Impedimenti ad una vera riflessione

Sommario

In questo studio, che è la continuazione di tre ricerche precedenti, sono esaminate le relazioni in ambito scolastico tra un compito impegnativo ed il contesto esterno nello svolgerlo, in alunni di età compresa tra i quattordici ed i diciannove anni.

A 59 studenti, iscritti al I, II e V anno dell’ITC “Besta” di Ragusa ed appartenenti a quattro classi differenti, nella primavera del 2007 sono stati assegnati dei brevi brani (7), raccordati in certo modo tra di loro, da leggere attentamente.

Le riflessioni in essi contenute si collegavano ai terribili eventi di fine 2004 verificatisi nel Sud-Est asiatico (maremoto), non più nel 2007 all’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa come allora. I passi scelti avevano come tema centrale le difficoltà dell’uomo di capire veramente la natura.

Alla fine del periodo prestabilito (45 minuti), gli studenti avrebbero dovuto, in un quarto d’ora, scrivere qual era il senso complessivo dei diversi brani letti e che messaggio personale ne avevano tratto.

In un certo modo, per usare la schematizzazione di Bartlett (1958), il compito assegnato era classificabile  come interpolativo.

I risultati confermano come in un frangente di carico cognitivo e di fatica il contesto esterno possa far fraintendere il senso dei testi assegnati: essi, infatti, sono stati letti come se fossero un atto d’accusa contro l’umanità e le sue colpe per i cambiamenti climatici tanto discussi nelle settimane di svolgimento della prova.

In questo studio gli allievi del quinto, posti nelle medesime condizioni di alunni di I e II anno, hanno interpretato i brani nella stessa maniera errata.

Pensare non è né facile né naturale: la riflessività vera va, pertanto, insegnata.

Abstract
Obstacles to True Thinking
by Giuseppe Tidona

In this study, which continues three previous investigations, the relationships between a difficult task and the influence of the outer context  in carrying it on are assessed in 14-19 year old pupils.

In spring 2007, seven short passages, interrelated in content, were given to 59 students from four different classes, enrolled on the first, the second and the final year of the ITC “Besta” (a high school in Ragusa- Italy).

The considerations included in them concerned the terrible events (i.e. tsunami) in South East Asia at the end of 2004, events which were not the mass media centre of attention any longer.

The chosen reading passages had as their focus mankind’s difficulty in truly understanding Nature and the powerlessness of human beings.

Students were asked to read the passages in 45 minutes and in a further 15 minutes to put the overall meaning of the different extracts and the personal message drawn from them in writing.

In a certain way, this task could be classified as interpolative, to use Bartlett’s (1958) scheme.

Results confirm that in case of cognitive load, the outer context can be misleading: at the time of the test climatic changes were much discussed on mass media and ascribed to people’s carelessness around the world. The seven extracts were, therefore, misinterpreted and read as if they blamed mankind for the events (which they were not doing).

In this research, the final year students (18-19 years old), put in the same conditions as pupils of first and second year, misunderstood the texts in similar ways.

Reflection  is not easy nor is it natural: true thinking, therefore, must be taught.

Introduzione

Pensare è una delle più affascinanti avventure umane. Più o meno intensamente tutti ne facciamo esperienza quotidianamente, ma se dovessimo darne una definizione in termini formali-astratti, indubbiamente ci troveremmo in difficoltà. Eppure tentare di capire questa pratica (che tra gli esseri viventi appartiene solo all’uomo e non, ad es., agli animali) è essenziale, soprattutto per l’educatore.

Tra gli obiettivi primari di ogni insegnamento (non importa di quale disciplina) c’è indubbiamente quello di promuovere la riflessività degli alunni. Ma che significa innanzitutto questo termine? Come fare? Quali sono le pratiche che possono favorire ed accrescere la pensosità dei discenti? E quali sono, invece, le metodologie negative, da evitare? Rispondere a queste domande è certo difficile, ma è uno sforzo che va comunque compiuto.

Per quanto riguarda la prima domanda possiamo partire da una delle schematizzazioni più conosciute, quella di Bartlett , il quale definisce il pensare come quell’attività umana che interviene tutte le volte in cui noi dobbiamo operare ma l’informazione che abbiamo di fronte a noi è lacunosa, ci sono vuoti ed essi vanno colmati. Incontriamo, ad es., un amico che non vediamo da un po’ di tempo e troviamo che il suo aspetto o i suoi modi sono completamente cambiati. Perché? Che cosa sarà successo? Certo potremmo chiederlo direttamente a lui, ma non lo facciamo, vuoi perché in questa fase ci sembra indiscreto, vuoi perché ci viene naturale tentare una risposta da soli. Partendo, allora, dai fatti di nostra conoscenza, da quello che noi sappiamo riguardo alle sue abitudini ed al suo stile di vita, cerchiamo di congetturare, ipotizzare quello che è avvenuto nel tempo intercorso. Oppure stiamo leggendo un bel romanzo quando ci accorgiamo che per un errore di stampa un pagina è bianca: che cosa mai diranno le righe mancanti? Muovendo, allora, da quello che abbiamo letto prima e da quello che leggiamo dopo possiamo immaginare più o meno precisamente il contenuto della pagina vuota.

Bartlett 2 individua tre diverse tipologie di pensiero, caratterizzate da processi e difficoltà differenti:

1)     l’interpolazione, richiesta come modalità quando nel mezzo di una catena di dati collegati tra di loro, c’è un dato mancante: chi pensa deve, allora, basandosi sull’informazione fornita prima e su quella dispiegata dopo, individuare la parte non presente;

2)     l’estrapolazione, necessaria quando informazioni interconnesse vengono offerte ma poi la serie viene interrotta: è compito dell’osservatore, in questo caso, aggiungere i dati mancanti, individuando al contempo come continuare e quando terminare (ovvero fino a che punto portare avanti la serie);

3)     nel terzo caso l’informazione è presente, ma essa va reinterpretata da un punto di vista diverso o va assemblata in maniera differente da come è stato fatto sinora. Potremmo definire questa terza modalità creativa o, se si vuole, manipolativa.

