Shanti Magazine Luglio 2005

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sito web: www.centroyogashanti.org

“Il tuo Sé è il maestro supremo. L’insegnante che incontri fuori di te è solo una pietra miliare. Solo il tuo maestro interiore camminerà con te fino alla meta, perché egli è la Meta.”

                       Sri Nisargadatta Maharaj

GRAZIE A TUTTI I MIEI INSEGNANTI CHE MI HANNO SEMPRE INDICATO LA VIA

                                                                                   di Pina Bizzarro

     Qualcuno di voi mi ha chiesto più volte che fine ha fatto il nostro “giornalino”? Di certo non l’ho dimenticato ma i moltissimi impegni mi hanno fatto rimandare di mese in mese questo importante appuntamento e approfondimento con tutti voi. Questo strumento è nato per completare la nostra pratica con riflessioni, condivisioni e nozioni teoriche; vuole essere come un filo, che crea un contatto tra me e voi e rinnovo ancora una volta il mio invito a tutti gli allievi per condividere la loro esperienza con tutti noi scrivendo qualche rigo su questi fogli.

     Informo coloro (i pochissimi) che ancora non ne sono a conoscenza che da questo mese sono un’insegnante riconosciuta dalla FEDERAZIONE ITALIANA YOGA, poiché ho superato l’esame finale che ha concluso il percorso dei 4 anni dell’ISFIY (Istituto Superiore di Formazione Insegnanti Yoga) a Roma. A ottobre mi sarà consegnato il fatidico “pezzo di carta” con il prestigioso bollino europeo a simboleggiare che questo diploma è riconosciuto dall’Unione Europea di Yoga e a partire dal prossimo anno farò parte anch’io dell’Albo insegnanti della FIY.

     Quando 4 anni fa mi sono iscritta in questa scuola pensavo a questo giugno 2005 come una meta davvero lontana, quasi non dovesse mai arrivare. Invece questi 4 anni sono volati a dimostrazione di come il tempo è una rappresentazione mentale.

     Ho vissuto ogni viaggio verso Roma come un viaggio verso me stessa, ogni volta con gioia e non come un sacrificio; la gioia di apprendere mi ripagava sempre dai vari imprevisti, (scioperi di treni o aerei, difficoltà a lasciare da sola la mia mamma, i non pochi problemi economici, ecc) e ogni volta che ritornavo le mie lezioni diventavano sempre più ricche, più intense perché riscoprivo in me quegli insegnamenti che immediatamente venivano riversati nei nostri incontri.

     E’ mio desiderio ringraziare e dedicare questo diploma a tutti gli insegnanti che ho avuto nella mia vita.

     Ritaglio simbolicamente questo diploma per donarlo a tutti loro poiché è anche grazie a loro che sento di percorrere il giusto sentiero.

     Ricordo appena il volto di quella mia prima insegnante di Yoga, incontrata quasi per caso 15 anni fa, che mi fatto scoprire la bellezza di questa antica disciplina nell’ambito di una vacanza naturista nei pressi di Perugia.

     Ricordo le sere che si concludevano con canti e mantra:  suoni per me sconosciuti che mi evocarono  qualcosa di sacro e antico. Conservo nel mio cuore la luce di quelle mattine quando al sorgere del sole ci si ritrovava in un cortile esterno per eseguire il “Saluto al sole”; è stato in quel contesto che mi resi conto di quanto la mia mente e il mio corpo non erano affatto in perfetta sintonia e da qui la necessità di un lavoro costante che consentisse questa graduale reintegrazione.

     E dal quel primo approccio ho avuto poi altri insegnanti che mi hanno seguita in periodi diversi. Mi hanno fatto capire l’importanza della meditazione, dello studio dei testi Sacri. Ho scoperto i suoni, i colori e i sapori dell’India e mi è stato insegnato l’importanza della semplicità, del sorriso, della gentilezza e dell’umiltà.

     Altre insegnanti mi hanno trasmesso l’importanza delle regole e della disciplina, mi hanno fatto da specchio mettendomi sempre di fronte a me stessa per costringermi a vedere ciò che di me non volevo vedere e con il loro esempio mi hanno dato la forza, la determinazione e la fierezza per procedere a testa alta in questa via e nella mia vita.

