La Via umida dei Tarocchi: tra mondo infero e mondo umano

Tra le disposizioni classiche dei ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi una delle più conosciute è quella su due file sovrapposte: la prima inizia con il Mago, Arcano n.1, e finisce con l’Arcano n. 11, la Forza nei Tarocchi di Marsiglia o la Giustizia nei mazzi che si rifanno alla società Ermetica Golden Dawn. Questa è la cosiddetta Via Secca, attiva, maschile; la via della costruzione e del rafforzamento dell’IO attraverso il confronto con gli archetipi personali, l’Animus e l’Anima, il Padre e la Madre, l’Insegnante, l’Amore, il Viaggio dell’Eroe e la sua Solitudine, il Destino.

La seconda fila, posta al di sotto della prima, comincia con l’Appeso, Arcano n. 12, e finisce seguendo un percorso a ritroso o enantiodromia, con il Matto, Arcano n. 0: questa è la via Umida, passiva, femminile. Qui non vi è più uno sforzo dell’IO verso un qualche conseguimento, anzi è lo stesso IO che sembra perdere progressivamente d’importanza. Nella raffigurazione degli Arcani posti su questa via la figura umana non ha più quella centralità che aveva nella prima via; in alcune carte scompare del tutto, per lasciare spazio a quelle forze, a quegli archetipi, che possiamo chiamare collettivi o universali.
Sembra che il povero IO erculeo, come lo chiama più volte James Hillman (che nelle nostre carte potrebbe essere raffigurato dalla Forza che doma il leone e che secondo molti studiosi dei Tarocchi richiamerebbe proprio uno dei miti di Ercole), volente o nolente, debba ridimensionarsi per poter accedere a una Realtà più vasta, più complessa e più completa.

Perché questo ridimensionamento si possa avviare, come prima cosa dobbiamo lasciare la luce del sole, il nostro solido appoggio sulla terra, il nostro senso di superiorità e rivolgerci al buio,  alla fluidità, all’inferiorità.
Bene, di questa inferiorità o infernalità, in una parola di questo rapporto tra Tarocchi e Mondo Infero, mi voglio occupare pagando immediatamente un debito. Infatti, sin dal titolo, Tarocchi e Mondo Infero, per queste riflessioni sono debitore, e anche un po’ ladro, dell’opera dello psicologo James Hillman e, in particolare, del suo libro “Il sogno e il mondo infero”.

Ma cosa hanno in comune i sogni e i tarocchi?
Entrambi parlano per immagini, anzi potremmo dire che entrambi sono soprattutto immagini. Questa correlazione è rafforzata dall’uso del Tarocco Rider-Waite, dipinto ai primi del ‘900 dalla pittrice Pamela Colman Smith sotto la guida di Arthur Edward Waite, già membro dell’Ordine Ermetico della Golden Dawn e studioso della Cabala e della Rosa+Croce.

In questo mazzo tutte le carte, non solo quindi i 22 arcani maggiori ma anche i minori, cioè le carte numerali, presentano una particolare scena, un’immagine. E’ un Tarocco altamente immaginale e, anche se l’immagine di ogni singola carta è stata fissata una volta per tutte dall’artista, la combinazione delle 78 carte (22 Arcani Maggiori, 40 carte numerali, 16 figure o carte di corte) crea continuamente nuove storie. Sicché potremmo considerare ogni singola carta equivalente a quelli che Freud chiamava, nell’analisi dei sogni, “i residui diurni”, mentre l’insieme di tutte le carte occorrenti per ogni singolo gioco ci darà la stessa struttura del sogno.
E’ vero che nei sogni la creatrice, “la filatrice”, di ogni storia è la psiche che utilizza le nostre proprie immagini: Mio Padre, La Mia Vecchia Auto, Il Cane Della Mia Infanzia e cosi via. Invece le 78 carte dei Tarocchi sono uguali per tutti: la Regina di Coppe ha sempre quello sguardo un po’ assente, il Re di Spade è sempre seduto nella stessa rigida posizione, l’Otto di Coppe ha sempre quel viandante che si allontana; sta ad ognuno di noi ascoltare, osservare e sentire quali associazioni ne vengono fuori.

