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Viaggi in Sicilia: Goethe e Maupassant

di Federico Guastella

Conosci la terra dei limoni in fiore,
dove le arance doro splendono tra le foglie scure,
dal cielo azzurro spira un mite vento,
quieto sta il mirto e lalloro è eccelso,
la conosci forse?
Laggiù, laggiù io
andare vorrei con te, o amato mio!

Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), ritratto di Joseph Karl Stieler (1828)

Sono i famosi versi che Goethe fa pronunciare a Mignon  nel suo Wilheim Meister Lehrjahre, pubblicato fra il 1795 e il 1796. Fanno pensare al viaggio in Italia, da lui realmente compiuto dal 1786 al 1788, spingendosi verso la Sicilia, l’isola dalle antichissime origini. “La Sicilia mi richiama l’Asia e l’Africa; trovarsi nel centro meraviglioso, dove convergono tanti raggi della storia universale, non è cosa da nulla” dice Goethe alla vigilia della sua partenza per l’Isola.  L’opera in cui descrive il “tour” si intitola Viaggio in Italia1. Leggendo le pagine che egli dedica alla patria della scuola poetica del volgare italiano alla corte di Federico II di Svevia (1194-1250, re di Sicilia dal 1198 e imperatore dal 1220), suggestionano di certo le annotazioni scritte nel maggio del 1787: 

Chi si collochi nel punto più alto, occupato un tempo dagli spettatori, non può fare a meno di confessare che forse mai il pubblico dun teatro ha avuto innanzi a sé uno spettacolo simile. A destra, sopra rupi elevate, sorgono dei fortilizi; laggiù in basso la città (…). Lo sguardo abbraccia inoltre tutta la lunga schiena montuosa dellEtna, a sinistra la spiaggia fino a Catania, anzi fino a Siracusa (…). Se poi da questo spettacolo si volge locchio (…), ecco a sinistra tutte le pareti della roccia, e fra queste ed il mare la via che serpeggia fino a Messina, e gruppi e ammassi di scogli nello stesso mare, e la costa della Calabria nellultimo sfondo (….). Non è da dimenticare che abbiamo goduto la vista di questa bella spiaggia sotto il cielo più puro, dallalto dun balconcino, fra rose che occhieggiavano e usignoli che cantavano. 

L’Etna vista dal Teatro Antico di Taormina – foto di Pippo Palazzolo

La descrizione si riferisce a Taormina, l’ammaliante cittadina fondata da coloni greci che, dopo l’eccidio di Naxos del 403 a. C., si attestarono sulle pendici del vicino colle “dalla forma di toro”, a strapiombo sul mare Jonio (Il nascente centro abitato prese il nome di “Tauromenion”, toponimo composto da “Toro” e dalla forma greca “Menein” che significa “Rimanere”2).  Lo stile è confidenziale, egli descrive parlando; racconta come se usasse il pennello. Il fascino del luogo sicuramente dovette agire nel suo animo irrequieto: di certo l’antico mito, a seguito della discesa agli inferi, conduce alla luminosa e rinnovata Demetra. Come pellegrino che trova una poetica disposizione di spirito, alla vigilia della partenza per la “grande”, “bella”, “impareggiabile Isola”, egli osserva: “La Sicilia è per me un preannuncio dell’Asia e dell’Africa…”. Una sorta di musa ispiratrice in cui gli si rivelano storia e civiltà aperte ad altre culture. Nota è ormai la sua perentoria affermazione “L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna idea nell’anima: qui si trova la chiave di tutto”. Le pagine sono suggestive, trasparenti, animate da uno sguardo puntato sia al mare che ai monti: “La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita.”

Monte Pellegrino, Palermo – foto di Giorgio Sommer (1834-1914) tratta da Wikipedia

A Palermo resta incantato dalla visione di monte Pellegrino: “il più bel promontorio del mondo”. Tanta la dolcezza e la mitezza che gli faceva sentire l’aria profumata, anche se non manca di rilevare la presenza d’immondizia per le strade. Il materiale è vario, fresco e vivace. Vale la pena di accennare alla visita che egli compie alla caverna dove furono scoperte le ossa di santa Rosalia che lì si era chiusa in romitaggio: “Una bella giovinetta mi apparve allora, al chiarore di due lampade tranquille. Sembrava come rapita in estasi, gli occhi a metà velati, il capo mollemente abbandonato sulla mano destra, carica di anelli. Non potevo saziarmi dal contemplarla, come se avesse avuto un fascino del tutto singolare”. Si vorrebbe fermare l’attenzione sulla visita che egli, massone, fa nella presunta abitazione del leggendario Cagliostro, visto come “uomo straordinario”.

