L’idea di letteratura di Italo Calvino
L’idea di letteratura di Italo Calvino
Italo Calvino nasce a Santiago de Las Vegas, nei pressi de L’Avana di Cuba, il 15 ottobre 1923, avendo i genitori rinviato il ritorno in Italia essendosi la madre accorta di essere incinta. Il contesto familiare in cui Italo crebbe fu certamente ricco di opportunità. Il padre, di famiglia mazziniana, repubblicana e massonica, agronomo con ampie esperienze lavorative internazionali e docente di botanica generale; la madre, agnostica, razionale e anticlericale. Dopo aver frequentato un asilo inglese, fu iscritto a una scuola elementare valdese. Terminato il liceo, si iscrisse alla facoltà di Agraria, frequentata prima a Torino e poi a Firenze. Si nascose a Sanremo e dopo l’8 settembre 1943, nella proprietà di famiglia di San Giovanni al fine di evitare l’arruolamento obbligatorio nell’esercito della Repubblica di Salò. L’esperienza fondamentale fu segnata da una scelta precisa: nel 1944, insieme al fratello Floriano più giovane di qualche anno, partecipò alla Resistenza col nome di “Santiago” e combatté nella Brigata Garibaldi.
Alla fine della guerra, si iscrisse alla Facoltà di lettere, laureandosi con una tesi su Joseph Conrad. La casa editrice Einaudi fu il luogo della sua formazione e delle sue relazioni. Pavese, che lo definiva “lo scoiattolo della penna”, lo incoraggiò a scrivere e pubblicare Il sentiero dei nidi di ragno (1947). Subito dopo i fatti d’Ungheria, vissuti come un trauma, lasciò l’impegno politico e, distanziandosi dalle contingenze politiche, si dimise dal Partito Comunista il primo agosto 1957. A seguito dell’esperienza parigina che gli fece conoscere la semiologia strutturalista e la tecnica combinatoria, pubblica nello stesso anno Il barone rampante, distante ormai dalla prima produzione neorealista.

Sposatosi nel 1964 a Cuba con la traduttrice argentina di origine ebraica, Esther Judith Singer, l’anno successivo ebbe la figlia Giovanna. Fu improvvisamente colpito dalla morte, a Siena, nella notte fra il 18 e il 19 settembre del 1985. Tante le opere e i saggi e numerose le conferenze da lui tenute. Dei suoi libri ricordiamo appena quelli su cui, sia pure succintamente, intendiamo soffermarci: Le Lezioni americane, volume pubblicato postumo su iniziativa della moglie e uscito nel 1988 presso l’editore Garzanti, Le città invisibili (1972), Il barone rampante (1957).
Muoviamo ora dall’idea di letteratura che Calvino all’inizio del suo itinerario propone. Nel saggio Il midollo del leone (1995) insisterà sul fatto che “le cose che la letteratura può [darci] sono poche ma insostituibili […]; la letteratura può insegnare la durezza, la pietà, la tristezza, l’ironia, l’umorismo, e tante altre di queste cose necessarie e difficili”. La letteratura e l’arte potranno così aiutarci a trovare una via d’uscita e ad essere coscienti. Egli vorrebbe che i libri fossero aperti “con curiosità e speranza e meraviglia” dal lettore. Poi scriverà: “La letteratura […] apre spazi di interrogazione e di meditazione e di esame critico, insomma di libertà; la letteratura è un rapporto con noi stessi e non solo col libro, col nostro mondo interiore attraverso il mondo che il libro ci apre” (da Il libro, i libri del 1984).
Il discorso di Calvino sul ruolo della letteratura è complesso e difatti egli lo riprende più volte. Tutto questo introduce alle Lezioni americane, in cui la sua idea di letteratura è “sfida al labirinto”. Riguardo al valore della leggerezza, Calvino legge del Decameron di Boccaccio la novella nona della sesta giornata: “A Firenze i giovani ricchi e nobili organizzavano feste e andavano in giro per la città in cerca di sempre nuovi divertimenti. Cavalcanti, ricco ed elegante, non vi partecipava, preferendo passeggiare meditando. Quindi, non era compreso; era del tutto impopolare e addirittura l’allegra brigata sospettava che egli cercasse <<se trovar potesse che Iddio non fosse>>. Un giorno i compagni – cavalieri – lo videro passeggiare fra le tombe e gli chiesero: <<Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto?>>. A’ quali Guido, da lor vegendosi chiuso, prontamente disse: ‘Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace’; e posta la mano su una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò”.
Chiaro l’intento di Calvino: Cavalcanti con leggerezza scavalca il limite dato dalle molestie di quei giovani. E’ la sua leggerezza corporale e mentale che gli consente di sollevarsi dal mondo. E’ una leggerezza che protegge dalla realtà ed è contrapposta al falso vitalismo moderno il quale, scrive Calvino “appartiene al regno della morte”. Cavalcanti, dunque: il poeta-filosofo che, scrivendo, alleggerisce il peso degli argomenti trattati. L’immagine è suggestiva: in Cavalcanti la leggerezza della scrittura fa sì che il “pensiero si staccasse dall’oscurità in rapide scariche elettriche”
Numerosi i riferimenti colti ed è il mito di cui Calvino si serve per insistere sulla“leggerezza”. L’attenzione va al racconto di Perseo uccisore di Medusa, una delle Gorgoni che erano tre sorelle, e quindi vincitore della pesantezza. Non era facile ucciderla, ma l’eroe mitologico, figlio di Danae e di Zeus, aiutato da Ermete e da Atena che gli regalarono uno scudo di bronzo e dei sandali alati, poté tagliarle la testa.