“L’Imperatore che ostacola l’avanzata del Sei di Bastoni rappresenta forse mio padre, o una equivalente e potente figura maschile che si frappone al raggiungimento dei miei successi? Oppure è il mio padre interiore, i miei bisogni di solidità, sicurezza e potere (il quattro, il cubo) che sono di ostacolo all’ambivalenza del Sei, alla voglia di fare qualcosa insieme agli altri in contrapposizione ad una rigida, e un po’ senex, strutturazione individuale? Oppure (anche), come suggerisce James Hillman a proposito delle persone del sogno, dovremmo leggere quell’Imperatore come un eidolon attraverso cui un Dio si manifesta e ci ostacola e nostro compito è scoprire a quale divinità sono invisi i nostri progetti’”
Sono così riassunti i tre livelli di lettura che riguardano ogni singola carta dei Tarocchi in accordo con la tripartizione dell’uomo: corpo – anima – spirito.

E sono, in qualche modo, richiamate tre diverse interpretazioni dei sogni: per Freud il sogno è la via regia verso l’inconscio, con attenzione quasi esclusiva all’inconscio personale, il regno del rimosso; per Jung i sogni danno informazioni sul processo di individuazione e vanno letti a livello soggettivo-oggettivo; per Hillman i sogni appartengono al mondo infero e ai suoi dei, Ade in primo luogo, e all’intimo rapporto tra anima e morte.
Siamo arrivati così al secondo termine di queste considerazioni, quello che desta più curiosità e, perché no, più apprensione: il mondo infero, questa ragione psichica per eccellenza.
Il mondo infero non è il sottosuolo, esso non ha a che fare con la terra, anche se ci sono luoghi sulla Terra attraverso i quali le varie tradizioni affermano si possa scendere agli inferi; esso corrisponde a quello che i Greci chiamavano ctonio, anche se poi le stesse divinità della Terra (Demetra e Gea) hanno un aspetto ctonio, come del resto lo steso Zeus, fratello del signore degli inferi Ade-Plutone.

Una esauriente descrizione di queste differenze e dei vari miti legati al mondo infero, nonché una notevole bibliografia sull’argomento, la si può trovare nel libro già citato di James Hillman, a cui vivamente rimando.
Quello che qui mi interessa mettere in risalto è l’affermazione dello stesso Hillman: “il mondo infero è psiche” e poco prima: “il mondo infero è una comunità innumerevole di figure” (op. cit. p.40).

Come si collega tutto questo con i Tarocchi?
Andiamo a farci leggere le carte perché soffriamo d’amore, perché siamo preoccupati per la salute, vorremmo sapere qualcosa sul lavoro, il destino cosa ci riserva?
Seduti attorno ad un tavolo osserviamo quelle carte che abbiamo scelto, o siamo noi scelti dalle carte? Cerchiamo di trarne un senso, un significato, a volte una conferma, altre volte una previsione o, addirittura, una predizione. In quei momenti stiamo parlando della nostra realtà eppure in maniera così irreale. Alla fine, a volte facilmente, a volte faticosamente, quasi sempre una storia esce fuori anche se, per quanto ci si sforzi, c’è sempre un qualcosa in più che non entra completamente in quella storia, che rimanda a qualcosa d’altro, a un altrove.
E’ in questo altrove che sperimentiamo l’anima, il mondo infero e il loro rapporto.
Ma non basta. Fra gli stessi Arcani Maggiori alcuni si rifanno direttamente a questo mondo. Essi. ad eccezione della Papessa che ritengo possa collegarsi al mondo infero, sono collocati sulla cosiddetta Via Umida.

Il viaggio verso gli inferi comincia con l’Appeso.

 

XII - L' APPESO

Scrive C.G. Jung nel cap. VIII della sua autobiografia: “Allo scopo di capire le fantasie, spesso mi raffiguravo una ripida discesa. Facevo vari tentativi di raggiungere il fondo … Era come un viaggio sulla luna, o come una discesa nel vuoto … avevo la sensazione di essere in una terra di morti … L’altro mondo … Vedevo due figure … Mi facevo coraggio, li avvicinavo, come se fossero persone in carne ed ossa, ed ascoltavo attentamente ciò che mi dicevano”.