Secondo Bartlett3 è possibile affermare, se prendiamo in considerazione solo le due prime tipologie le quali si assomigliano abbastanza (in quanto pertinenti a sistemi chiusi, mentre la  terza è più aperta o avventurosa), che la modalità estrapolativa è più difficile della prima perché bisogna svolgere due attività distinte: individuare i dati mancanti ma anche decidere quando la catena ha raggiunto un suo termine naturale.

Indubbiamente nel contesto di una ricerca di laboratorio le asserzioni di Bartlett risultano valide: le condizioni sono standardizzate e non stressanti (al contrario dell’ambiente scolastico), e le prove sono semplificate (si lavora con serie numeriche o di parole collegate tra di loro): è naturale, quindi, che l’estrapolazione risulti più difficile dell’interpolazione. Infatti, con l’interpolazione il punto di arrivo ed un bel po’ di evidenza sulla via sono dati: quello che uno deve fare è colmare il vuoto; nel caso dell’estrapolazione bisogna, invece, portare a termine due compiti.

In un contesto ecologico, come vedremo tra un po’, non è, però, così: i risultati cambiano anche radicalmente rispetto alla previsione di Bartlett.

Ovviamente la maniera di Bartlett è una delle tante possibili di classificare il pensiero, altre ne sono state individuate.

Alcuni autori 4, ad es., sovrapponendo le operazioni interpolative ed estrapolative, in quanto appartenenti a sistemi chiusi, le etichettano egualmente come deduttive, analitiche, formali e convergenti, contrapponendovi la terza tipologia (vedi sopra Bartlett), che classificano come modalità induttiva, creativa, espansiva e divergente.

Questa unificazione, però, può fare perdere di vista la specificità delle prime due operazioni (oltre probabilmente ad ingenerare ulteriore confusione lessicale!), mettendo in secondo piano le difficoltà caratteristiche che si possono incontrare in contesti reali come quello scolastico in compiti di natura interpolativa rispetto a quelli estrapolativi. Mantenere la distinzione è, allora, utile: solo cosi ci possiamo accorgere, e lo vedremo più avanti, come le due tipologie diano origine a problematiche differenti e come il ruolo giocato dal contesto nei due casi sia diverso.

 

Studiare e pensare

Ma qual è la relazione tra lo studio in un normale ambiente scolastico ed il pensare?  Studiare nel più comune senso di ritenere fatti, idee o principi comporta normalmente una attivazione del pensiero? È vero, cioè, che la riflessività è un sottoprodotto naturale dello studio condotto bene?

Alcune mie ricerche al riguardo svolte con studenti di scuola media superiore negli anni passati hanno dato risultati che smentiscono decisamente la presupposizione corrente. Studiare è un’operazione cognitiva caratteristica che comporta operazioni e sforzi particolari, al termine dei quali non si può comunque affermare che la pensosità, come definita nei tre modi su esposti da Bartlett, sia aumentata. Anzi, sembra che diminuisca.

Nella prima ricerca 5 , ad alcuni gruppi di studenti di 14-15 anni sono stati sottoposti due brani antologici (venivano presentati come tali) da studiare, perché subito dopo avrebbero dovuto rispondere per iscritto ad alcune domande sul contenuto. Le risposte sarebbero valse come verifica infraquadrimestrale d’Italiano (si voleva imitare la più tipica, motivante, e forse anche stressante, delle situazioni scolastiche). In effetti le letture erano  state preparate appositamente dallo scrivente e contenevano delle incongruenze.

Le domande erano in parte fattuali (rispondervi era semplice: bastava ricordarsi alcuni eventi concreti citati nelle due letture) ed in parte erano di natura riflessiva, per così dire, in quanto richiedevano di rielaborare porzioni di informazione offerte in maniera abbastanza bizzarra nei testi: non si poteva rimanere alla lettera dei brani a meno di esprimersi in una maniera rivelante assenza di pensosità.

Ebbene la maggioranza degli alunni ha preferito attenersi alla mera lettera del testo piuttosto che rispondere in maniera ricca e soprattutto significativa. La preoccupazione di rimanere fedeli al testo, pur se questo sfiorava l’assurdità, ha fatto aggio su tutto il resto (anche nei discenti normalmente giudicati dagli insegnanti come i migliori).

Solo gli studenti  (le classi erano state divise in due metà equivalenti dal punto di vista delle abilità intellettuali) che esplicitamente, in privato, avevano ricevuto la consegna di utilizzare alcuni organizzatori mentali all’uso dei quali erano stati addestrati tempo prima, ed esattamente gli strumenti CoRT 6 di E. de Bono, fornivano risposte generative e ricche, le quali rivelavano l’attivazione di vera riflessione.

Se si vuole fare riferimento alla schematizzazione di Bartlett, possiamo asserire che le prove erano del terzo tipo, cioè di natura creativa (o manipolativa, per usare un termine che mi sembra abbastanza efficace). Infatti, i discenti dovevano ristrutturare l’informazione presentata per poterne cavare un senso adeguato e soddisfacente.

Studiare non aiuta a pensare

In una seconda ricerca 7 si sono volute vedere le precipue difficoltà riflessive di compiti di natura estrapolativa.

In questo caso lo studio ha coinvolto 141 alunni di 14-15 anni, divisi in tre gruppi. Agli studenti è stata data una storia, il cui finale era stato tagliato. Essi avevano lo stesso compito di prevedere la conclusione sulla base degli indizi logici presenti nella parte consegnata loro, ma seguendo procedure differenti, una delle quali comportava che dovessero “studiare” prima la storia.

Tutti i gruppi hanno raggiunto una buona conoscenza degli elementi del racconto necessari per anticipare la fine, ma i risultati delle loro riflessioni sono stati abbastanza differenti, a seconda della condizione assegnata loro.

“Studiare” è risultata la condizione peggiore per pensare. Gli alunni, cioè, in questo caso, non hanno utilizzato gli indizi sparsi nella parte della lettura presentata loro, non ne hanno fatto un uso logico per arrivare alla conclusione possibile (che è appunto un esercizio estrapolativo).

Ancora un volta la presupposizione corrente veniva smentita: studiare non equivale a pensare!

Dal confronto tra i vari gruppi è risultato che gli alunni nella condizione di studio avevano raggiunto spesso una conoscenza più approfondita dei punti nodali della storia, ma non li collegavano tra di loro, quasi non fossero capaci di autentica riflessione.

