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Recensione: “Il mito e il velo” di Federico Guastella

di Giuseppe Nativo

Fuori e dentro la storia. Mito e vicende umane. Intrecci indissolubili dove il cielo si incontra con la terra dando origine ad una dimensione altra, gravida di simboli e leggende. Lì il mito, sorta di “velo” tra immanente e trascendente, facendosi carico del “suo alto valore misterico”, si incarna come “libro sacro di una civiltà”. In tale prospettiva la Sicilia, centro del Mediterraneo, incrocio di pensieri e culture e culla di civiltà, conserva echi di vetusta testimonianza: incisioni rupestri preistoriche come quelle dell’Addaura, necropoli come Pantalica, insediamenti rupestri come Cava d’Ispica, mirabilmente descritta da Gesualdo Bufalino come “una valle lunga e magra” in cui è possibile farsi ammaliare da “un termitaio di grotte, loculi, sacelli che le meteore e gli uomini hanno misteriosamente scavato”.

Alfeo e Arethusa, di Carlo Maratta

E’ proprio in questa fascinosa Trinacria che le pietre narrano e cantano racconti dove coesistono almeno due dimensioni, quella immaginaria e quella allegorica. In Sicilia i miti abbondano: qui Odisseo incontra e acceca il gigante Polifemo, figlio di Poseidone; nei pressi di Enna, Ade rapisce Persefone; la Sicilia è luogo degli infelici amori di Aci e Galatea, di Alfeo e Aretusa.

Federico Guastella
Qual è il confine tra storiografia e narrazione mitica? A cercare di esaminare quel “velo” ultra-millenario di valore misterico e simbolico che ammanta il mito è il recente lavoro poliedrico di Federico Guastella, “Il mito e il velo – Simboli e leggende” (Gruppo editoriale Bonanno, Acireale-Roma, 2017, pp. 220). L’autore – paternese di nascita, ragusano per affezione e pronipote dello scrittore Serafino Amabile Guastella – con l’occhio clinico dello storico, la perspicacia del saggista consumato e la destrezza del narratore disincantato, apre la finestra del tempo offrendo al lettore un viaggio sulla cultura mediterranea, ai confini tra antropologia e storia che tocca da vicino la ricchezza delle tradizioni che rappresentano il “retaggio prezioso lasciato dalle civiltà precedenti”, come annota il prefatore Raffaele Puccio. In tale contesto si inserisce la civiltà egizia alla quale Guastella dedica ampio spazio. Quelle che attirano l’animo del lettore sono le magiche suggestioni offerte da un’Isola esoterica in cui riecheggiano radici lontane come i culti isiaci. 

Molteplici le tracce egiziane in Sicilia come una statuetta funeraria dedicata a Iside, rinvenuta nella necropoli di San Placido (Messina), la cui funzione era quella di risparmiare al defunto i lavori pesanti nell’al di là. I più importanti santuari dell’Iside siciliana erano ad Enna e ad Erice dove, fra rupi scoscese e grotte scavate nella roccia, si celebravano riti iniziatici. Colpisce non poco, a d esempio, la festa di Iside in Corinto la cui descrizione fatta da Apuleio nelle “Metamorfosi”, ha molte similitudini con quella di Sant’Agata a Catania. A parlarne fu il modicano Emanuele Ciaceri (1869 – 1944) mettendo specificamente in luce sopravvivenze di moduli isiaci in alcuni particolari della mascheratura e del comportamento dei partecipanti al rito.

Stimabile fatica, dunque, questa di Federico Guastella che si legge come un accattivante romanzo i cui protagonisti, sebbene appartengano a un mondo remoto, parlano ancora alla mente e al cuore di ciascuno.

Giuseppe Nativo

Ragusa, 15 giugno 2018

Nota: la presente recensione è stata pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” di Catania del 13 giugno 2018.

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