Secondo gli Egizi il mondo infero è un mondo rovesciato sotto di noi, dove i morti camminano capovolti, testa in giù e piedi in su, tant’è vero che gli escrementi raggiungono la bocca.

Il nostro Appeso è proprio in questa situazione: legato per un piede, a testa in giù, le mani legate dietro la schiena, tutto il suo mondo si è capovolto. Idee, convinzioni, attività, interessi, tutto si è capovolto. Si è capovolta la stessa prospettiva di visione. (“L’intervento di Ade capovolge il mondo” op. cit. p. 51) Nella strana posizione, con la testa pronta a perforare il suolo, l’Appeso richiama l’immagine di un triangolo con il vertice in giù e sormontato da una croce. Simbolo del triangolo dell’acqua con sopra i quattro elementi che, in alchimia, simboleggia la fine e il perfezionamento della Grande Opera ed è l’opposto del simbolo dello Zolfo. “Così si forma il simbolo del triangolo superato dalla croce che rappresenta la discesa della luce nel buio.” (A. Crowley)

La fase alchemica raffigurata è quella della solutio (scioglimento).
Attenzione! L’Appeso del Tarocco Rider-Waite è fissato per il piede destro, mentre nelle raffigurazioni tradizionali è appeso per il piede sinistro.
L’ignoto si spalanca sotto di noi, a chi chiedere consiglio?
Seguendo l’insegnamento di Don Juan dovremo prendere “la morte come nostra consigliera”.

XIII - LA MORTE

Per scendere nel mondo infero bisogna passare attraverso il XIII° Arcano, l’Arcano senza Nome, la Morte.
Per un primo approccio si potrebbe usare la seguente meditazione: una meditazione sulla dissoluzione del corpo materiale (David Brazier “Terapia Zen” p.93).

Ciascun passo della meditazione è mantenuto per il periodo di circa dieci respiri.
1) Inspirando ed espirando, sono consapevole del mio corpo, caldo e vivo.
2) Ora immagino che il mio corpo sia un cadavere, freddo e privo di vita.
3) Ora immagino il mio cadavere invaso dai vermi.
4) Ora immagino la carne che si decompone. Vedo esposto il mio scheletro.
5) Vedo il mio scheletro bianco, la carne sparita del tutto.
6) Vedo le mie ossa separate e sparse.
7) Vedo le mie ossa disintegrarsi e ridursi in polvere, soffiata via dal vento.
8) Sento che la polvere sta diventando parte della terra e del mare.
9) Sono consapevole che il mio corpo è completamente scomparso.
10) Sapendo che tutto è impermanente, sorrido.

Ma, forse questo è un approccio troppo letterale alla morte, soprattutto per noi, per la nostra cultura e il nostro tempo dove la morte sembra essere “la gran rimossa”, e dove l’ultima grande immagine del mondo infero è probabilmente quella lasciataci da Dante.
La metafora della morte, sostiene sempre Hillman, è “il modo più profondamente radicale” per esprimere lo spostamento che avviene nella coscienza quando “abbiamo messo a dormire le conoscenze proprie del mondo diurno.”
“La Dimora di Ade – dice ancora Hillman – è un regno psicologico di adesso, non un regno escatologico di poi.”
Tutto questo corrisponde in alchimia alla putrefatio (o fermentazione marcia). La formazione di humus come presupposto per la nuova vita.
La morte, da qualsiasi verso la si prenda, o meglio da qualsiasi verso ci prenda, è un trapasso, una trasmutazione.

XIV - LA TEMPERANZA

Questo processo di trasmutazione o trasformazione, questo trapassare da uno stato all’altro, tutto questo viene rappresentato dall’Arcano XIV°, la Temperanza. A prima vista, soprattutto nelle raffigurazioni classiche della carta, sembra strano trovare questo Angelo. o genio solare, tra la Morte e il Diavolo, lì nelle Dimore di Ade.

