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Uno sguardo su Sciascia, di Federico Guastella – intervista all’Autore, a cura di Pippo Palazzolo

È da poco uscito per le edizioni Bonanno un importante saggio sull’opera di Leonardo Sciascia, dal titolo “Uno sguardo su Sciascia”. L’autore, Federico  Guastella, è un nome noto ai lettori di “Le Ali di Ermes”, che hanno potuto apprezzare i numerosi articoli da lui dedicati a diversi aspetti storici e culturali del territorio siciliano. Quest’ultimo lavoro, davvero ampio e approfondito, ci presenta la figura e l’opera di Sciascia nelle sue molteplici sfaccettature, in un modo particolarmente efficace, anche per la gran mole di informazioni fornite. Fra i numerosi pregi dell’opera, vi è quello di avere tracciato un percorso nel quale sono presenti le voci di autorevoli esegeti e biografi sciasciani, fra i quali spiccano Matteo Collura e Claude Ambroise. Inoltre, Federico Guastella in questo percorso usa una scrittura che si colloca tra la saggistica e la narrativa, evitando modi pedanti e noiosamente accademici. D’altra parte, avendo letto tutte le sue opere, egli può parlare di Sciascia con  grande proprietà, ripresentandolo in modo leggero – la leggerezza di Calvino – e non sacrificando la profondità dell’interpretazione. Il libro rappresenta così una guida sicura nell’universo di Sciascia, che non mancherà di catturare il lettore.

Abbiamo chiesto all’Autore di rispondere ad alcune nostre domande sul suo libro e siamo quindi lieti di pubblicare di seguito l’intervista che ci ha gentilmente rilasciato e per la quale lo ringraziamo. 

D. Dal suo libro emerge la sua grande passione per l’opera di Leonardo Sciascia. Quando e perché è nata?

R. Le opere di Sciascia hanno influito molto sulla mia formazione culturale, fin dai suoi primi scritti. Ricordo che quando uscivano i suoi libro io li leggevo passo passo, anche perché la sua scrittura aveva un carattere di denuncia sociale, oltre ad essere innovativa, anticonformista, oserei dire polemista. Nei suoi scritti si puntualizzava il rapporto tra la letteratura e la verità. Lui assegnava alla letteratura il compito di smascherare le ipocrisie, i compromessi e soprattutto l’ingranaggio del potere mafioso, il suo connubio con la politica. Nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa la Sicilia è irredimibile. Ma le cause venivano ricercate soprattutto nelle componenti  geografiche del paesaggio, che portava i siciliani ad una forma di indifferenza, vissuta nelle forme del sogno, una forma quasi di estraniazione rispetto alla realtà. Sciascia invece sviluppa questo discorso della Sicilia irredimibile, ma lo sposta verso l’organizzazione mafiosa. 

“Il giorno della civetta” – locandina del film di Damiano Damiani, 1968

E’ stato il primo a farlo in modo dirompente, ad esempio nel romanzo “Il giorno della civetta”. I miei interessi, gli interessi della mia generazione, che proveniva dalla scuola del neorealismo, si sono focalizzati attorno a questa voce innovativa e per quei tempi rivoluzionaria, che coglieva anche le sofferenze della sua comunità di origine. Un paese di zolfatari, Racalmuto. Sciascia e la sua scrittura si giustificano, come per Pirandello, perché provengono dall’ambiente di zolfatari e di salinari, quegli stessi ultimi che, abbandonati dalla politica, per guadagnare qualche soldo andavano anche a fiancheggiare le truppe franchiste, non avendo coscienza dell’azione che stavano intraprendendo. Il mio è uno sguardo complessivo delle sue opere: le ho rilette per raccontarne gli aspetti che aiutano alla comprensione del suo e del nostro presente. Dai suoi scritti viene fuori l’immagine di una Sicilia frastagliata e dominata. La sua Sicilia è quella sulfurea degli zolfatari e dei salinari, quella fatalista dei contadini e delle rivolte, agli snodi storici, del potere demoniaco e onnipervasivo. E anche quella dei siciliani di poche parole e di “tenace concetto” che custodiscono dentro il cuore la verità del Mediterraneo. 