Molti, infatti, nel prevedere la fine della vicenda si erano abbandonati (come è stato possibile appurare in un momento successivo di dialogo e di escussione), piuttosto alle loro aspettative, cioè, come qualcuno dei discenti ha poi detto, a “quello che mi piacerebbe capitasse ora”, altri alla pura fantasia, oppure si erano appoggiati su luoghi comuni o su quello che “abbiamo sentito avviene in questi casi”. C’era quasi remora a collegare gli elementi reali presenti nella storia.

Non era il testo a guidare le loro supposizioni, ma il contorno, il resto (e questo aspetto è importante come vedremo tra un po’).

I discenti, invece, appartenenti alla condizione che nella ricerca viene definita di lettura erano stati in grado, in massima parte, di prevedere il finale della trama. Quindi ciò stava a testimoniare che questo compito di estrapolazione (utilizzare, cioè, i dati presenti per continuare la serie e condurla ad un suo termine naturale) non era particolarmente difficile e che comunque era alla loro portata.  Solo i discenti della condizione di studio si erano trovati in difficoltà.

Studiare e connettere

In una terza ricerca 8, invece, si sono voluti esaminare gli ostacoli che compiti di natura interpolativa pongono.

In essa sono state analizzate, grazie a 96 discenti (frequentanti prime e seconde classi di istituti secondari superiori della città di Ragusa), le possibilità dei ragazzi  di questa età di effettuare correttamente operazioni della summenzionata natura.

In che cosa può consistere l’interpolazione, non in un ambito laboratoriale, ma in un ambiente concreto, ecologico (quale è certamente quello scolastico)? Quando, cioè, essa non è svolta sotto forma di gioco, ma in un’attività della vita reale?

A me per l’occasione è parso che il cogliere il senso recondito, vero ma nascosto di una lettura  (e ci sono molti brani il cui significato profondo è nascosto tra le pieghe, sparso, per così dire, tra le righe) potesse essere considerato un test validissimo, una prova ecologica di interpolazione.

Sicuramente a tutti noi è già capitato molte volte di trovarci in situazioni in cui dobbiamo sfruttare tutte le nostre capacità interpolative per potere comprendere fino in fondo il messaggio che ci si offre, esistente ma non esplicitamente o manifestamente statuito.

Infatti, quali sono le operazioni mentali tipiche dell’interpolazione che noi possiamo incontrare anche nell’attività ermeneutica riguardo ad un testo?

Le operazioni compiute nei test interpolativi di laboratorio comportano, non necessariamente nell’ordine in cui qui sono esposte, innanzitutto il prendere atto dei dati che si hanno di fronte, per poi ipotizzare quale possa essere la logica (unica o anche plurale) che lega la catena prima e dopo l’interruzione: si veda il caso frequente in cui ci troviamo di fronte ad una serie numerica o verbale con un vuoto in mezzo, come  si fa anche nei giochi enigmistici svolti per passatempo.

Si può arrivare ad individuare il dato mancante o per intuito, per così dire (misteriosamente saltiamo alla conclusione, non ci è chiaro il modo come ci siamo arrivati, il sesto senso ci dice che funzionerà e che scopriremo dopo i passaggi intermedi).

Ma la meta può essere raggiunta, magari, attraverso un certosino e paziente lavoro di ripasso e di riesame dei collegamenti tra il primo ed il secondo anello della catena, tra il secondo ed il terzo, ecc., verificando di volta in volta ed in maniera completa le nostre ipotesi, anche con un andirivieni tra il primo ed il secondo spezzone della catena, in modo da stabilire che abbiamo una risposta.

E che cosa bisogna, invece, fare quando incontriamo un testo il cui senso non è così piano come ci aspetteremmo?

Possiamo, anche in questo caso, affidarci all’istinto (o intuito che dir si voglia, per poi comunque verificare le nostre ipotesi) oppure intraprenderemo attività di lettura ripetute, a strati per così dire, focalizzandoci sui tratti salienti, su alcuni passaggi topici per cogliere, attraverso la loro sovrapposizione, il vero senso del brano, non evidente a prima vista (costituente, quindi, una sorta di vuoto, di buco).

Come si vede, in ogni caso questa seconda attività somiglia tanto alla prima svolta nel laboratorio!

Dopo attenta ricerca è stato individuato un “test” adeguato alla bisogna, il racconto “Il Camaleonte” di Cechov. Tale brano ha un tenore satirico, ma solo attraverso un’opera di “interpolazione”, cioè riuscendo a collegare elementi distanti tra di loro, sarebbe stato possibile cogliere la sottile ironia che lo pervade, mai diretta ed esplicita.

Gli studenti avrebbero dovuto, dunque, scoprire il vero senso della storia, la carica di critica sociale in essa insita.

Gli alunni erano stati assegnati ad un’unica condizione, quella di studio. La convinzione di partenza era che delle tre operazioni fondamentali di pensiero l’interpolazione fosse la più semplice (v. Bartlett, citato), si voleva semplicemente vedere che percentuale di studenti avrebbero compreso la reale natura del brano e avrebbero formulato esplicitamente quello che nel testo resta implicito, in situazione appunto di studio.

Solo una certa parte dei ragazzi di secondo anno (di 15 anni) sono riusciti a cogliere il senso vero della lettura. Le considerazioni di tutti gli altri sono risultate in massima parte semplicistiche, elementari e fuori luogo.

Gli insegnanti, il profitto e la tipologia di istituto non sembrano avere giocato alcun ruolo, giacché le medesime tendenze hanno attraversato uniformemente tutte e sei le classi coinvolte.

Per vedere se la condizione di lettura avrebbero migliorato le cose (come del resto era avvenuto per l’estrapolazione, vedi la ricerca sopra citata del 2005) è stata ripetuta successivamente l’esperienza in altre prime e seconde (a fine anno scolastico 2006): questa volta gli alunni dovevano semplicemente leggere e provare a rispondere avendo il brano sempre sotto gli occhi. Nel complesso i risultati in termini statistici non sono cambiati significativamente.

Sappiamo già che la condizione di studio non è quella ideale per cogliere pienamente il senso di un brano, ma questa volta neanche la condizione di lettura aiutava.

Perché?