     E ovviamente un ringraziamento speciale va a tutti gli insegnanti dell’ISFIY di Roma che mi hanno dato gli strumenti fondamentali per trasmettere con serietà e professionalità questa disciplina, tenendo conto della tradizione dei Maestri. Li ringrazio per quel necessario rigore che consente di crescere davanti a ogni difficoltà.

     Ma questo diploma è anche in verità un po’ di tutti voi perché io ho visto sempre i miei allievi come gli insegnanti più attenti e severi. E’ grazie a voi che il mio studio è diventato pratico e concreto uscendo da quel guscio astratto e teorico ed è grazie a voi che rimane vivo in me lo stimolo per imparare e migliorarmi sempre di più.

     Spero sempre di onorare i mie insegnanti e di essere sempre all’altezza dei miei allievi.

A tutti  GRAZIE DI CUORE per il vostro sostegno.

                                                                  Om Shanti               Pina Bizzarro

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Giugno 2005

 



Palasport di Parco Ruffini a Torino. Lo staff organizzativo stava sistemando i fiori che ogni partecipante aveva portato con se.

Prima della cerimonia ho approfittato per una foto ricordo

LA PARTECIPAZIONE AL WESAK

     Il mio percorso spirituale è stato segnato certamente dalla lettura di un libro di Giuditta Dembech dal titolo “Quinta dimensione”. Stavo attraversando un periodo di profondo materialismo e solo grazie alla semplicità e alla chiarezza di Giuditta ho compreso il significato di alcune tematiche spirituali. Ho visto con una luce diversa le figure angeliche, i messaggi dei Maestri, l’importanza della ritualità, ecc. Già da allora (parlo di circa 16 anni fa) mi incuriosiva una cerimonia antica chiamata Wesak che in quel libro era sinteticamente descritta.

     Quest’anno, nonostante i vari impegni, la tesi e gli esami, ad Aprile solo volata a Torino per partecipare personalmente a questa importante meditazione di gruppo (erano presenti circa 3000 persone) e ho avuto finalmente il piacere e l’onore di abbracciare Giuditta.

     Lei è stata gentilissima, mi ha addirittura prenotato la stanza in albergo e procurato un passaggio per arrivarci. E’ stata un’ulteriore conferma al fatto che i grandi personaggi sono sempre le persone più semplici e gentili.

     Vi invito a visitare il suo sito: www.giudittadembech.it


Cos’è il Wesak?

(tratto dal libro di Giuditta Dembech “Conoscere il Wesak”*)

     Ci sono giorni particolari sulla Terra, giorni sacri in cui la divinità, sotto multiformi aspetti si piega ad incontrare i suoi figli minori, noi viventi, le sue creature meno felici, intrappolate in corpi di carne.

     La Divinità in quei giorni si avvicina per portarci il conforto della Sua presenza. Quasi sempre si tratta di “feste mobili”, collegate ai pleniluni e stranamente vicine fra loro.

     Festa mobile antichissima è la Pasqua ebraica, il “Pesach”, a ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Festa mobile è il “Ramadan” islamico che festeggia la notte sacra ed il lungo periodo in cui il Corano fu manifestato a Maometto e fatto discendere sulla Terra.

     Festa mobile è anche la Pasqua Cristiana di Resurrezione; forse neppure tutti i Cristiani sanno che è legata al Plenilunio, infatti si celebra la domenica successiva al Plenilunio nella costellazione dell’Ariete.

     Festa mobile è appunto il Wesak. E’ un momento fondamentale per il mondo buddista, anche se il buddismo, come il cristianesimo è frammentato in centinaia di correnti, tutte simili eppure diverse.

     Ma, aldilà delle separazioni esteriori, il Wesak si celebra per pacificare ed unificare poiché è una grande occasione di crescita spirituale per tutti gli esseri viventi. In questa “festa mobile” l’umanità ha la possibilità di ricevere la benedizione congiunta del Buddha, del Cristo e dei grandi Maestri Spirituali, quegli Esseri Illuminati che da sempre vegliano per guidare l’evoluzione spirituale del pianeta.