D. Il giudizio di Sciascia sul “Gattopardo” non fu inizialmente positivo, perché non ne condivideva l’idea di irredimibilità della Sicilia, anche se poi lo rivalutò…

R. Il suo giudizio inizialmente negativo fu influenzato dal Vittorini, che addirittura si oppose alla pubblicazione del “Gattopardo”, alla Mondadori non avevano capito gli aspetti innovativi di questo romanzo. Sciascia poi modifica il suo giudizio e vi si accosta con uno sguardo nuovo, riconoscendone i pregi, tra cui l’aver posto in evidenza che la storia è una avvicendamento di élite, di classi sociali. L’irredemibilità della Sicilia, che per Tomasi di Lampedusa è prevalentemente dovuta a motivi climatici e all’accidia degli amministratori, trova in Sciascia una spiegazione più profonda,  individuata nell’organizzazione della mafia e nella lottizzazione del potere. 

Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino – foto di Giuseppe Leone

D. Diversi romanzi di Sciascia hanno avuto delle famose trasposizioni cinematografiche. Quale è la sua valutazione in merito?

“A ciascuno il suo” – locandina del film di Elio Petri, 1967

R. Da “A ciascuno il suo” a “Il giorno della civetta”, tanto per citarne due, il regista e gli attori hanno saputo dare una interpretazione magistrale. A me interessa cogliere un aspetto del rapporto di Sciascia con il cinema, che lo accomunava a Gesualdo Bufalino: entrambi erano soliti annotare i film che vedevano e ad esprimere una valutazione.Sciascia soprattutto, si commosse a vedere il film di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” e ci restano delle pagine preziose su questo argomento. C’è anche un suo saggio di Sciascia sul cinema in Sicilia, nel quale si parla del film di Francesco Rosi, “Salvatore Giuliano”. Lui aveva visto il film in compagnia di contadini, minatori, gente del popolo. Quando avviene la strage di Portella della Ginestra, rimangono  stupiti: può essere che Salvatore Giuliano possa essere stato l’artefice di questo eccidio? E finirono di applaudire, con una espressione quasi di turbamento. E perché avviene questo? Perché nel film il volto di Giuliano non si vede mai, rimane anonimo, proprio come il potere, che non ha volto, è invisibile. Se la gente avesse visto il volto, si sarebbe rassegnata, perché allora Giuliano era un mito, una speranza di riscatto, una sorta di Robin Hood.

D. Passiamo all’aspetto più prettamente politico dell’opera di Sciascia, ad esempio il suo rifiuto dei “compromessi” (anche di quelli “storici”…), una tendenza radicale e libertaria.

 R. Sciascia era antidemocristiano per eccellenza, anche anticlericale, non a caso i suoi personaggi più loschi sono ecclesiastici e mafiosi come l’Arciprete in “A ciascuno il suo” e Don Gaetano che, in “Todo Modo”, manovra i politici in apparenza riuniti per gli esercizi spirituali, ma sostanzialmente per la cura dei loro affari. Il rifiuto del compromesso storico?  Forse questo aspetto potrebbe essere anche un limite, a seconda di come si guardano le cose. Non comprese appieno l’operazione innovativa del compromesso storico che avrebbe dovuto unire due forze politiche

“Todo Modo” – locandina del film di Elio Petri, 1976

popolari, la DC e il PCI? Chissà! Un fatto è certo, la Democrazia cristiana era su posizioni abbastanza conservatrici ed io ritengo che quell’intesa avrebbe avuto una durata di breve corso. Sicuramente giocò un ruolo nella sua posizione anche l’esperienza amministrativa di Sciascia nel Consiglio Comunale di Palermo e la lottizzazione del potere che in quegli anni si stava realizzando fra i due partiti. Sciascia lasciò il PCI e si avvicinò al Partito Radicale, soprattutto per le lotte sui diritti civili, che gli stavano molto a cuore. Anche nel campo della giustizia, egli mette in primo piano l’umanità, come vediamo ne ”L’affaire Moro”, dove si schiera contro i partiti di maggioranza, escluso il PSI, che scelsero la Ragion di Stato, abbandonando Moro al suo destino e ritenendo farneticanti le lettere scritte di suo pugno.