Perché l’interpolazione è, particolarmente in un contesto scolastico, più difficile rispetto all’estrapolazione (cosa che smentisce quanto affermato da Bartlett)?

 

Il ruolo del contesto e dei pattern in situazione di carico cognitivo e di stress

Molti autori, utilizzando il modello dell’Information Processing (e quindi prescindendo da un’analisi sull’importanza dei contesti), parlano di un carico cognitivo particolare, nelle operazioni di interpolazione, sulla memoria di lavoro (la cui capacità, come sappiamo, è abbastanza limitata).

Il dovere tenere contemporaneamente a bada due o più pezzi di una catena informativa causerebbe uno stress particolare, assente, invece, nelle operazioni di estrapolazione in cui c’è solo una stringa di dati da esaminare, passo dopo passo, sui quali ci si può concentrare.

Indubbiamente c’è della verità, in queste affermazioni.

Possiamo immaginare il procedimento estrapolativo come seriale (un passo dopo l’altro si prendono in considerazione gli anelli della catena e si vede che cosa può condurre da un anello all’altro fino all’interruzione, in modo da esaminare come essa possa dopo continuare). Questa operazione comporta difficoltà probabilmente non esorbitanti perché da un dato si può passare all’altro con calma, in modo da arrivare all’ultima stazione con un’ipotesi già verificata: ove essa risultasse, invece, falsificata dai passaggi intermedi si può sempre ricominciare con comodo daccapo.

Il procedimento interpolativo sarebbe, invece, più difficile perché richiederebbe pensiero parallelo, bisognerebbe lavorare contemporaneamente su due (o più) campi differenti con l’aggravio sulla memoria a breve termine di cui si parlava.

Ora io credo che ci sia della verità nelle asserzioni sopra esposte, ma penso anche che queste difficoltà e gli errori commessi durante l’attivazione di processi di tale natura non possano essere spiegati compiutamente ricorrendo solo ai limiti della memoria di lavoro, bisogna oltrepassare il terreno della psicologia cognitiva.

L’uomo si distingue dagli altri essere viventi proprio perché guidato non dal solo istinto ma anche dal pensiero, che è comunque fatica, sforzo, stress.

L’essere umano, allora, per ridursi lo sforzo riflessivo, altrimenti immane, partendo innanzitutto dalla propria esperienza accumulata, ricerca nella realtà, ripetizioni, occorrenze, si sforza di identificare prototipi che possano aiutarlo a trovare una risposta. Ogni persona, dice il neurobiologo Lowery 9, è ricercatore di pattern (o modelli), ed il cervello stesso dell’uomo è strutturato, preparato per questo compito.

Ciò significa che la reazione ad una situazione novella  è abbozzata dall’uomo sulla base della similarità della presente evenienza con circostanze precedenti.

Nella concretezza della realtà cosa comporta tutto questo? Che implicazione potrà mai avere nella pratica educativa?

I concetti sopra esposti sottolineano l’importanza del contesto interno (cosa peraltro affermata dalla stessa psicologia cognitiva, si pensi agli studi di Asubel 10 sull’impalcatura mentale che rende l’apprendimento significativo) e delle esperienze esterne nel guidare l’alunno nelle sue reazioni.

Le strutture concettuali sono costruite dallo studente sulla base di quanto vissuto internamente e di quanto offerto dall’esterno. Si stabiliscono in questo modo delle precomprensioni  le quali diminuiranno lo stress, che non è solo cognitivo, ma al contempo lo condizioneranno nell’interpretare la realtà e nel giudicarla.

Si vengono a costituire dei veri e propri cortocircuiti mentali (i pattern di cui si parlava): essi possono essere un ricchezza (velocizzano le risposte), ma rappresentare anche un pesante condizionamento.

In una circostanza difficile, come può essere l’esperienza di studio di un brano “complicato” come quello di Cechov, allora ci si affida alla legge della similarità, si cerca una corrispondenza tra la presente situazione ed analoghe vicissitudini antecedenti.

Così, il nocciolo del racconto è stato individuato da molti ragazzini nel fatto che “non bisogna maltrattare gli animali”.

Certo, chi asserisce questo è rimasto evidentemente colpito della parte in cui un tizio della folla afferma che Chriukin- uno dei protagonisti del racconto- ha premuto il sigaro sul naso del cane così, tanto per divertirsi, ma è molto probabile che l’importanza eccessiva data a questo passaggio della lettura sia causata dall’esperienza di attaccamento degli adolescenti agli animali considerati come amici, oltre che dalle ricorrenti campagne di stampa di sensibilizzazione riguardo ai maltrattamenti degli animali.

Un cortocircuito mentale ha guidato l’interpretazione del brano fino a falsarne il senso.

Altri, invece, ne ricavano la convinzione che le bugie hanno le gambe corte (probabilmente dando un’importanza eccessiva alle parole del commissario che mette in dubbio la veridicità di certe asserzioni), sicuramente guidati dall’eco di raccomandazioni morali tipiche della tarda infanzia- prima adolescenza!

Gli alunni più grandi che, invece, avevano compiuto sufficiente esperienza delle relazioni sociali e delle iniquità talora insite in esse, probabilmente proprio perché queste ingiustizie erano rimaste scolpite nella loro mente, riuscivano a cogliere fino in fondo la critica alla società!

 

La ricerca

Per valutare in dettaglio, però, la fondatezza di quest’ipotesi, ovvero per esaminare  la centralità del contesto nel guidare le interpretazioni e questioni ulteriori che si pongono con un compito interpolativo in ambito scolastico, è stata organizzata una nuova ricerca sulla scorta dei risultati della ricerca precedente (2006) 11.

Essa si è svolta  nel periodo intercorrente tra il 21/4/2007 ed il 14/5/2007.

A 59 alunni di età compresa tra 14 e 19 anni ed appartenenti ad una prima, a due seconde e ad una quinta dell’ITC “Besta” di Ragusa sono stati assegnati dei brevi brani (7), collegati in certo modo tra di loro, da leggere attentamente.

Alla fine del periodo prestabilito (45 minuti), gli studenti avrebbero dovuto, in un quarto d’ora, scrivere qual era il senso complessivo dei brani letti e che messaggio personale ne avevano tratto. Per motivarli a produrre il massimo sforzo, era stato anche detto che quanto da loro svolto sarebbe stato valutato ai fini del profitto complessivo.