     A primavera inoltrata, nella notte del plenilunio nella costellazione del Toro, il pianeta vive un grande evento che si verifica sui piani spirituali, ma anche in quelli materiali e visibili.

  Una festa di Luce. Anche se si parlerà molto spesso del Buddha, questo grande evento appartiene a tutti gli uomini della Terra, a qualunque razza e a qualunque religione essi appartengano, poiché l’umanità intera è affratellata in un’unica e immensa benedizione.

     Tutti coloro che vi prendono parte, anche solo collegandosi col pensiero, con il desiderio di esserci, è come se fossero realmente presenti, ricevono la propria parte di  Luce; ma per potervi partecipare con piena coscienza è innanzitutto necessario esserne informati.

     E’ il motivo principale per cui queste pagine vengono scritte; l’intento è quello di gettare dei semi affinché in occidente se ne parli sempre più spesso.

  Un luogo sacro. Dobbiamo spostarci nell’Himalaya, in una zona impervia fra la catena del Karakorum e quella del Kun Lun, alle pendici del monte Kailash, l’ombelico del mondo, uno dei luoghi più sacri del pianeta.

     Apparentemente, le asperità del percorso e la sacralità del luogo hanno tagliato fuori quest’area dai sentieri battuti dal trekking estremo. Anche Messner ha deciso di non scalarlo in segno di rispetto, ma in effetti, il luogo della Celebrazione annuale, una piccola valle, è protetto dalle Guide Spirituali, e proprio per questo è rimasto inviolato da parte dei visitatori, esploratori e curiosi, conservando intatta la sua sacralità.

     Dunque, in una piccola valle su un altopiano in quota, la cui ubicazione permane segreta  a chi non deve arrivarci, si celebra annualmente un importante rito sacro, e molte migliaia di persone si mettono in viaggio da tutto il vasto continente indiano per presenziarvi.

                                                                  (continua sul prossimo numero di “Shanti Magazine”)

*Giuditta Dembech, “Conoscere il Wesak”, pagg.101, ed. L'Ariete


   

YAMA e NYAMA: Le norme morali alla base dello Yoga

     Abbiamo più volte sottolineato che lo Yoga, nella concezione classica di Patanjali si compone di otto parti, o membra (anga). Essi sono: Yama (le astinenze), Nyama (le osservanze), Asana (le posizioni), Pranayama (tecniche di controllo e aumento dell’energia vitale, principalmente attraverso il respiro), Pratyahara ( la ritrazione della mente dagli oggetti dei sensi), Dharana (la concentrazione mentale su un solo oggetto), Dhyana (meditazione), Samadhi (en-stasi mistica: è lo stadio supremo nel quale la dimensione umana viene trascesa e si realizza l’Assoluto). Patanjali, Yogasutra, II-29

     Solo una pratica costante e progressiva dei vari anga possono portare ad un effettivo progresso.

     Patanjali indica dunque una via, sicura e sperimentata e smentisce tutti coloro che pensano di prendere scorciatoie (pagando ovviamente un certo “pedaggio”!) che portano direttamente alla meditazione o addirittura al Samadhi. Invito tutti a riflettere seriamente sul fatto che l’uomo ordinario deve necessariamente partire dalla base e nessuno può in un fine settimana aprire i Chakra o conferire qualità straordinarie a qualcun altro. Se tra di voi c’è chi può concretamente dimostrarmi il contrario sarò felice di prenderne atto.

     Come debbono essere praticati i vari stadi? E’ indispensabile la sequenzialità o essi sono indipendenti l’uno dall’altro? E’ possibile saltarne qualcuno?

     A questi quesiti risponde un brano tratto dal commento ai Sutra di I.K. Taimni: “L’impiego del termine anga, che significa membra, implica che essi vanno concepiti come parti relazionate ma non consecutive; ma il modo nel quale Patanjali si è occupato di essi nel testo mostra che possiedono una certa sequenzialità. Chiunque esamini attentamente la natura di questi elementi non mancherà di vedere che hanno riferimento l’uno all’altro in modo preciso e che si susseguono naturalmente nell’ordine in cui sono elencati. Nell’esercizio sistematico dello Yoga superiore, pertanto, essi vanno presi nel senso di stadi successivi, e si dovrà aderire il più possibile all’ordine nel quale sono dati. Ma, potendo un sadaka (adepto) impiegare per i propri esercizi qualunque degli anga senza seguire strettamente questa sequenza, tali membri potranno pure venire considerati in qualche misura indipendenti”.