D: Le posizioni politiche di Sciascia a volte si contraddicono…

R: Sì, ma lui rivendica il diritto alla contraddizione intesa come spinta dinamica alla ricerca della verità. La ricerca della verità e il coraggio della libertà sono due punti fermi della sua personalità, in quanto non ingabbiato in specifici schemi ideologici. A proposito della sua posizione sul “caso Moro”, respinge l’etichetta di filo craxiano, dichiarandosi libero da appartenenze partitiche. La difesa di Moro non nasceva da una simpatia politica, ma dalla difesa della persona umana, dall’umanità che si deve difendere a tutti i costi. In realtà, nessuno allora voleva Moro libero, lo stesso Papa, che pure spese tante parole accorate rivolgendosi ai brigatisti, al tempo stesso chiedeva loro una liberazione senza condizioni. Sciascia invece si schiera in difesa dell’uomo solo, abbandonato da tutti, in nome dell’umanità da salvaguardare ad ogni costo.

D: Passiamo allo Sciascia scrittore. Quali sono gli autori che lui avrebbe salvato in caso di Diluvio Universale?

Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia – foto Fondazione Leonardo Sciascia

R: Innanzitutto Pier Paolo Pasolini, ma anche tutti gli autori dell’Illuminismo, senza però mitizzarli (più vicino a Diderot che a Voltaire). Il rapporto con Pasolini è stato particolarmente importante, per tanti motivi: due personaggi a volte divergenti (Pasolini non era a favore dell’aborto, Sciascia sì), ma accomunati dal senso della rivolta contro la stupidità e la malizia; due eretici libertari e nello stesso tempo operante in loro un’ansia metafisica: le pascaliane ragioni del cuore e l’invalicabile senso del mistero.

D: In cosa consiste l’attualità  dell’opera di Sciascia?

R: La sua attualità credo debba ritrovarsi nel rapporto tra letteratura e verità sociale. La narrativa per Sciascia non deve essere un orpello esteriore, ma deve piuttosto incarnarsi nella storicità degli eventi, deve saper leggere il dramma che la società attraversa con i terribili problemi della miseria, della paura, della guerra. Dell’amministrazione della giustizia in particolare. Nonostante la sua vena di pessimismo va soprattutto evidenziato il suo guardare, nonostante tutto, con ottimismo alla possibilità di raggiungere una verità per approssimazioni successive. Anche se essa per lui è imprendibile e sfugge di mano, tuttavia la ricerca libera, che nella scrittura si concretizza, può  avvicinarcela sempre più. Per esempio, nei suoi romanzi cosiddetti gialli, dov’è prevalente la passione investigativa, non si riesce mai a stabilire chi sia il colpevole, però il il fatto stesso che egli scriva – come più volte diceva – è un segno di ottimismo, perché la scrittura è una forma di smascheramento di ogni forma di ipocrisia e di ingiustizie. La sua attualità a mio avviso consiste nel togliere le “maschere” a quel potere distanziato dai bisogni del popolo, mostrando il vero volto del potere. Di tutti i poteri contro la dignità dell’uomo. Mi piace riferire un suo pensiero sul valore civile della letteratura: “Quando lo scrittore serve, è unicamente nel senso che ci aiuta a vivere nella verità; e questo è il gioco, il grande gioco della letteratura e dell’arte”.

