccio ho avuto poi altri insegnanti che mi hanno
seguita in periodi diversi. Mi hanno fatto capire l’importanza della
meditazione, dello studio dei testi Sacri. Ho scoperto i suoni, i colori
e i sapori dell’India e mi è stato insegnato l’importanza della
semplicità, del sorriso, della gentilezza e dell’umiltà.
Altre insegnanti mi hanno trasmesso l’importanza delle regole e della
disciplina, mi hanno fatto da specchio mettendomi sempre di fronte a me
stessa per costringermi a vedere ciò che di me non volevo vedere e con
il loro esempio mi hanno dato la forza, la determinazione e la fierezza
per procedere a testa alta in questa via e nella mia vita.
E ovviamente un ringraziamento speciale va a tutti gli insegnanti
dell’ISFIY di Roma che mi hanno dato gli strumenti fondamentali per
trasmettere con serietà e professionalità questa disciplina, tenendo
conto della tradizione dei Maestri. Li ringrazio per quel necessario
rigore che consente di crescere davanti a ogni difficoltà.
Ma questo diploma è anche in verità un po’ di tutti voi perché io
ho visto sempre i miei allievi come gli insegnanti più attenti e
severi. E’ grazie a voi che il mio studio è diventato pratico e
concreto uscendo da quel guscio astratto e teorico ed è grazie a voi
che rimane vivo in me lo stimolo per imparare e migliorarmi sempre di più.
Spero sempre di onorare i mie insegnanti e di essere sempre
all’altezza dei miei allievi.
A
tutti GRAZIE DI CUORE per
il vostro sostegno.
Om Shanti
Pina Bizzarro
Giugno 2005
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Palasport
di Parco Ruffini a Torino. Lo staff organizzativo stava sistemando i
fiori che ogni partecipante aveva portato con se.
Prima
della cerimonia ho approfittato per una foto ricordo
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LA
PARTECIPAZIONE AL WESAK
Il mio percorso spirituale è stato segnato certamente dalla lettura
di un libro di Giuditta Dembech dal titolo “Quinta
dimensione”. Stavo attraversando un periodo di profondo
materialismo e solo grazie alla semplicità e alla chiarezza di Giuditta
ho compreso il significato di alcune tematiche spirituali. Ho visto con
una luce diversa le figure angeliche, i messaggi dei Maestri,
l’importanza della ritualità, ecc. Già da allora (parlo di circa 16
anni fa) mi incuriosiva una cerimonia antica chiamata Wesak che in quel
libro era sinteticamente descritta.
Quest’anno, nonostante i vari impegni, la tesi e gli esami, ad Aprile
solo volata a Torino per partecipare personalmente a questa importante
meditazione di gruppo (erano presenti circa 3000 persone) e ho avuto
finalmente il piacere e l’onore di abbracciare Giuditta.
Lei è stata gentilissima, mi ha addirittura prenotato la stanza in
albergo e procurato un passaggio per arrivarci. E’ stata
un’ulteriore conferma al fatto che i grandi personaggi sono sempre le
persone più semplici e gentili.
Vi invito a visitare il suo sito: www.giudittadembech.it |
Cos’è
il Wesak?
(tratto
dal libro di Giuditta Dembech “Conoscere il Wesak”*)
Ci sono giorni particolari sulla Terra, giorni sacri in cui la divinità,
sotto multiformi aspetti si piega ad incontrare i suoi figli minori, noi
viventi, le sue creature meno felici, intrappolate in corpi di carne.
La Divinità in quei giorni si avvicina per portarci il conforto della
Sua presenza. Quasi sempre si tratta di “feste mobili”, collegate ai
pleniluni e stranamente vicine fra loro.
Festa mobile antichissima è la Pasqua ebraica, il “Pesach”, a
ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Festa mobile è il
“Ramadan” islamico che festeggia la notte sacra ed il lungo periodo
in cui il Corano fu manifestato a Maometto e fatto discendere sulla
Terra.
Festa mobile è anche la Pasqua Cristiana di Resurrezione; forse neppure
tutti i Cristiani sanno che è legata al Plenilunio, infatti si celebra
la domenica successiva al Plenilunio nella costellazione dell’Ariete.
Festa mobile è appunto il Wesak. E’ un momento fondamentale per il
mondo buddista, anche se il buddismo, come il cristianesimo è
frammentato in centinaia di correnti, tutte simili eppure diverse.