Nella presente ricerca non è stata inclusa una condizione di studio perché  si volevano esaminare più in profondità le difficoltà poste dalla sola lettura di testi, scelti in modo che potessero prodursi sforzi interpolativi di un certo rilievo, per così dire da essere “impegnativi” ad età diverse: una situazione di apprendimento vero e proprio, come tentativo di ritenzione, avrebbe ulteriormente complicato le cose!

I brani assegnati, che di seguito si riportano integralmente, erano in effetti i documenti allegati nell’ambito tecnico-scientifico (tipologia saggio breve) dal Ministero della Pubblica Istruzione in occasione della prova di Italiano (sessione ordinaria 2005 dell’esame di Stato).

ARGOMENTO: Catastrofi naturali: la scienza dell’uomo di fronte all’imponderabile della Natura!

DOCUMENTI
“Natura! Ne siamo circondati e avvolti – incapaci di uscirne, incapaci di penetrare più addentro in lei. Non richiesta, e senza preavviso, essa ci afferra nel vortice della sua danza e ci trascina seco, finché, stanchi, non ci sciogliamo dalle sue braccia. Crea forme eternamente nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna- tutto è nuovo, eppur sempre antico. Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri. Essa parla continuamente con noi, e non ci tradisce il suo segreto. Agiamo continuamente su di lei, e non abbiamo su di lei nessun potere. Sembra avere puntato tutto sull’individualità, ma non sa che farsene degli individui. Costruisce sempre e sempre distrugge: la su fucina è inaccessibile….Il dramma che essa recita è sempre nuovo, perché crea spettatori sempre nuovi. La vita è la sua più bella scoperta, la morte, il suo stratagemma per ottenere molta vita…. Alle sue leggi si ubbidisce anche quando ci si oppone; si collabora con lei anche quando si pretende di lavorarle contro….Non conosce passato  né avvenire; la sua eternità è il presente….Non le si strappa alcuna spiegazione, non le si carpisce nessun beneficio, che essa non dia spontaneamente….E’ un tutto; ma non è mai compiuta. Come fa oggi, potrà fare sempre”

J.W.GOETHE, Frammento sulla natura, 1792 o 1793

“Molte sono e in molti modi sono avvenute e avverranno le perdite degli uomini, le più grandi per mezzo del fuoco e dell’acqua…. Quella storia, che un giorno Fetonte, figlio del Sole, dopo aver aggiogato il carro del padre, poiché non era capace di guidarlo lungo la strada del padre, incendiò tutto quello che c’era sulla terra ed anch’egli morì fulminato, ha l’apparenza di una favola, però si tratta in realtà della deviazione dei corpi celesti che girano intorno alla terra e che determina in lunghi intervalli di tempo, la distruzione, mediante una grande quantità di fuoco, di tutto ciò che c’è sulla terra… Quando invece gli dei, purificando la terra con l’acqua, la inondano… coloro che abitano nelle vostre città vengono trasportati dai fiumi nel mare…Nel tempo successivo, accaduti grandi terremoti e inondazioni, nello spazio di un giorno e di una notte tremenda… scomparve l’isola di Atlantide assorbita dal mare; perciò ancora quel mare è impraticabile e inesplorabile, essendo d’impedimento i grandi bassifondi di fango che formò l’isola nell’inabissarsi”.

PLATONE, Timeo, 22c-25d  passim

“La violenza assassina del sisma ci pone davanti alla nostra nuda condizione umana e alle nostre responsabilità. Inadeguatezza delle nostre conoscenze, l’insufficienza delle nostre tecnologie…Un punto tuttavia- tutto laico- è ineludibile: dobbiamo investire nuove energie sul nesso tra natura e comunità umana. Energie di conoscenza, di tecnologie ma anche di solidarismo non genericamente umanitario, ma politicamente qualificato.”

G. E. RUSCONI, L’Apocalisse e noi, LA STAMPA, 30/12/2004

“Mi fa una certa tenerezza sentire che l’asse terrestre si è spostato. Mi fa tenerezza perché fa della Terra un oggetto più tangibile e familiare. Ce la fa sentire più “casa”, piccolo pianeta dal cuore di panna, incandescente, che mentre va a spasso negli spazi infiniti insieme al Sole, gli gira intorno, ruota su se stesso e piroetta intorno al proprio asse- un ferro di calza infilato nel gomitolo del globo- che con la sua inclinazione di una ventina di gradi ci dà il giorno e la notte e l’alternarsi delle stagioni. Non è male ricordarsi ogni tanto che la Terra è grande, ma non infinita; che non vive di vita propria in mezzo al nulla, ma ha bisogno di trovarsi sempre in buona compagnia; che non è un congegno automatico ad orologeria, ma che tutto procede (quasi) regolarmente soltanto per una serie di combinazioni fortunate. La Terra è la nostra dimora, infinitamente meno fragile di noi, ma pur sempre fragile e difesa soltanto dalle leggi della fisica e dalla improbabilità di grandi catastrofi astronomiche…Quello dello spostamento dell’asse terrestre è solo una delle tante notizie-previsioni di matrice scientifica…..C’è chi dice che a questo evento sismico ne seguiranno presto altri a “grappoli”…Altri infine fanno previsioni catastrofiche sul tempo che sarà necessario per ripristinare certi ecosistemi…Ciò avviene… perché moltissime cose le ignoriamo, soprattutto in alcune branche delle scienze della Terra. La verità è che, eccetto casi particolarmente fortunati, non siamo ancora in condizione di prevedere i terremoti e i maremoti”.

E. BONCINELLI,  Dall’asse distorto ai grappoli sismici. Quando la scienza vuol parlare troppo, CORRIERE DELLA SERA, 21/1/2005

 

“Il paradosso è questo: i fattori che causano un maremoto…sono gli stessi che, ragionando in tempi lunghi, hanno reso il nostro Pianeta un luogo privilegiato del sistema solare, dove la vita ha potuto svilupparsi ed evolvere. Partiamo da considerazioni banali: gli ingredienti di uno tsunami o maremoto sono due: grandi masse d’acqua liquida, cioè l’oceano; e sotto all’oceano, uno strato solido e  rigido, la litosfera terrestre, che però si muove. La litosfera che giace sotto gli oceani varia di spessore tra i 10 e gli 80 chilometri; in alcune zone particolari è squassata periodicamente da improvvisi sussulti con spostamenti di masse che possono trasmettere grande energia alle acque sovrastanti e causare il maremoto. Ma perché questi sussulti, perché questa litosfera solida ma viva, vibrante, sempre in movimento….? E poi, perché questi grandi volumi di acqua liquida che coprono i due terzi della nostra Terra?”