     Per chi si dedica seriamente a praticare lo Yoga deve tener conto che benché i vari anga possono essere considerati in qualche modo autonomi, è impensabile giungere, ad esempio a Dhyana, senza praticare Yama e Nyama. Come si può ottenere il controllo della mente se prima non si è perfettamente dominato, fino ad averli completamente trascesi, l’istinto alla violenza, all’attaccamento, alla lussuria, ecc.?

     Questo non vuol dire che non è possibile lo sviluppo o il perfezionamento di più stadi contemporaneamente, soprattutto se ci riferiamo ai primi cinque livelli. Non vi è contraddizione nel praticare gli asana mentre si perfezionano Yama e Nyama.

     Gli ultime tre anga (dharana, dhyana e samadhi) possono essere considerati come l’affinamento progressivo di un’unica tecnica che si chiama Samyama.

     La conoscenza e l’applicazione di Yama e Nyama è di fondamentale importanza poiché sono le qualità essenziali per poter progredire sulla via dello Yoga.

     In molti corsi di Yoga purtroppo questi principi non vengono nemmeno citati poiché si danno per scontato o vengono trascurati perché ritenuti noiosi. Alcuni di coloro che praticano lo Yoga sono spesso affascinati dalle componenti esoteriche della disciplina: la meditazione, il distacco, le siddhi, i poteri straordinari ad essa connessi, un tempo gelosamente custoditi e rivelati solo agli iniziati, mentre oggi, in gran parte, non sono più segreti. Parlare a costoro di astensioni, austerità, pratiche spesso umili e noiose non farebbe che allontanarli dalla disciplina, e dove l’insegnamento dello Yoga è divenuto un puro fatto economico, un sistema per “far soldi”, non è forse il caso di insistere oltre misura su questi principi così scomodi e distanti dalla mentalità corrente.

     Spesso leggendo racconti o bibliografie di alcuni Yogi indiani o Tibetani, si incontrano figure secondarie che apparentemente dispongono di notevole saggezza e grandi poteri pur non rinunciando a condurre una vita normale, simile alla nostra, mantenendo l’attaccamento alle proprietà, all’io, al sesso, alle comodità: sembrerebbe che pur procedendo sulla strada dello Yoga, non sia necessario esercitare un rigore morale così rigido come quello esposto da Patanjali.

     Leggiamo ancora cosa ci dice Taimni a riguardo: “Vi è poi una classe di yogi che hanno decisamente intrapreso il sentiero “della mano sinistra”, e che sono detti “fratelli d’ombra”. Possiedono poteri di vario tipo, sono privi di scrupoli e pericolosi, sebbene all’esterno possano adottare una modalità di vita che li fa sembrare pii. Ma chiunque possieda un’intuizione sviluppata può localizzare queste persone e distinguerle rispetto ai seguaci del sentiero “della mano destra” per la loro tendenza alla crudeltà, alla mancanza di scrupoli e alla presunzione.

     L’obiettivo del sadaka non è lo sviluppo di poteri che possano venire impiegati per autogratificazione o soddisfazione della propria presunzione; sul sentiero dello Yoga superiore, è essenziale una moralità di ordine elevatissimo; e non si tratta di una moralità di tipo convenzionale”.

     Queste affermazioni che appaiono così categoriche non vogliono escludere che vi siano vie più moderate nell’osservanza di Yama e Nyama, e non necessariamente è richiesto un totale abbandono dei valori mondani; ma avvisano semplicemente i cultori dell’astanga Yoga che non vi può essere un progresso significativo nella disciplina che hanno intrapreso, nel sentiero verso la liberazione, se non seguendo le indicazioni di questi precetti fondamentali. 

Yama e Nyama

Yama e Nyama, come già anticipato, corrispondono alle astensioni e alle osservanze.