Ma, aldilà delle separazioni esteriori, il Wesak si celebra per
pacificare ed unificare poiché è una grande occasione di crescita
spirituale per tutti gli esseri viventi. In questa “festa mobile”
l’umanità ha la possibilità di ricevere la benedizione congiunta del
Buddha, del Cristo e dei grandi Maestri Spirituali, quegli Esseri
Illuminati che da sempre vegliano per guidare l’evoluzione spirituale
del pianeta.
A primavera inoltrata, nella notte del plenilunio nella costellazione
del Toro, il pianeta vive un grande evento che si verifica sui piani
spirituali, ma anche in quelli materiali e visibili.
Una festa di Luce. Anche
se si parlerà molto spesso del Buddha, questo grande evento appartiene
a tutti gli uomini della Terra, a qualunque razza e a qualunque
religione essi appartengano, poiché l’umanità intera è affratellata
in un’unica e immensa benedizione.
Tutti coloro che vi prendono parte, anche solo collegandosi col
pensiero, con il desiderio di esserci, è come se fossero realmente
presenti, ricevono la propria parte di
Luce; ma per potervi partecipare con piena coscienza è
innanzitutto necessario esserne informati.
E’ il motivo principale per cui queste pagine vengono scritte;
l’intento è quello di gettare dei semi affinché in occidente se ne
parli sempre più spesso.
Un luogo sacro. Dobbiamo
spostarci nell’Himalaya, in una zona impervia fra la catena del
Karakorum e quella del Kun Lun, alle pendici del monte Kailash,
l’ombelico del mondo, uno dei luoghi più sacri del pianeta.
Apparentemente, le asperità del percorso e la sacralità del luogo
hanno tagliato fuori quest’area dai sentieri battuti dal trekking
estremo. Anche Messner ha deciso di non scalarlo in segno di rispetto,
ma in effetti, il luogo della Celebrazione annuale, una piccola valle,
è protetto dalle Guide Spirituali, e proprio per questo è rimasto
inviolato da parte dei visitatori, esploratori e curiosi, conservando
intatta la sua sacralità.
Dunque, in una piccola valle su un altopiano in quota, la cui ubicazione
permane segreta a chi non
deve arrivarci, si celebra annualmente un importante rito sacro, e molte
migliaia di persone si mettono in viaggio da tutto il vasto continente
indiano per presenziarvi.
(continua sul prossimo numero di “Shanti Magazine”)
*Giuditta Dembech, “Conoscere il Wesak”,
pagg.101,
ed.
L'Ariete |
YAMA
e NYAMA: Le norme morali alla base dello Yoga
Abbiamo
più volte sottolineato che lo Yoga, nella concezione classica di
Patanjali si compone di otto parti, o membra (anga).
Essi sono: Yama (le astinenze),
Nyama (le osservanze), Asana (le posizioni), Pranayama (tecniche di
controllo e aumento dell’energia vitale, principalmente attraverso il
respiro), Pratyahara ( la ritrazione della mente dagli oggetti dei
sensi), Dharana (la concentrazione mentale su un solo oggetto), Dhyana
(meditazione), Samadhi (en-stasi mistica: è lo stadio supremo nel quale
la dimensione umana viene trascesa e si realizza l’Assoluto).
Patanjali, Yogasutra, II-29
Solo
una pratica costante e progressiva dei vari anga
possono portare ad un effettivo progresso.
Patanjali
indica dunque una via, sicura e sperimentata e smentisce tutti coloro
che pensano di prendere scorciatoie (pagando ovviamente un certo
“pedaggio”!) che portano direttamente alla meditazione o addirittura
al Samadhi. Invito tutti a riflettere seriamente sul fatto che l’uomo
ordinario deve necessariamente partire dalla base e nessuno
può in un fine settimana aprire i Chakra
o conferire qualità straordinarie a qualcun altro. Se tra di voi c’è
chi può concretamente dimostrarmi il contrario sarò felice di
prenderne atto.
Come
debbono essere praticati i vari stadi? E’ indispensabile la
sequenzialità o essi sono indipendenti l’uno dall’altro? E’
possibile saltarne qualcuno?
A
questi quesiti risponde un brano tratto dal commento ai Sutra di I.K.
Taimni: “L’impiego del termine
anga, che significa membra, implica che essi vanno concepiti come parti
relazionate ma non consecutive; ma il modo nel quale Patanjali si è
occupato di essi nel testo mostra che possiedono una certa sequenzialità.