Aleister Crowley chiamò la carta “Arte”, ovverosia la Grande Arte dell’Alchimia, e vi incise l’iscrizione latina: “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem (Visita l’interno della Terra, rettificando troverai la pietra nascosta) le cui iniziali formano la parola alchimistica V.I.T.R.I.O.L., simbolo di trasmutazione.
Nel Libro Completo dei Tarocchi di Pedirota e Stanghi, leggiamo:
“Esotericamente la Temperanza è collegata al processo alchemico che veniva effettuato mettendo una pentola (noi) sul fuoco, catalizzatore di ogni processo (Atanor). Rimestando, veniva a galla una parte nera puzzolente (la nostra personalità) e man mano che ciò succedeva, questa parte veniva tolta e conservata con massima cura poiché all’interno di quella apparente sporcizia vi erano preziosi sali che altrimenti sarebbero andati perduti.
Ciò che era all’interno di quella sporcizia era ritenuto sacro e doveva essere mediato con lo spirito e con l’anima.
La personalità è una ricchezza che non va combattuta e sublimata, ma vissuta ed usata, dato che è attraverso di essa che noi possiamo avere la cognizione di un processo evolutivo. E’ la sua presenza che ci permette di percepire la nostra crescita e, relativamente ad essa, la nostra personalità-contenitore si tempre, muta in atteggiamento e forma, adattandosi ai cambiamenti di temperatura.
Il nostro piccolo “Io” o personalità, non è un servo, ma uno strumento libero verso la consapevolezza.”

 

 

XV - IL DIAVOLO

Quando scendiamo nel mondo infero (nekya), prima o poi incontreremo il Diavolo.
Con il cristianesimo, il mondo infero del paganesimo è diventato l’inferno “tout court”, le Dimore di Ade sono diventate le dimore del diavolo.
Sentiamo cosa ne dice Hillman (op.cit. p.86):
“Un effetto di questa battaglia (di Cristo contro l’inferno) fu la satanizzazione di Thanatos. La nera figura alata, indistinta, e a volte perfino garbata nelle descrizioni pagane divenne “l’ultimo nemico” e la personificazione del principio del male. Il mondo infero fu completamente moralizzato; la morte fu equiparata al peccato. Secondo la ben nota regola psicologica, il peccato commesso è attribuito a quello contro cui è commesso.”
E più avanti: “In un modo soltanto il mondo infero potrebbe fare la sua ricomparsa: con la perdita di Cristo, e dunque come perdizione, dannazione e terrore. Questo terrore conduce a un problema tutto nuovo: il mondo infero come regno del diavolo. La paura del diavolo (e quale altra reazione è possibile di fronte a questa immagine intollerabile?) indica la sua vicinanza, e indica anche che si è in pericolo di perdere Cristo. Il diavolo quindi venne affermato attraverso la paura. L’immagine del diavolo abita nelle nostre paure dell’inconscio, e nella psicosi latente che in esso si presume in agguato; e allora torniamo ai metodi del cristianesimo – moralizzazione, sentimenti gentili, compartecipazione e ingenuità fanciullesca – quali propiziazioni contro la nostra paura, anziché la classica discesa dentro di essa la nekya nell’immaginazione.”
Infine: “Con duplice colpo magistrale, il cristianesimo eliminò il mondo infero, e contemporaneamente fece in modo che esso fosse sentito con terrore, come la perpetua alternativa alla via cristiana. Cristianesimo o mondo infero: bisognava scegliere e chi mai avrebbe voluto scegliere l’errore?” (p.87)