“I voti di astinenza -“Yama”- comprendono l’astenersi dalla violenza (Ahimsa), dalla falsità (Sathya), dal furto (Asteya), dall’incontinenza (Brahmacharya) e dall’avidità (Aparigraha)”. Patanjali, Sadhana Pada, II-30.

 “La purezza del corpo e della mente (Sauca), l’appagamento, esser contenti di ciò che si è e si ha (Samtosa), l’austerità (Tapas), lo studio di sé (Svadhyaya), l’abbandono a Dio (Isvara-pranidhana) costituiscono le cinque osservanze –Nyama-”. Patanjali, Sadhana Pada, II-32.

La straordinaria sinteticità e precisione di Patanjali condensa in soli due versetti il fondamento della vita Yoga.

 

ALLA RICERCA DELLA PACE MENTALE

(tratto dal libro “Scuola di Yoga” di Roop Lal Sandhu*)

 

     Il termine Yoga trae la sua origine  dalla radice sanscrita yuj, che significa “unire, legare insieme, aggiogare”. Si tratta infatti di una disciplina il cui scopo consiste nel “legare insieme” le funzioni e le energie psico-fisiche dell’individuo sottraendole a quella dispersione cui sono sottoposte nella vita ordinaria.

     E’ sufficiente un modesto grado di introspezione per renderci conto di come soprattutto la nostra vita psichica si svolga all’insegna della dispersione e della molteplicità. Senza tregua la nostra mente è attiva: ricordi, progetti, attese, emozioni positive e negative, gli stati mentali più eterogenei si avvicendano incessantemente. La vita stessa, con il quotidiano impegno che ci richiede, impone questo fervore tumultuoso, al quale però talvolta vorremmo sottrarci, sia pure per poco, così da ritrovare quell’io reale che alberga nel profondo in ciascuno di noi, colui che pur nella molteplicità delle forme mentali, ne è l’impertubato testimone, colui che “non agisce e non patisce macchia”.

     Se prendiamo in esame una qualunque giornata della nostra esistenza quotidiana ci rendiamo conto facilmente di come, ad esempio, è cangiante il nostro stato d’animo a seconda dei diversi rapporti umani che dobbiamo affrontare. Nel corso del tempo molti “io” differenti o addirittura opposti si susseguono l’uno all’altro: ora impersoniamo la dolcezza, ora predomina l’aggressività, ora l’entusiasmo ci prende la mano e ci sentiamo di affrontare e condurre in porto i compiti più gravosi. Ecco allora che il nostro io è entusiasmo, è fiducia, in un’identificazione totale con uno stato d’animo che sembra coinvolgere tutto il nostro essere. Ma all’improvviso si verifica una contrarietà, oppure un disturbo fisico, magari di poco conto, che viene a importunarci: un repentino mutamento di umore e tutto a un tratto ci sentiamo depressi, sfiduciati, sicchè ciò che poco prima ci sembrava semplice e facile appare ora irto di difficoltà insormontabili.

MASCHERE SOCIALI

     Qualcuno potrebbe rifiutarsi di riconoscere se stesso in questa analisi, ritenendo di essere “tutto d’un pezzo”. Certo non siamo tutti uguali: vi sono persone il cui animo è più mutevole, la cui emotività è più fragile, sicchè la loro vita è come una di quelle giornate primaverili, caratterizzate dal tempo variabile, quando stormi di nubi corrono incessantemente attraverso il cielo e il sole appare e scompare ad ogni istante. Altre persone, quelle di cui si dice che “hanno carattere”, sono meno soggette a questa variabilità di umore: ma sta di fatto che tutti, chi più chi meno, sperimentiamo quotidianamente l’influenza delle circostanze esterne sul nostro stato psico-fisico.

     Anche colui che ha la rassicurante sensazione di essere tutto d’un pezzo si accorgerà, a un più attento esame, di possedere il suo bagaglio di “maschere”: maschere sociali, che indossa o dismette a seconda del ruolo che gli compete nei vari momenti della vita di tutti i giorni. Siamo forse gli stessi quando trattiamo con superiori o con sottoposti, con amici e familiari, oppure con estranei? Al contrario, il nostro atteggiamento muta e ci adeguiamo, in maniera più o meno conscia, alle esigenze dei diversi rapporti umani. Questa multiformità non è in sé un male: è anzi il presupposto di una vita sociale accettabile. Il vero pericolo è di non riuscire più a veder chiaro in noi stessi, confondendo, ad esempio, il nostro io reale con una delle maschere, magari con quella che ci imponiamo più sovente e con la quale ci siamo così identificati da non essere più capaci di riconoscere quali realmente siamo.