Chiunque esamini attentamente la natura di questi elementi non mancherà
di vedere che hanno riferimento l’uno all’altro in modo preciso e
che si susseguono naturalmente nell’ordine in cui sono elencati.
Nell’esercizio sistematico dello Yoga superiore, pertanto, essi vanno
presi nel senso di stadi successivi, e si dovrà aderire il più
possibile all’ordine nel quale sono dati. Ma, potendo un sadaka
(adepto) impiegare per i propri esercizi qualunque degli anga senza
seguire strettamente questa sequenza, tali membri potranno pure venire
considerati in qualche misura indipendenti”.
Per chi
si dedica seriamente a praticare lo Yoga deve tener conto che benché i
vari anga possono essere considerati in qualche modo autonomi, è
impensabile giungere, ad esempio a Dhyana, senza praticare Yama e Nyama.
Come si può ottenere il controllo della mente se prima non si è
perfettamente dominato, fino ad averli completamente trascesi,
l’istinto alla violenza, all’attaccamento, alla lussuria, ecc.?
Questo
non vuol dire che non è possibile lo sviluppo o il perfezionamento di
più stadi contemporaneamente, soprattutto se ci riferiamo ai primi
cinque livelli. Non vi è contraddizione nel praticare gli asana mentre
si perfezionano Yama e Nyama.
Gli
ultime tre anga (dharana, dhyana e samadhi) possono essere considerati
come l’affinamento progressivo di un’unica tecnica che si chiama Samyama.
La
conoscenza e l’applicazione di Yama e Nyama è di fondamentale
importanza poiché sono le qualità essenziali per poter progredire
sulla via dello Yoga.
In
molti corsi di Yoga purtroppo questi principi non vengono nemmeno citati
poiché si danno per scontato o vengono trascurati perché ritenuti
noiosi. Alcuni di coloro che praticano lo Yoga sono spesso affascinati
dalle componenti esoteriche della disciplina: la meditazione, il
distacco, le siddhi, i poteri straordinari ad essa connessi, un tempo
gelosamente custoditi e rivelati solo agli iniziati, mentre oggi, in
gran parte, non sono più segreti. Parlare a costoro di astensioni,
austerità, pratiche spesso umili e noiose non farebbe che allontanarli
dalla disciplina, e dove l’insegnamento dello Yoga è divenuto un puro
fatto economico, un sistema per “far soldi”, non è forse il caso di
insistere oltre misura su questi principi così scomodi e distanti dalla
mentalità corrente.
Spesso
leggendo racconti o bibliografie di alcuni Yogi indiani o Tibetani, si
incontrano figure secondarie che apparentemente dispongono di notevole
saggezza e grandi poteri pur non rinunciando a condurre una vita
normale, simile alla nostra, mantenendo l’attaccamento alle proprietà,
all’io, al sesso, alle comodità: sembrerebbe che pur procedendo sulla
strada dello Yoga, non sia necessario esercitare un rigore morale così
rigido come quello esposto da Patanjali.
Leggiamo
ancora cosa ci dice Taimni a riguardo: “Vi è poi una classe di yogi che hanno decisamente intrapreso il
sentiero “della mano sinistra”, e che sono detti “fratelli
d’ombra”. Possiedono poteri di vario tipo, sono privi di scrupoli e
pericolosi, sebbene all’esterno possano adottare una modalità di vita
che li fa sembrare pii. Ma chiunque possieda un’intuizione sviluppata
può localizzare queste persone e distinguerle rispetto ai seguaci del
sentiero “della mano destra” per la loro tendenza alla crudeltà,
alla mancanza di scrupoli e alla presunzione.
L’obiettivo
del sadaka non è lo sviluppo di poteri che possano venire impiegati per
autogratificazione o soddisfazione della propria presunzione; sul
sentiero dello Yoga superiore, è essenziale una moralità di ordine
elevatissimo; e non si tratta di una moralità di tipo convenzionale”.
Queste
affermazioni che appaiono così categoriche non vogliono escludere che
vi siano vie più moderate nell’osservanza di Yama e Nyama, e non
necessariamente è richiesto un totale abbandono dei valori mondani; ma
avvisano semplicemente i cultori dell’astanga Yoga che non vi può
essere un progresso significativo nella disciplina che hanno intrapreso,
nel sentiero verso la liberazione, se non seguendo le indicazioni di
questi precetti fondamentali.