E. BONATTI, Ma è l’oceano che ci dà vita, IL SOLE 24 ORE, 2/1/2005

 

“Il XX secolo ci ha insegnato che l’universo è un posto più bizzarro di quanto si immagini…né l’instabilità dell’atomo, né la costanza della velocità della luce si accordano allo schema classico della fisica newtoniana. Si è aperta una frattura fra ciò che è stato osservato e quanto gli scienziati possono invece spiegare. A livello microscopico i cambiamenti sono improvvisi e discontinui: gli elettroni saltano da un livello energetico all’altro senza passare per stadi intermedi; alle alte velocità non valgono più le leggi di Newton: la relazione fra forza e accelerazione è modificata, e così pure la massa, le dimensioni e perfino il tempo….La speranza che tutti i fenomeni naturali possano essere spiegati in termini di materia, di forze fondamentali e di variazioni continue è più esile di quanto si creda, anche negli ambiti di ricerca più familiari. Ciò vale per buona parte della fisica e per alcuni aspetti della chimica, scienza che solo nel XIX secolo è divenuta rigorosamente quantitativa, mentre è molto meno vero per la chimica organica e per la biochimica. Scienze della Terrra, come la geologia e la meteorologia, in cui la complessità non può essere troppo idealizzata, si basano più su descrizioni e giudizi qualitativi specializzati che su una vera teoria”.

R.     VOODCKOC- M. DAVIS, La teoria delle catastrofi, Milano, 1982

 

“Comprendere il mondo, agire sul mondo: fuor di dubbio tali sono gli obiettivi della scienza. In prima istanza si potrebbe pensare che questi due obiettivi siano indissolubilmente legati. Infatti, per agire, non bisogna forse avere una buona intelligenza della situazione, e inversamente, l’azione stessa non è forse indispensabile per arrivare ad una buona comprensione dei fenomeni? …Ma l’universo, nella sua immensità, e la nostra mente, nella sua debolezza, sono lontani dall’offrirci sempre un accordo così perfetto: non mancano gli esempi di situazioni che comprendiamo perfettamente, ma in cui ci si trova ugualmente in una completa incapacità di agire; si pensi ad un tizio la cui casa è invasa da un’inondazione e che dal tetto su cui si è rifugiato vede l’onda che sale o lo sommerge. Inversamente ci sono situazioni in cui si può agire efficacemente senza comprenderne i motivi… quando non possiamo agire non ci resta più che fare buon viso a cattivo gioco e accattare stoicamente il verdetto del destino…Il mondo brulica di situazioni sulle quali visibilmente possiamo intervenire, ma senza sapere troppo bene come si manifesterà l’effetto del nostro intervento”.

R. THOM, Modelli matematici della morfogenesi, Torino, 1985

 

Formulazione dell’ipotesi

 

I brani parlano, come si è potuto vedere, delle difficoltà dell’uomo di capire veramente la Natura.

L’ipotesi di partenza è stata che, nonostante la condizione assegnata fosse unica e  non impegnativa (gli alunni avrebbero dovuto leggere solo i passaggi, non studiarli, non ritenerli, quindi senza affaticarsi e preoccuparsi di questioni altre), i soggetti della ricerca avrebbero avuto difficoltà nel comprendere veramente il senso dei testi per almeno quattro motivi differenti:

1)     l’interpolazione è comunque operazione difficile, soprattutto per i soggetti più piccoli di età, probabilmente anche in una semplice condizione di lettura come questa;

2)      nel caso presente il test consisteva nel leggere ben 7 brani differenti (alcuni anche lunghi). Tentare di capire che cosa potesse accomunarli significava sovrapporre i brani, cavarne similarità e differenze: un bel problema;

3)     i documenti offerti erano come fuori contesto (essi erano stati assegnati all’esame di stato del 2005 quando erano di scottante attualità a causa dell’onda anomala causata dal terribile maremoto che aveva sconvolto il Sud-Est asiatico!): era, perciò, necessario un supplemento di sforzo riflessivo. Il titolo poteva aiutare in maniera sostanziale (il tema che li accomunava era, infatti, quello dell’insondabilità della natura): ma probabilmente sarebbe passato inosservato (come poi effettivamente è avvenuto).

4)     nella tarda primavera del 2007, quando il test è stato effettuato nelle classi summenzionate, sui mezzi di comunicazione si parlava in maniera insistente degli sconvolgimenti climatici, dell’effetto serra e delle gravi responsabilità dell’uomo in tutto ciò. Trattandosi comunque di Natura, si potevano innescare dei cortocircuiti mentali, che avrebbero creato l’illusione che l’interpretazione fosse facile e a portata di mano, ma che in effetti avrebbero confuso, facendo leggere i brani come un atto di accusa contro l’umanità e le sue colpe negli sconvolgimenti!

 

La presupposizione era, infine, che anche gli allievi di 5° anno (di 18-19 anni) avrebbero letto i brani allo stesso modo di quelli della prima classe: in situazioni di fatica e di confusione anche in loro si sarebbero innescati i cortocircuiti mentali di cui si parlava sopra. In altri termini, in circostanze difficili il contesto probabilmente avrebbe fatto aggio anche su aspetti importanti come la maturazione delle abilità cognitive o l’accresciuta resistenza allo stress.

Si può anche supporre che all’esame di stato del 2005 (ma non ho dati precisi al riguardo dei risultati di due anni fa) i candidati i quali hanno affrontato questa tipologia di prova siano riusciti a capire le letture in maniera percentualmente più elevata rispetto ai soggetti della ricerca 2007 (l’importanza del contesto!)

Dalla lettura delle loro risposte è emerso il seguente quadro.