Alla figura del Diavolo, come sintesi del male opposto al bene, C.G. Jung dedicò diverse riflessioni dal punto di vista della sua psicologia analitica. Nella sua opera Aion, la figura viene affrontata alla luce del simbolismo dell’Anticristo e quindi del dualismo Cristo – Satana. Ecco alcuni passi che ci possono aiutare a chiarire questo “lato oscuro”:
“Se nella tradizionale figura di Cristo riconosciamo un equivalente del fenomeno psichico del Sé, l’Anticristo corrisponderà all’Ombra del Sé, ovvero alla metà oscura della totalità umana, che non dobbiamo giudicare troppo ottimisticamente.” (Aion, p.41)
“Il concetto psicologico del Sé … non può trascurare l’ombra che appartiene alla figura di luce; senza quest’ombra essa mancherebbe del corpo e quindi di umanità. Luce e ombra formano nel Sé empirico una unità paradossale.” (ibidem, p.41)
“Satana è inseparabile da Cristo, come l’ombra appartiene alla luce, come il mysterium iniquitatis accompagna il sol iustitiae … Cristo come incarnazione del Sé, egli però corrisponde, da un punto di vista psicologico, solo a una metà dell’archetipo. L’altra metà appare nell’Anticristo. Anche quest’ultimo è un’illustrazione del Sé, ma nel suo aspetto oscuro.” (p.43)
Ma è anche vero, sostiene Jung, che “nessun albero, si dice, cresce fino al cielo a meno che le sue radici non tocchino l’inferno”. (p.42)
Viene così introdotto anche il problema del che fare di fronte a questa figura inquietante. Se è vero che: “Il diavolo è tanto più pericoloso quanto meno lo si riconosce. Ma chi potrebbe sospettarne la presenza – continua Jung – sotto il manto dei suoi nomi melodiosi: benessere universale, sicurezza esistenziale, pace tra i popoli, ecc.? Il diavolo si nasconde sotto il velo degli idealismi, sotto gli ismi in generale, il peggiore dei quali è senza dubbio il dottrinarismo, la meno spirituale di tutte le attività dello spirito.” (p.81)
Allora, forse, più che alla “perfezione” bisognerebbe tendere alla “completezza” all’ “integrazione”. Per concludere con queste lunghe citazioni di Jung: “l’immagine di Cristo è approssimativamente perfetta (o perlomeno così è pensata), mentre l’archetipo (nella misura in cui è conosciuto) denota completezza, ma è ben lungi dall’essere perfetto.” (p.65)
Vorrei finire questa lunga digressione sull’Arcano del Diavolo, che è diventata la figura centrale del mondo infero per la nostra cultura cristiana occidentale, citando gli appunti di Soror Quaestor Lucis, una adepta della Golden Dawn: “Questa carta deve essere studiata in congiunzione con l’Arcano XIII: sono le due grandi forze dominanti dell’Universo, quella centrifuga e quella centripeta, la distruttiva e la riproduttiva, la dinamica e la statica. La natura inferiore dell’uomo teme e odia il processo di trasmutazione; di qui le catene che legano le figure minori e la forma bestiale dei loro arti inferiori. Tuttavia, proprio questa paura del mutamento e della disintegrazione è necessaria per stabilizzare la forza vitale e assicurare la continuità”. (in Israel Regardie “La Magia della Golden Dawn” ed. Mediterranee, vol. IV, p. 212)
Basta, siamo arrivati al punto più basso della discesa, è arrivato il momento di riemergere.