(Intervista a cura di Pippo Palazzolo)

Ragusa, 6 dicembre 2022

Federico Guastella

Federico Guastella, abilitato all’insegnamento di Scienze Umane e Scienze umane e storia, è stato Ragusa dirigente scolastico. Apprezzato saggista, ricercatore scrupoloso ed esigente, autore di testi letterari in prosa e in versi, ha al suo attivo anche contributi di pedagogia e didattica, essendo stato impegnato in corsi di aggiornato per docenti della scuola primaria e dell’infanzia. La sua produzione spazia così dalla saggistica alla narrativa alla poesia. Nell’opera Chiaramonte Gulfi – La mia diceria (Ragusa, 2014) ha proposto un itinerario della memoria individuale e collettiva in un serrato dialogo a più voci tra l’attualità e la storia recente, tra le relazioni dei luoghi dell’anima e dei luoghi della natura e del paesaggio. Il libro Colapesce (Ragusa, 2012), scritto in collaborazione, ha valore pedagogico-educativo, oltre che letterario e demologico. Tra le ultime opere pubblicate dall’editore Bonanno di Acireale-Roma, si ricordano: Andrea Camilleri, Guida alla lettura(2015); Fra terra e cielo. Miscellanea di saggi brevi con Gesualdo Bufalino(2016); Serafino Amabile Guastella. La vita e le opere (2017); Il mito e il velo(2017); Viaggio intorno al libro rosso (2018); Ignazio Buttitta e Danilo Dolci, due profili culturali della Sicilia (2019); Luigi Pirandello. I romanzi, i miti (2020). Degno di nota il volume Una rilettura del Gattopardo (Bonanno 2021). Recentemente ha svolto una ricerca sulla Massoneria in provincia di Ragusa che si è conclusa con la pubblicazione del libro Alle radici della Massoneria Iblea (Bonanno, 2021), preceduto dall’opera Pagine esoteriche (Bonanno, 2017). Ha curato la prefazione di più opere; gli sono stati pubblicati articoli in diverse riviste; è stato premiato in più concorsi per la poesia e annualmente si è classificato al primo posto per i saggi anzidetti di cultura siciliana al concorso città di Favara (AG), indetto dal Centro Culturale “R. Guttuso”. E’ uscita recentemente la sua monografia Sguardo su Sciascia (Bonanno, 2022). Studioso di storia locale, attualmente è impegnato nella stesura del volume Il miele dolceamaro degli Iblei. Privilegiando la letteratura dei siciliani, sta altresì lavorando su una monografia dal titolo Sicilia letteraria – Luoghi e volti.

e-mail: federico.guastella@tin.it 

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4 Commenti

  1. Piacevole lettura. Domande pertinenti e risposte dotte ed esaurienti. Complimenti ad entrambi. Mi sarebbe piaciuto un accenno al rapporto tra Sciascia e i nouveaux philosophes, ma non so se nel libro se ne parla. Quasi quasi mi viene voglia di occuparmene io…
    Grazie e a risentirci.
    Pippo.

    1. Risponde Federico Guastella:

      “Grazie di leggermi e degli apprezzamenti. L’argomento non rientra negli obiettivi del mio saggio e mi piace attenzionarmi alle tue riflessioni in merito. Però nulla toglie che possa dire qualcosa in merito. Mi consta che alcuni critici accusarono Sciascia di fare da battistrada ai nouveaux philosophes Bernard-Henri Lévy e André Glucksmann. Lo scrittore di Racalmuto ha risposto nella presentazione del saggio “La barbarie dal volto umano” di non condividere ogni cosa delle loro analisi. Tuttavia «nella cosiddetta “nuova filosofia” c’è almeno questo “argomento vero”: l’aver messo la mano sul segno della catena», riferendosi al totalitarismo sovietico, al gulag e ai silenzi che lo hanno avvolto. Soprattutto – osserva – a passare la mano sul segno della catena sono specificamente quelli provenienti dal Maggio francese, più direttamente e più coerentemente di tanti altri. In Marcuse, cinque anni dopo profetizza invece, la fine del successo editoriale del filosofo tedesco (i cui libri sono stati trasformati in slogan e luoghi comuni, ancor prima essere compresi fino in fondo), nonché l’avvento di quelli definiti come gli anni del riflusso.”

    2. Grazie per il commento, Pippo. Sarebbe un piacere per noi ospitare una tua riflessione sul rapporto tra Sciascia e i nouveaux philosophes, lo trovo di estremo interesse.
      p.p.

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