I risultati

Tabella 1

 

Alunni di I Alunni di II Alunni di V Totali di riga
Risposta corretta(hanno colto il senso complessivo dei brani) 7 9 4 20
Risposta errata (hanno frainteso i brani) 13 18 8 39
Totali colonna 20 27 12  59

Nota sulla tabella 1: l’analisi del chi quadrato sulla differenza tra risposte corrette e risposte errate attraverso i tre livelli (I, II e V anno) mostra che essa è praticamente insignificante, corrispondendo a quanto atteso, X² (2, N=59)=0.16, p=.992, 2-sided: in termini concreti, non c’è stata diversità nei trend di risposta tra gli alunni di scolarizzazione ed età differenti. Evidentemente il contesto ha preso il sopravvento su tutto il resto!

È stato anche condotto un “good of fitness test” per vedere se la differenza tra risposte corrette ed errate degli allievi considerati nel loro insieme si allontanava dalla distribuzione teorica: questa volta lo scostamento è risultato abbastanza significativo, X² (1, N=59)=6.11, p=.013. In altre parole si può escludere che la percentuale superiore di risposte errate (66.1%) rispetto a quelle corrette (33.9%) sia da attribuire al caso.

Commento

 

Le considerazioni prodotte dai discenti sono state codificate, ovvero classificate in tipologie, a seconda dei concetti centrali che le reggevano, e su questa base giudicate errate o corrette.

Dalla tabella 1 si può notare come le tendenze di risposta non siano cambiate attraverso le classi: la maturazione cognitiva, l’abitudine a compiti “difficili” in preparazione dell’esame di Stato non hanno esentato gli allievi più grandi di quinta dal produrre considerazioni fuori luogo ed in massima parte simili a quelle degli iscritti al primo anno!

La differenza tra risposte errate (66.1%) rispetto a quelle corrette (33.9%) risulta, invece, significativa.

La percentuale superiore di risposte errate non può spiegarsi se non con la natura del compito e l’intervento del contesto, che è sembrato a tanti eliminare la fatica di pensare di fronte a ben sette brani diversi e soprattutto il tedio di esaminarli nel dettaglio attraverso letture e confronti ripetuti.

 Nel presente studio interessa discutere solo le risposte errate.

Le considerazioni “erronee”, a prescindere dalla tipologia di appartenenza, erano, comunque, indotte da riflessioni che in senso lato possono essere definite di natura “ecologistica” (dominanti al momento del test nel dibattito comune).

 Se ne sintetizzano ora le più comuni, che colpiscono tutte, perché è facile chiedersi quali possano essere i punti di contatto tra i testi consegnati e le considerazioni espresse!

 

La natura fragile e vendicativa…

“La natura è fragile, qualche volta si arrabbia, ma se noi la rispettiamo, essa non ci farà dispetti” (alunno di I anno).

“La natura ci fa soffrire, perché noi abbiamo fatto soffrire lei. Il nostro sfruttamento dello risorse è così intenso che la natura non può far altro che ribellarsi” (alunni di I, di II e V anno).

“La natura è grandiosa, ma qualche volta si arrabbia con l’uomo per il suo operato” (alunni di I e II classe).

La natura meravigliosa…

“Nell’universo ci sono tante bellezze, ma noi non le notiamo nemmeno e non ce ne curiamo” (alunno di I anno).

“La natura è un dono meraviglioso, ma noi non riusciamo ad apprezzarla, anzi la distruggiamo” (alunni di II e V anno).

“Nella natura ci sono tante specie animali e vegetali, guardandole ti rendi conto di quanto sei fortunato; dobbiamo collaborare per renderla migliore, altrimenti morirà” (alunno di V classe).

Potenziare la sensibilità verso la natura…

“Nelle scuole bisognerebbe insegnare di più a rispettare la nostra Terra, perché la stiamo distruggendo” (alunni di II anno).

“Questi brani cercano di infondere in noi la sensibilità che ci manca per rispettare la natura” (alunni di I e II classe).

La causa delle catastrofi…

“L’inquinamento dell’uomo causa fenomeni come terremoti, maremoti, ecc. (alunni di II anno).

“L’aumento eccessivo della temperatura, causato dall’inquinamento, provoca l’effetto serra, la liberazione di gas nocivi provoca il buco dell’ozono” (alunno di II classe).

“Adesso ognuno si comporta come vuole e la natura viene distrutta; dobbiamo imparare a stare in sua compagnia” (alunni di I e  V anno).

“Ho capito che bisogna fare qualcosa per salvare la natura, ad es. evitare di tagliare gli alberi” (alunno di II anno).

 I dati statistici e l’analisi qualitativa delle risposte errate sembrano confermare, dunque, l’ipotesi di partenza: i processi interpolativi sono particolarmente difficili anche in una condizione semplice qual è quella di lettura (evidentemente in una tipica situazione di studio le cose non potrebbero che ulteriormente peggiorare!).

In un frangente come questo, inoltre, di carico cognitivo e di fatica il contesto prende il sopravvento e guida le operazioni, perché sembra facilitare il tutto.

Nel presente studio gli allievi di V anno posti nelle condizioni di alunni di I e II classe hanno avuto le stesse reazioni cognitive, cadendo egualmente nella trappola “ecologistica”.

Conclusioni 

Quali sono dunque le migliori condizioni per pensare?

Dalle prime due ricerche (2004 e 2005) summenzionate la condizione di studio è  risultata paradossalmente la meno idonea a sviluppare riflessività. La condizione di lettura (2005) è parsa migliorare sensibilmente le cose, incrementando la “pensosità”.

Ma nel terzo studio (2006) è stato verificato come esistano compiti particolarmente impegnativi (quelli interpolativi) per i ragazzi di una certa età e come nemmeno la condizione di lettura (così è stato accertato poi) possa cambiare le cose. In questo caso non le abilità intellettive, non il profitto scolastico, non la condizione relativamente “rilassata”, ma solo i frangenti di vita vissuta hanno determinato le risposte pertinenti.

Solo che le esperienze, i contesti incontrati sono importanti e arricchiscono la persona, ma possono portare anche fuori strada, in quanto attivanti pattern, automatismi: e questo è il risultato della presente (2007) ricerca.

Il compito assegnato nel 2007 agli studenti, classificabile anch’esso come interpolativo, era senza dubbio più impegnativo rispetto a quello del 2006.