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Yama
e Nyama
Yama e Nyama, come già
anticipato, corrispondono alle astensioni e alle osservanze.
“I voti di astinenza -“Yama”- comprendono
l’astenersi dalla violenza (Ahimsa),
dalla falsità (Sathya), dal
furto (Asteya),
dall’incontinenza (Brahmacharya)
e dall’avidità (Aparigraha)”.
Patanjali, Sadhana Pada, II-30.
“La purezza del corpo e della
mente (Sauca), l’appagamento,
esser contenti di ciò che si è e si ha (Samtosa),
l’austerità (Tapas), lo
studio di sé (Svadhyaya),
l’abbandono a Dio (Isvara-pranidhana)
costituiscono le cinque osservanze –Nyama-”. Patanjali,
Sadhana Pada, II-32.
La
straordinaria sinteticità e precisione di Patanjali condensa in soli due
versetti il fondamento della vita Yoga.
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ALLA
RICERCA DELLA PACE MENTALE
(tratto dal libro “Scuola di Yoga”
di Roop Lal Sandhu*)
Il termine Yoga trae la sua origine
dalla radice sanscrita yuj,
che significa “unire, legare
insieme, aggiogare”. Si tratta infatti di una disciplina il cui
scopo consiste nel “legare insieme” le funzioni e le energie psico-fisiche
dell’individuo sottraendole a quella dispersione cui sono sottoposte
nella vita ordinaria.
E’ sufficiente un modesto grado di introspezione per renderci conto di
come soprattutto la nostra vita psichica si svolga all’insegna della
dispersione e della molteplicità. Senza tregua la nostra mente è
attiva: ricordi, progetti, attese, emozioni positive e negative, gli
stati mentali più eterogenei si avvicendano incessantemente. La vita
stessa, con il quotidiano impegno che ci richiede, impone questo fervore
tumultuoso, al quale però talvolta vorremmo sottrarci, sia pure per
poco, così da ritrovare quell’io reale che alberga nel profondo in
ciascuno di noi, colui che pur nella molteplicità delle forme mentali,
ne è l’impertubato testimone, colui che “non agisce e non patisce
macchia”.
Se prendiamo in esame una qualunque giornata della nostra esistenza
quotidiana ci rendiamo conto facilmente di come, ad esempio, è
cangiante il nostro stato d’animo a seconda dei diversi rapporti umani
che dobbiamo affrontare. Nel corso del tempo molti “io” differenti o
addirittura opposti si susseguono l’uno all’altro: ora impersoniamo
la dolcezza, ora predomina l’aggressività, ora l’entusiasmo ci
prende la mano e ci sentiamo di affrontare e condurre in porto i compiti
più gravosi. Ecco allora che il nostro io è entusiasmo, è fiducia,
in un’identificazione totale con uno stato d’animo che sembra
coinvolgere tutto il nostro essere. Ma all’improvviso si verifica una
contrarietà, oppure un disturbo fisico, magari di poco conto, che viene
a importunarci: un repentino mutamento di umore e tutto a un tratto ci
sentiamo depressi, sfiduciati, sicchè ciò che poco prima ci sembrava
semplice e facile appare ora irto di difficoltà insormontabili.
MASCHERE
SOCIALI
Qualcuno potrebbe rifiutarsi di riconoscere se stesso in questa analisi,
ritenendo di essere “tutto d’un pezzo”. Certo non siamo tutti
uguali: vi sono persone il cui animo è più mutevole, la cui emotività
è più fragile, sicchè la loro vita è come una di quelle giornate
primaverili, caratterizzate dal tempo variabile, quando stormi di nubi
corrono incessantemente attraverso il cielo e il sole appare e scompare
ad ogni istante. Altre persone, quelle di cui si dice che “hanno
carattere”, sono meno soggette a questa variabilità di umore: ma sta
di fatto che tutti, chi più chi meno, sperimentiamo quotidianamente
l’influenza delle circostanze esterne sul nostro stato psico-fisico.