Tempio della Concordia, Agrigento – foto tratta da Wikipedia

E si riterrebbe significativo soffermarsi sui paesaggi di Alcamo, di Segesta e di Girgenti, l’attuale Agrigento che gli si mostra con l’esuberante bellezza della “valle dei templi”. A Catania visita il palazzo Biscari e il Convento dei Benedettini.

Giardino dei novizi – Monastero dei Benedettini – foto di Nicolò Arena (Wikipedia)

Poi vuole raggiungere la cima dell’Etna come avrebbe voluto fare il suo precursore l’inglese Brydone.  Era il 6 maggio del 1787 quando il poeta di Weimar, celebre in tutta Europa, salì sui suoi Monti Rossi (cicatrici di un’eruzione laterale del vulcano alle sue propaggini meridionali): “… la mattina per tempo ci siam messi in cammino e rivolgendoci sempre a guardare indietro, dall’alto dei nostri muli, abbiam raggiunto la zona delle lave non ancora domate dal tempo. Blocchi e lastre frastagliate ci presentavano le loro masse irrigidite, attraverso le quali le nostre cavalcature si aprivano a caso un sentiero.

Etna – antica incisione con il percorso delle colate laviche dell’eruzione del 1669 (tratto da Wikipedia)

Giunti alla prima vetta d’una certa importanza, abbiamo fatto sosta. Il Kniep ha riprodotto con grande esattezza ciò che si presentava innanzi a noi dalla parte della montagna: le masse di lava in primo piano, le vette gemelle dei Monti Rossi a sinistra, e di rimpetto a noi la selva di Nicolosi, sopra la quale si ergeva il cono dell’Etna ricoperto di neve e leggermente fumante… Avevo sott’occhio tutta la distesa della spiaggia da Messina a Siracusa, con le sue insenature e i suoi golfi, ora completamente libera, ora un po’ nascosta da qualche scoglio sulla riva…”. Il viaggio termina nella Messina disastrata dal sisma con una riflessione sull’impossibilità di conoscere un luogo in ogni dettaglio: “Davvero ci vorrebbe tutta una vita umana, anzi la vita di parecchi uomini, che man mano si trasmettessero le loro conoscenze”.                                

Henri-René-Albert-Guy de Maupassant (1850-1893) – ritratto di Hippolyte Bellangé (1800-1866) – tratto da Wikipedia

Guy De Maupassant (Tourville-sur-Arques, 5 agosto 1850 – Parigi, 6 luglio 1893), lo scrittore di Bel-Ami, visita la Sicilia nel 1885, a 35 anni, quasi un decennio prima della sua morte. La traversata è quella da Napoli a Palermo, capitale dell’Isola, cui egli dedica buona parte dell’attenzione. Lì  alloggia all’Hôtel des Palmes. Il resoconto ha il gusto elegante e umoroso del dettaglio. E’ possibile leggerlo nell’opera La Sicilia (Sellerio, Palermo, 1990) con l’introduzione di Gesualdo Bufalino3, cui segue una nota di Giuseppe Scaraffa. Venticinque tavole, tratte dal “Viaggio in Sicilia” di Jean Houël (di cui si parla nella seconda parte del libro), impreziosiscono la pubblicazione. Il francese si mostra attratto dalle bellezze naturali e artistiche dell’Isola, corteggiata e amata da diversi popoli al punto da combattersi per possederla e arricchirla  in modo sorprendente. Profondamente sedotto dalla luce e dai colori, così decisamente afferma all’inizio del suo resoconto: “E’ come la Spagna, il paese degli aranci, la terra fiorita la cui aria in primavera è tutta un profumo e accende ogni sera al di sopra dei mari il mostruoso faro dell’Etna, il più grande vulcano d’Europa. Ma ciò che sopratutto fa di essa una terra che è indispensabile visitare e unica al mondo, è il fatto che la Sicilia è, da un capo all’altro, uno strano e divino museo d’architettura”. Dalle influenze più varie è potuta scaturire un’arte singolare fra paesaggi di incomparabile suggestione.

Palermo, Cappella Palatina – foto tratta da www.federicosecondo.org

Il giorno stesso del suo arrivo, assapora a Palermo la bellezza “colorata” e “calma” della Cappella Palatina che gli comunica un fascino sensuale. All’albergo, un viaggiatore gli racconta che Wagner vi aveva dimorato tre anni prima per un lungo inverno, scrivendo le ultime note del “Parsifal”. Egli vuole visitare l’appartamento occupato dal geniale musicista e dall’albergatore che l’accompagna apprende il “nonnulla” delle “abitudini segrete” legate alla vita intima dell’uomo. Per esempio, Wagner era solito riporre la biancheria nell’armadio a specchio dopo averla impregnata dell’essenza di rose. Maupassant ne respira la fragranza racchiusa in quel mobile e gli sembra di ritrovare qualcosa dell’anima e del desiderio dello stesso compositore.