 

XVI - LA TORRE

Una delle caratteristiche delle manifestazioni di Ade – Plutone nel mondo di sopra era quello dello sconvolgimento improvviso. Dice Hillman: “Si diceva che Ade nel mondo supero non avesse templi o altari e che il suo impatto con questo mondo fosse sperimentato come violenza, violazione (il ratto di Persefone, le aggressioni alle ingenue ninfe della vegetazione Leuci e Minta).”
Anche l’impatto del “grande dio Pan”, il dio-capro che è poi diventato l’immagine del caprone nel sabba, è quello dell’irruzione del panico, dello stupro e dell’istintualità irrefrenabile.
L’Arcano della Torre è l’immagine di questo rivolgimento improvviso, di questa catastrofe del senso comune e della nostra ingenuità. Infatti, la Torre è assimilata alle esplosioni, ai movimenti tellurici, alle eruzioni sotterranee. Quando, molti anni fa, cominciai a frequentare gli arcani dei Tarocchi, per una serie di coincidenze, mi trovai a paragonare la Torre proprio con la katà – strophè greca, ciò che si volge in giù. Ricordo un intero numero della rivista “Laboratorio Politico” edita da Einaudi (sett.- dic. 1981) dal titolo “Catastrofi e trasformazione” dove al termine viene dato “anche il senso dell’irrimediabilità o irreversibilità” (Renato Nobili, p.122). Oppure la necessità, affermata da Massimo Cacciari, “di distinguere tra la dimensione della catastrofe e quella della crisi” (ibidem p.150), e, infine, la citazione tratta da “La crisi della civiltà” di Huizinga: “Non è affatto paradossale affermare che una civiltà, con un “progresso” realissimo e innegabile, potrebbe arrivare alla sua rovina. Progresso è cosa delicatissima e concetto ambiguo. Può essere che un po’ più avanti, lungo la strada, sia rovinato un ponte o si sia scavato un abisso”.
Questa la cornice entro cui collocavo questa Torre rovinosa; oggi l’arcano non mi appare così distruttivo, forse per lunga frequentazione, anche se dopo niente sarà più lo stesso. Mi pare che esso sia la raffigurazione di quell’irruzione improvvisa di elementi inconsci e numinosi nell’area della coscienza di cui tanto parla C.G. Jung. E non possiamo sapere prima quale sarà la risposta che ognuno di noi darà a questo confronto, né quale forma prenderà il dopo.
Mi sentirei di assimilare l’effetto di questa carta a quello che Stephen Arroyo dice a proposito dei transiti di Plutone, il pianeta: “porta in superficie e trasforma, spesso terminando completamente una vecchia forma o espressione di vita.” Dice ancora Arroyo: “La connessione di Plutone con il mondo “sotterraneo” sembra essere nata dalle esperienze delle persone durante i transiti di questo pianeta. In alcuni casi, infatti, cose o persone scompaiono dalla vista come se fossero inghiottite dalla terra e portate nel mondo sottostante; in altri casi capita che vecchie cose o persone con cui eravamo in rapporto riappaiano …” (Astrologia Karma e Trasformazione, p.77)
“L’energia accumulata nella carta precedente erompe e scarica il suo potenziale fecondante: infatti la Torre, o Casa di Dio, in senso occulto significa eiaculazione, cioè fecondazione psichica, spirituale e materiale. Però qui la fecondazione non è ancora realizzata, ma solo annunciata e preparata dal prorompere delle forze esaltate al massimo grado.” (Il Libro completo dei Tarocchi, p.147)
Dobbiamo ricordare che per A. Crowley l’unica interpretazione positiva di questa carta poteva essere per un carcerato in quanto sarebbe stato quello di evasione.
Per l’alchimia siamo nella fase della nigredo. 
Se con l’Appeso eravamo scomparsi, o eravamo stati inghiottiti, con la Torre veniamo catapultati fuori, siamo tornati a rivedere le Stelle.

 

XVII - LA STELLA

Passati attraverso il Mondo Infero, il nostro riemergere avviene in quel mondo che lo stesso Hillman considera contiguo agli Inferi, il Mondo Notturno e che nei Tarocchi è soprattutto raffigurato dagli arcani della Stella e della Luna che appartengono a quella che potremmo chiamare la progenie o stirpe della Notte: Una appartiene all’aspetto romantico della Notte, l’altra all’aspetto pauroso; una potremmo definirla anima mundi, l’altra ha a che fare con Ecate e le streghe o con la madre divorante della psicoanalisi.
Una bella donna nuda, inginocchiata vicino ad una pozza d’acqua, anzi con un piede poggiato sopra quest’acqua, versa del liquido da due anfore che tiene nelle mani: da una direttamente nell’acqua, dall’altra a fecondare la terra. Sopra di lei una corona di stelle con al centro un astro giallo più grande, forse Venere. Poco distante, sul ramo di un albero, un uccello si prepara a spiccare il volo.
“Per un attimo capii che stavo osservando l’anima della Natura” scrive Piotr Ouspensky e così continua: “Questa è l’immaginazione della Natura – disse dolcemente la Voce – la Natura sogna, immagina e crea altri mondi. Impara a unire la tua immaginazione a quella della Natura e nulla ti sarà impossibile…” (Il simbolismo dei Tarocchi in Tarocchi di Domenico e Ada Balbi, ECIG, p.41)
E lo stesso Hillman: “L’anima mundi indica allora quelle possibilità animate che ciascun evento così com’è presenta, il suo presentarsi sensibile come un volto che rivela la propria immagine interiore – in breve, la sua disponibilità all’immaginazione, la sua presenza come realtà psichica. Non solo animali e piante pervasi di anima – come nella visione romantica – ma l’anima data con ciascuna cosa, le cose della natura donate da Dio, e le cose della strada fatte dall’uomo.” (J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Garzanti, p.103) E più avanti: “Questo nuovo modo di sentire la realtà psichica esige però un nuovo naso… ci serve il naso del senso comune animale: una risposta estetica al mondo. Questa risposta collega immediatamente l’anima individuale all’anima del mondo; io, individuo, vengo animato come un animale dall’anima del mondo.” (p.105/106) e ancora precisa: “Quando parlo di risposta estetica non intendo qualcosa che ha a che fare con l’abbellimento… Nella concezione neoplatonica, la bellezza è semplicemente la manifestazione, lo svelarsi dei fenomeni, l’apparire dell’anima mundi; e senza bellezza non si rivelerebbero Dei, virtù e forme. La bellezza è una necessità epistemologica; aisthetis è il modo in cui conosciamo il mondo. E Afrodite è il richiamo, la nudità delle cose, così come esse si mostrano all’immaginazione dei sensi”. (p.111) 
A questa carta, sulla via Secca, corrispondono gli Amanti: l’incontro con l’altro, la relazione e lo specchiarsi negli occhi dell’Altro; nella via Umida ci parla della bellezza del mondo, del donare e del donarsi al mondo.