Anche colui che ha la rassicurante sensazione di essere tutto d’un
pezzo si accorgerà, a un più attento esame, di possedere il suo
bagaglio di “maschere”: maschere sociali, che indossa o dismette a
seconda del ruolo che gli compete nei vari momenti della vita di tutti i
giorni. Siamo forse gli stessi quando trattiamo con superiori o con
sottoposti, con amici e familiari, oppure con estranei? Al contrario, il
nostro atteggiamento muta e ci adeguiamo, in maniera più o meno
conscia, alle esigenze dei diversi rapporti umani. Questa multiformità
non è in sé un male: è anzi il presupposto di una vita sociale
accettabile. Il vero pericolo è di non riuscire più a veder chiaro in
noi stessi, confondendo, ad esempio, il nostro io reale con una delle
maschere, magari con quella che ci imponiamo più sovente e con la quale
ci siamo così identificati da non essere più capaci di riconoscere
quali realmente siamo.
Vediamo dunque che a tal punto siamo tutt’uno con la multiforme
attività estroversa della nostra mente, sollecitata dalle necessità
della vita pratica, che ci diviene impossibile, senza l’aiuto di una
tecnica specifica, realizzare a comando la soppressione controllata
degli stati mentali in vista di uno stato di coscienza superiore.
Talvolta ci sforziamo di realizzare quel vuoto della mente che ci
permetterebbe di cogliere il nostro io profondo, saldo in se stesso
nella sfera dell’Essere, sottratto al volubile gioco del divenire e
del molteplice. La mente però si ribella alla forzata inattività che
tentiamo di imporle, i pensieri che ci sforziamo di cacciare si fanno più
insistenti, il corpo stesso
diviene una presenza molesta: avvertiamo la tensione che vi alberga,
necessaria forse per affrontare le piccole e grandi battaglie della vita
quotidiana, ma di cui non riusciamo più a sbarazzarci quando vorremmo
farne a meno.
Ci rendiamo conto, allora, di non essere veramente liberi. Anche se
nessuna costrizione esterna ci condiziona, siamo tuttavia sottoposti
all’inquieto tumulto delle nostre emozioni, al disordinato errare dei
nostri pensieri, al gioco delle parti della vita di tutti i giorni, alle
molestie che ci procura il nostro corpo, sia quando “somatizziamo”
ansie e tensioni, sia quando esso si ribella a uno stile di vita
innaturale quale per lo più gli imponiamo.
Lo Yoga ha l’ambizione di offrirsi come rimedio efficace per coloro
che avvertono il disagio derivante da questa incapacità di ritornare al
proprio centro. Esso infatti si presenta come una via di realizzazione
che, avvalendosi di tecniche appropriate, conduce l’individuo al
dominio della propria unità psicofisica attraverso un allenamento
progressivo. “Anche poco di questo retto procedere”, dice la Bhagavadgita, “libera da grande paura”.
(continua
sul prossimo numero di “Shanti Magazine”)
*Roop Lal Sandhu, “Scuola di Yoga”, Magnanelli
Edizioni, Torino
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L’appuntamento con Shanti Magazine e la ripresa delle lezioni è
per settembre. Auguro a tutti vacanze serene e non dimenticate il nostro
appuntamento estivo “Yoga in
spiaggia” fissato per il 22 luglio (contattatemi per avere tutti i
particolari). Vi ricordo che potete trovare aggiornamenti su questo sito
e già che in internet visitate anche
www.movimentoconsensus.org
, dove troverete tante
informazioni utili che in televisione non ci danno!
E’ doveroso fare un augurio speciale alla nostra amica Enza B. che il
18 giugno è diventata mamma del piccolo Diego. Lei stessa mi ha
telefonato qualche giorno dopo il lieto evento raccontandomi di aver
avuto un parto velocissimo e praticamente indolore. Medici e Ostetriche
si sono complimentati per la sua respirazione perfetta e per un buon
controllo delle sue emozioni e del suo corpo anche nelle fasi più
delicate del parto. Mi ha confessato che lei stessa si è stupita di
tale tranquillità e attribuisce tutto questo a quello che ha assorbito nei pochi mesi in cui
ha frequentato i miei corsi (ha fatto lezione fino al 14 giugno!!).
Desidero
dedicare al piccolo Diego gioia, pace, salute e lunga vita. Questi
versi di R. Tagore sono per lui:
“Ecco
in tenero corpo un bambino apre nuovi occhi!
Sapete
voi chi si prenderà la sua responsabilità?
Colui
che culla il mondo e fa emanare raggi d’oro lo poserà in braccio
al
sole, alla luna e alle stelle.
Ecco
in tenero corpo un bambino apre nuovi occhi”
Pina
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Questa pagina è pubblicata a cura del “Centro Yoga Shanti”
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