Catacombe di Palermo – foto di fine ‘800 di Roberto Rive – tratta da Wikipedia

Luce e tenebre in Sicilia, metafora dell’ossimoro della vita, una e multipla nel contempo! Maupassant si trova faccia a faccia con il lutto, visitando la Cripta dei cappuccini, luogo che racchiude una “sinistra collezione di morti”, un “immenso cimitero sotterraneo” con i corpi imbalsamati di uomini e di donne, di prelati e persino di interi gruppi familiari. Così gli si presenta il macabro spettacolo: “Ad un tratto davanti a noi una immensa galleria larga e alta, i cui muri sopportano una vera e propria popolazione di scheletri vestiti in maniera bizzarra e grottesca”. La visione lo turba. Poi, come a volere esorcizzare l’immagine della morte, si immerge nella magnificenza della cattedrale e del chiostro di Monreale.

Chiostro di Monreale – foto tratta da Wikipedia

A Siracusa, cui giunge dopo avere attraversato la Sicilia maledetta dello zolfo, egli porta le sue “devozioni” a una delle più belle Veneri del mondo: la Venere scoperta ottantuno anni prima da Saverio Landolina4. Della statua, che si vorrebbe stringere in un amplesso, aveva già una conoscenza indiretta: “Nell’album di un viaggiatore avevo visto la fotografia di questa sublime femmina di marmo e me ne ero innamorato come ci si innamora di una donna.

Venere di Siracusa – la statua venne scoperta nel 1804 dall’archeologo Saverio Landolina Nava (1743-1814)

Fu forse per lei che mi decisi ad intraprendere questo viaggio; di lei parlavo e sognavo in ogni istante, prima ancora di averla vista”. La descrizione coinvolge, ne viene fuori il fascino di una femminilità ammaliante: “La Venere di Siracusa è una donna, ed è anche il simbolo della carne (…). Non ha testa! Che importa? Il simbolo ne è diventato più completo. E’ un corpo di donna che esprime tutta l’autentica poesia della carezza (…), la donna che nasconde e rivela l’incredibile mistero della vita”. La poesia visiva del francese si evidenzia nel lungo brano disegnativo e melodico che conduce alla bella immagine del papiro che nel corso di millenarie stagioni ha lasciato testimonianza di sé5. Più che al mare, Maupassant sembra interessato alle pittoresche zone montuose, ai vulcani delle Eolie alla vista dell’Etna gigantesco che da lontano sembra guardare “i propri figli e nipoti, ai profumi dei campi e dei giardini”. Un’escursione sull’Etna gli fa dire: ” Tutta la Sicilia è nascosta da brume che si fermano vicino alla costa velando uniformemente la terra, in modo che ci sentiamo in pieno cielo, in mezzo ai mari, al di sopra delle nuvole, così in alto che pure il Mediterraneo, che si stende ovunque a perdita d’occhio, ha l’aria di essere ancora cielo azzurro.

L’azzurro quindi ci avvolge da ogni parte. Stiamo in piedi su un monte sorprendente, uscito fuori dalle nuvole ed annegato nel cielo, che si stende sulle nostre teste, sotto i nostri piedi, dappertutto”. A suggestionarlo è il fascino di un luogo particolare e sempre amatissimo: “Se qualcuno dovesse trascorrere un giorno solo in Sicilia e domandasse: che cosa bisogna vedere? Gli risponderei senza esitare: Taormina.

Teatro Antico di Taormina – foto tratta da Wikipedia

Non è altro che un paesaggio, ma un paesaggio dove si trova tutto ciò che sulla terra sembra fatto per sedurre gli occhi, lo spirito e la fantasia”. Non gli sfugge, parlando di uomini e cose di Catania, il comportamento arabo dei siciliani che differisce da quello dei napoletani, dove sempre si trovano tre quarti di Pulcinella. Il napoletano gesticola, si appassiona, si dimostra furbo e gentile; nel siciliano, invece, si trova la gravità del portamento unita a una vivacità di spirito: 

Il suo orgoglio natìo, il suo amore per i titoli, la natura della sua fierezza, la fisionomia stessa del viso lo avvicinano anzi pi allo spagnolo che allitaliano. Tuttavia, quel che continuamente, non appena si mette piede in Sicilia, dà limpressione profonda di trovarsi in Oriente, è il timbro della voce, lintonazione nasale dei venditori ambulanti (….). E la cantilena languida, monotona e dolce, ascoltata di sfuggita dalla porta aperta di una casa, è proprio la stessa, nel ritmo e nellaccento, di quella cantata dal cavaliere vestito di bianco che guida i viaggiatori attraverso i grandi spazi del deserto. 