Ancora una volta la condizione privilegiata (quale abbiamo visto essere quella di lettura rispetto allo studio) non ha aiutato, ma ora, in presenza di una difficoltà pronunciata, neanche la maggiore esperienza (ovvero l’età) ha discriminato più: ciò ha fatto sì che una percentuale consistente di alunni non sia riuscito a cogliere il vero senso dei 7 brani offerti.

 Anche studenti di 18-19 anni hanno prodotto, di fronte ad un compito che era stato pensato da Ministero della Pubblica Istruzione proprio per loro nel 2005, le medesime considerazioni semplici di ragazzi di 14 anni.

In situazione di difficoltà pronunciata il contesto esterno ed interno determina l’attivazione di cortocircuiti mentali, di schemi che prendono il sopravvento ed in maniera spesso fallace sembrano risolvere ogni problema.

Che conclusioni trarne?

In generale sembra esserci una relazione inversa tra sforzo e pensosità: quando aumenta l’uno diminuisce l’altra (voglio specificare che lo sforzo  di cui qui si parla è lo stress, non l’impegno cosciente che ha, invece, una relazione diretta con i risultati)!

Leggere è meglio che studiare in termini di attivazione di vera riflessività: ma se il compito è particolarmente gravoso e lo stress interpretativo è notevole, è molto probabile che la persona si faccia comunque guidare da modelli di risposta suggeriti dal contesto, da schematismi che possono portare fuori pista.

Nelle condizioni di difficoltà il riflettere vero è meno diffuso di quanto non crediamo.

 Pensare significa, infatti, rivedere, ritornare, domandarsi, mettere in dubbiocomparare: tutte operazioni non semplici e faticose, che non vengono neppure favorite da una certa cultura dominante. In ambito scolastico, e non, sembra, infatti, vigere un principio assurdo: chi è bravo è anche veloce, cioè capace di trovare una soluzione nel più breve tempo possibile. Dunque ognuno si affretti a trovarla!

 La fretta è naturale ma in molte circostanze è uno dei più importanti fattori limitanti 12.

Pensare significa anche la disponibilità a pensare, la sensibilità nell’intravedere quelle situazioni lacunose che a prima vista potrebbero sembrare soddisfacenti. In altri termini, la persona riflessiva non è solo capace di risolvere i problemi, soprattutto li sa individuare!

Se pensare non è dunque naturale e istintivo come lo possono essere il respirare ed il mangiare e se nei compiti gravosi si ricorre a determinati pattern di risposta, spesso fallaci, è necessario che alla vera riflessività si venga abituati, addestrati.

Studiare non basta, così come non basta avere maturato una certa esperienza per dire di essere diventate delle persone “riflessive”.

I docenti devono esplicitamente insegnare a pensare, ad intravedere i problemi.

A questo fine possono essere utili gli organizzatori mentali che guidano il pensiero e lo reggono passo dopo passo, per evitare che esso ricorra a soluzioni stereotipate o si accontenti della prima risposta a portata di mano.13.

Alcune esperienze effettuate in un contesto italiano hanno già testimoniato la loro efficacia 14. Questi strumenti sono come dei passamano della riflessione e la disciplinano anche quando è necessario un sforzo intenso, come si diceva sopra, di pensiero parallelo.

Giuseppe Tidona

Ragusa, estate 2007

Per contattare l’Autore, si può scrivere all’indirizzo e-mail gtidon@tin.it .

1  Sir Frederic Bartlett,  Thinking- An Experimental and Social Study, London, Allen & Unwin LTD, 1958, pp. 21-22.
2 Sir Frederic Bartlett, op. cit., p. 22.
3 Sir Frederic Bartlett, op. cit., p. 33.
4Cfr., tra gli altri, Nickerson, Perkins & Smith, The Teaching of Thinking, London, Lawrence Erlbaum Associates,  1985, p.50.
5 G. Tidona, Studiare e pensare, Ragusa, 2004; è possibile leggere la versione integrale dell’articolo riferente i risultati  della ricerca accedendo al sito: http://www.itcbesta.it/Tidona.htm. La ricerca è stata presentata alla V Conferenza Internazionale sul Pensiero Creativo presso l’Università di Malta  e la sua versione inglese è stata pubblicata in Creative Thinking- Selected Proceedings of the Fifth International Conference on Creative Thinking,  edited by Sandra Dingli, Malta, Malta University Press, 2007.
6 E. de Bono, CoRT Thinking, Blandford, Dorset, Direct Education Services Limited, 1973-1975; vedi anche de Bono, CoRT Thinking Program. Workcards and Teacher’s Notes. Chicago, Science Research Associates, 1987.
7 G. Tidona, Studiare non aiuta a pensare, Ragusa, 2005; la ricerca è stata sottoposta al Comitato scientifico della 12th International Conference on Thinking presso l’Università di Melbourne, Australia (2005) ed accettata dallo stesso per la presentazione durante la conferenza. Anche in questo caso è possibile leggere la versione integrale dello studio accedendo al sito citato sopra.
8 G. Tidona, Studiare e connettere, Ragusa, 2006; anche in questo caso è possibile leggere la versione integrale della ricerca accedendo al sito:  http://www.itcbesta.it/Tidona.htm.
9 L. Lowery, The Biological Basis for Tinking,  in “Developing Minds” edited by A. Costa, Alexandria- USA, ASCD, 2001, p.175.
10 Cfr. D. Ausubel, Educazione e processi cognitivi,  Milano, Franco Angeli, 1998.
11 Cfr. G. Tidona, Studiare e connettere, cit.
12 Perkins, Outsmarting IQ, NY, The Free Press, 1995, volume in cui Perkins individua la hastiness come uno dei limiti riflessivi salienti dell’uomo di oggi.
13 Vedi, ad es. gli strumenti CoRT di E. de Bono, citato sopra.
14 Vedi i miei resoconti “E’ possibile migliorare la creatività e la riflessività dei ragazzi?”, in Dialogo, anno XXVI, n.7, ottobre 2001, Modica, pp 1-9, e “Riflessività e creatività a scuola”, in Dialogo, anno XXVII, n. 7, ottobre 2002, Modica, pp.7-8. Entrambi gli studi sono disponibili on line sul sito web citato sopra.

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