XVIII - LA LUNA

Ma c’è anche un aspetto inquietante della Notte e, perché no, del femminile: Ecate e il Sabba notturno, la Luna piena e i miti del licantropo o dei Vampiri. Soprattutto per la nostra coscienza occidentale, maschile e solare la Luna è il simbolo del femminile visto come cangiante, mutevole, passivo, che vive di luce riflessa, ma anche dei misteri dell’inconscio e della nostra paura nei suoi confronti; i fantasmi, le fantasie, le visioni irreali.
Giunti all’Arcano XVIII° non vi è più alcuna immagine umana: la Luna, lo stagno, il crostaceo, i due cani che ululano e le due torri sono le uniche presenze. E proprio questa assenza dell’umano rende questa tappa così piena, così complessa e anche così “negativa”, come se si dovesse procedere per sottrazione e per diminuzione.
Ma ciò che personalmente ha in mente quando penso all’arcano della Luna è l’immagine di una drammatizzazione messa in scena durante un gruppo d’incontro con i tarocchi.
La donna che aveva estratto la carta aveva scelto per sé di essere il sentiero che scompare tra le torri; poi aveva assegnato un ruolo a tutti gli altri partecipanti del gruppo: una era lo stagno, uno il crostaceo, i due cani, le due torri, l’influsso della luna e infine, in piedi su una sedia, un’altra donna era la stessa “divina” luna. A turno ognuno esprimeva verbalmente qualcosa partendo dalla propria posizione e dal proprio ruolo; alla fine, al conduttore del gruppo non rimase altro da fare che tentare di ululare alla luna. Intanto, fuori dalla stanza, dei cani reali abbaiavano realmente alla luna in cielo.
Dopo questa rappresentazione vivente, mi viene difficile aggiungere altro a questa immagine se non ricordare la presenza viva e fluida dell’acqua sia in questa che nella precedente .

 

Il bene superiore
ha i modi dell’acqua
L’acqua elargisce il suo bene
a tutti quanti i diecimila esseri
senza conflitti
Restandosene
nelle profondità degli abissi
nei luoghi che tutti disdegnano
Ed i suoi modi
sono quelli stessi della Via
Abitare la nuda Terra
Fare coincidere cuore ed abisso
Correttezza e prodigalità
verso il mondo intero
Sincerità nelle parole
e nelle scelte
Affidabilità nei fatti
Conoscenza dei tempi opportuni
Mantenersi al di fuori
di ogni conflitto
Tutto questo significa
mancare di colpe                                                             

(Tao Te Ching, cap. 8)

Nel libro “I Tarocchi di Crowley”, gli autori a proposito della Luna scrivono: “Per quanto importante sia la discesa negli Inferi, nel regno dell’inconscio, altrettanto importante è il ritorno da esso… Altrimenti il nocciolo della personalità rimarrà ingoiato dal mare della notte e il processo di sviluppo personale sarà fallito” (Akron – Hajo Banzhaf “I Tarocchi di Crowley”, Hermes Edizioni, p.117).

Così, dopo la Luna e il Sole, lungo la via umida incontriamo l’Arcano del Giudizio con il quale potremmo avere non tanto il risorgere dei morti ma la “Resurrezione della Morte stessa, dal momento che senza un’immaginazione della morte si ha la morte dell’immaginazione” (Hillman).

      Dario Distefano

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