Si rivela generoso quando, percorrendo le vie delle città o il territorio siciliano, osserva la tranquillità dell’ambiente che si mostra sicuro al viaggiatore: “In questo paese si possono percorrere le strade di giorno e di notte, senza scorta e senza armi; si incontrano soltanto persone piene di attenzioni nei confronti del forestiero, ad eccezione di alcuni impiegati delle poste e dei telegrafi. Ma del resto parlo solo per quelli di Catania”. Attuale quest’ultima osservazione se riferita all’apatia della burocrazia che è anche assenteismo dal lavoro! E i briganti? Maupassant, in sintonia con quanto la gente dice, scrive che non ce ne sono più, fatta eccezione di reati comuni ad opera di malfattori isolati e, non come una volta, di bande organizzate. Secondo la sua percezione sono gli stessi siciliani ad esagerare quando amplificano le storie di briganti che essi raccontano, e di certo lo fanno per spaventare gli stranieri al punto da scoraggiarli di giungere in Sicilia; al contrario, l’Isola è tranquilla come la Svizzera. Esagera forse in certe sue annotazioni come queste e ha ragione Bufalino che, alla fine dell’introduzione, scrive:

”Il fatto è che il viaggio in Sicilia rappresenta un viaggio totale nelle radici nere e vermiglie del mondo. Un viaggio necessario com’è necessaria la pubertà per crescere uomini. Ché, se non mancano macchie di sangue sul sole radioso dellisola; se tuttora a dispetto dei certificati di buona condotta che Maupassant benevolmente dispensa, un fantasma facinoroso saggira fra noi e degrada la qualità della nostra vita, perfino questa sagra dinfamie non è esente da una sua fosca grandezza. Tale essendo, anche nel male, il destino duplice della nostra isola magnanima e misera, da quando emerse dal mare e vi sancorò, zattera e arca quaternaria, per inzupparsi di tempo e di storia. Terra che, malgrado tutto, non v’è nessuno che non abbia eletta una volta per seconda madre e patria dellanima sperimentando, anche al di là del diritto di nascita, il difficile lusso desser siciliani”.   