     Vediamo dunque che a tal punto siamo tutt’uno con la multiforme attività estroversa della nostra mente, sollecitata dalle necessità della vita pratica, che ci diviene impossibile, senza l’aiuto di una tecnica specifica, realizzare a comando la soppressione controllata degli stati mentali in vista di uno stato di coscienza superiore. Talvolta ci sforziamo di realizzare quel vuoto della mente che ci permetterebbe di cogliere il nostro io profondo, saldo in se stesso nella sfera dell’Essere, sottratto al volubile gioco del divenire e del molteplice. La mente però si ribella alla forzata inattività che tentiamo di imporle, i pensieri che ci sforziamo di cacciare si fanno più insistenti, il  corpo stesso diviene una presenza molesta: avvertiamo la tensione che vi alberga, necessaria forse per affrontare le piccole e grandi battaglie della vita quotidiana, ma di cui non riusciamo più a sbarazzarci quando vorremmo farne a meno.

     Ci rendiamo conto, allora, di non essere veramente liberi. Anche se nessuna costrizione esterna ci condiziona, siamo tuttavia sottoposti all’inquieto tumulto delle nostre emozioni, al disordinato errare dei nostri pensieri, al gioco delle parti della vita di tutti i giorni, alle molestie che ci procura il nostro corpo, sia quando “somatizziamo” ansie e tensioni, sia quando esso si ribella a uno stile di vita innaturale quale per lo più gli imponiamo.

     Lo Yoga ha l’ambizione di offrirsi come rimedio efficace per coloro che avvertono il disagio derivante da questa incapacità di ritornare al proprio centro. Esso infatti si presenta come una via di realizzazione che, avvalendosi di tecniche appropriate, conduce l’individuo al dominio della propria unità psicofisica attraverso un allenamento progressivo. “Anche poco di questo retto procedere”, dice la Bhagavadgita, “libera da grande paura”.     

(continua sul prossimo numero di “Shanti Magazine”) 

 

 *Roop Lal Sandhu, “Scuola di Yoga”, Magnanelli Edizioni, Torino 

     L’appuntamento con Shanti Magazine e la ripresa delle lezioni è per settembre. Auguro a tutti vacanze serene e non dimenticate il nostro appuntamento estivo “Yoga in spiaggia” fissato per il 22 luglio (contattatemi per avere tutti i particolari). Vi ricordo che potete trovare aggiornamenti su questo sito e già che in internet visitate anche www.movimentoconsensus.org , dove troverete tante informazioni utili che in televisione non ci danno!

     E’ doveroso fare un augurio speciale alla nostra amica Enza B. che il 18 giugno è diventata mamma del piccolo Diego. Lei stessa mi ha telefonato qualche giorno dopo il lieto evento raccontandomi di aver avuto un parto velocissimo e praticamente indolore. Medici e Ostetriche si sono complimentati per la sua respirazione perfetta e per un buon controllo delle sue emozioni e del suo corpo anche nelle fasi più delicate del parto. Mi ha confessato che lei stessa si è stupita di tale tranquillità e attribuisce  tutto questo a quello che ha assorbito nei pochi mesi in cui ha frequentato i miei corsi (ha fatto lezione fino al 14 giugno!!).

Desidero dedicare al piccolo Diego gioia, pace, salute e lunga vita. Questi  versi di R. Tagore sono per lui:

“Ecco in tenero corpo un bambino apre nuovi occhi!

 Sapete voi chi si prenderà la sua responsabilità? 

Colui che culla il mondo e fa emanare raggi d’oro lo poserà in braccio

 al sole, alla luna e alle stelle.

Ecco in tenero corpo un bambino apre nuovi occhi”

                                                                                                                                                                                                                   Pina

Questa pagina è pubblicata a cura del “Centro Yoga Shanti”

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011