Federico Guastella

Ragusa, 9 settembre 2022

Note

  1. Goethe, Viaggio in Italia, Sansoni, Firenze, 1959.
  2. Per l’approfondimento di storia e leggende sulla Taormina di ieri e di oggi: Toto Roccuzzo, Taormina, lisola nel cielo, Maimone, Catania, 1992.
  3. Lo scrittore di Comiso coglie l’occasione per dire la sua sulla Sicilia: “balsamo d’un clima ineffabile”, “un belvedere di variatissime scenografie naturali”, “una storia in progress leggibile (…) nelle più monumentali reliquie (…), “un palinsesto di civiltà, un concentrato ed economico giacimento di natura e cultura (…): graffiti dell’Addaura, necropoli di Pantalica, templi di Segesta e Agrigento, Cappella Palatina, cattedrale di Cefalù”. Una caleidoscopica fonte di ispirazione per i visitatori: “per attingervi, non dico la verità, ma almeno una plausibile verifica, giustificazione e consolazione di quella fortuita insensatezza ch’è il vivere”. Presentandola come l’emblema di un dissidio, scrive: “E’ una terra, la nostra, dove vita e morte attingono insieme e subito il culmine; una terra iperbolica, che coniuga imparzialmente la pompa con lo squallore, l’urlo con il silenzio, sotto un sole che non tramonta. Sta qui, forse, in questa fertile disuguaglianza, in questo ossimoro ininterrotto, il segreto dell’attrattiva che l’isola ha esercitato nel corso dei secoli sull’inconscio collettivo dell’occidente”.
  4. Scultura marmorea, copia romana di un originale greco della prima metà del I secolo a.C., conservata presso il Museo archeologico  di Siracusa. Rinvenuta in un ninfeo negli Orti Bonavia, poi Giardino Spagna da Saverio Landolina Nava, nel 1804.
  5. (…) quindi salgo subito in barca per andare a salutare, dovere di scrittore, i papiri dell’Anapo. Si attraversa il golfo da una riva all’altra e si scorge, sulla riva piatta e nuda, la foce di un piccolissimo fiume, quasi un ruscello, in cui si inoltra il battello. La corrente è impetuosa e difficile da risalire. A volte si rema, volte ci si serve della pertica per scivolare sull’acqua che scorre veloce tra due sponde coperte di fiori gialli e splendenti, due sponde d’oro. Ecco delle canne che si piegano al nostro passaggio, si inclinano e si rialzano, poi, con lo stelo nell’acqua, degli iris blu, di un blu intenso, sui quali volteggiano innumerevoli libellule dalle ali trasparenti, madreperlacee e frementi, grandi come uccelli-mosca. Adesso, sulle due sponde che ci imprigionano, ecco giganteschi cardi e convolvo smisurati, che allacciano le piante terrestri con le canne del ruscello. Sotto di noi, in fondo all’acqua, vi è una foresta di grandi erbe fluttuanti che ondeggiano, galleggiano, sembrano nuotare nella corrente. Poi l’Anapo si separa dall’antico Ciane, suo affluente. Procediamo tra le rive, aiutandoci con una pertica. Il ruscello serpeggia con pittoreschi paesaggi, rive fiorite e ridenti. Infine appare un’isola piena di strani arbusti. Gli steli fragili e triangolari, alti da nove a dodici piedi, recano in cima ciuffi rotondi di filamenti verdi, lunghi, sottili e soffici come capelli. Si direbbero teste umane divenute piante, gettate nell’acqua sacra della sorgente da uno degli dèi pagani che vivevano lì. È il papiro antico. E infatti i contadini chiamano questa canna parrucca. Eccone altri più lontano, un intero bosco. Fremono, mormorano, si chinano, confondono le loro fronti pelose, si sfiorano, paiono parlare di cose sconosciute e lontane. Non è forse strano che l’arbusto venerabile, che fu custode del genio umano, abbia, sul fragile corpo di arboscello, una spessa criniera folta e fluttuante, simile a quella dei poeti?

L’Autore

Federico Guastella

Federico Guastella, abilitato all’insegnamento di Scienze Umane e Scienze umane e storia, è stato Ragusa dirigente scolastico. Apprezzato saggista, ricercatore scrupoloso ed esigente, autore di testi letterari in prosa e in versi, ha al suo attivo anche contributi di pedagogia e didattica, essendo stato impegnato in corsi di aggiornato per docenti della scuola primaria e dell’infanzia. La sua produzione spazia così dalla saggistica alla narrativa alla poesia. Nell’opera Chiaramonte Gulfi – La mia diceria (Ragusa, 2014) ha proposto un itinerario della memoria individuale e collettiva in un serrato dialogo a più voci tra l’attualità e la storia recente, tra le relazioni dei luoghi dell’anima e dei luoghi della natura e del paesaggio. Il libro Colapesce (Ragusa, 2012), scritto in collaborazione, ha valore pedagogico-educativo, oltre che letterario e demologico. Tra le ultime opere pubblicate dall’editore Bonanno di Acireale-Roma, si ricordano: Andrea Camilleri, Guida alla lettura(2015); Fra terra e cielo. Miscellanea di saggi brevi con Gesualdo Bufalino(2016); Serafino Amabile Guastella. La vita e le opere (2017); Il mito e il velo (2017); Viaggio intorno al libro rosso (2018); Ignazio Buttitta e Danilo Dolci, due profili culturali della Sicilia (2019); Luigi Pirandello. I romanzi, i miti (2020). Degno di nota il volume Una rilettura del Gattopardo (Bonanno 2021). Recentemente ha svolto una ricerca sulla Massoneria in provincia di Ragusa che si è conclusa con la pubblicazione del libro Alle radici della Massoneria Iblea (Bonanno, 2021), preceduto dall’opera Pagine esoteriche (Bonanno, 2017). Ha curato la prefazione di più opere; gli sono stati pubblicati articoli in diverse riviste; è stato premiato in più concorsi per la poesia e annualmente si è classificato al primo posto per i saggi anzidetti di cultura siciliana al concorso città di Favara (AG), indetto dal Centro Culturale “R. Guttuso”. E’ uscita recentemente la sua monografia Sguardo su Sciascia (Bonanno, 2022). Studioso di storia locale, attualmente è impegnato nella stesura del volume Il miele dolceamaro degli Iblei. Privilegiando la letteratura dei siciliani, sta altresì lavorando su una monografia dal titolo Sicilia letteraria – Luoghi e volti.

e-mail: federico.guastella@tin.it 

 

 

 

 

 

 

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