Grazie ai sandali alati, egli vola e si sostiene, dice Calvino, su ciò che è più leggero: il vento e le nuvole. Egli non guarda la Medusa pietrificatrice e utilizza lo scudo come uno specchio per vedere soltanto il riflesso di lei. Dal suo sangue, una volta uccisa, nasce Pegaso l’affascinante cavallo alato. Siamo nell’idea di letteratura: Calvino affronta la realtà non fuggendo da essa, ma servendosi della leggerezza simbolizzata dai sandali alati di Perseo, i cui strumenti per sfuggire alla pesantezza sono l’allegoria e la fantasia, l’utopia e l’ironia e la fiaba.
Leggerezza è trasmettere al lettore la levità del pensiero; leggerezza è capacità di astrazione mentale sotto il segno dell’elusività e del non detto; leggerezza è servirsi di figure simboliche che diventano emblema di pensosità opposta a ciò che è frivolo. Bisogna ora soffermarsi su Le città invisibili, la cui lettura può essere preceduta dal magnifico libro La strada di San Giovanni, in cui già si trova l’abbozzo del tema della città (libro di storie autobiografiche pubblicato postumo nel 1955). Diciamo subito che Marco Polo riceve dall’imperatore l’incarico di viaggiare per l’impero e poi descrivergli le città in esso contenute. Ma le città che Marco descrive sono quelle possibili, quelle che potrebbero esistere con la diversa combinazione degli elementi costituenti la città (palazzi, cupole, vie, abitanti, occupazioni, paesaggi…). Sicché, la letteratura diviene invenzione di come la realtà potrebbe essere, tant’è che i viaggi di Marco appaiono puramente mentali e da esse si forma la città ideale, chiamata dai teologi “città di Dio”. Dunque, una città invisibile che, sognata, portiamo dentro di noi. La parola è onnicomprensiva ed è la mente ad inventare le cose messe insieme per combinazione di elementi. Sicché, la mente dilata spazi, crea azioni e movimenti, fa esistere avventure, fa trascorrere tempi, produce un’infinità di spazi possibili, suscita stati d’animo.

Nell’ultimo colloquio fra Kublai, che rappresenta la razionalità classificatoria e Marco, che esprime la sensibilità inventiva, si legge:
“Già il Gran Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte della città che minacciano negli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave New World.
Dice: – Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo: – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Chiarificatore il commento di Giorgio Bàrberi Squarotti:
“La letteratura può cercare di riconoscere e rivelare poi che cosa non è inferno (quell’inferno un poco sartrianamente definito come quello che <<formiamo stando insieme>>, e può salvarlo. Il catalogo delle città possibili è quello che sfascia dallo sfacelo delle cose, perché dà loro una forma, quella forma che ormai le città degli uomini stanno perdendo, nella proliferazione delle città senza forma […] Inventare città secondo tutte le gradazioni e le capacità combinatorie del possibile significa salvare qualcosa dell’inferno, anzi uscirne fuori, per contemplare con la lucidità della mente ciò che la parola fa esistere.”2
Sono cinque “le città sottili”: a dire di Calvino formano la parte più luminosa del libro e hanno nome di donna, di derivazione classicheggiante, come tutte le centocinquantacinque città invisibili. L’allegoria dell’alto nella descrizione ha il chiaro significato della leggerezza che si esprime come metafora dell’ alterità, cioè del sogno e del desiderio e dell’utopia come luogo felice che non esiste. Così, l’imperatore Kublai Kan, schiacciato dal proprio peso, può sognare immagini liberatrici di architetture lievi lievi: “città leggere come aquiloni […] città filigrana da vedere attraverso il loro opaco e fittizio spessore”. 3
La leggerezza si ritrova nell’opera Il barone rampante, il cui incipit suggestiona: “Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi”. Cosimo vuole sottrarsi all’autoritarismo repressivo genitoriale; il padre, Barone Antonio Piovasco di Rondò è descritto, alla sua morte, da Biagio come uomo noioso che, anche se non cattivo, pensava soltanto a rivalità e alleanze con i potenti vicini e lontani. La madre, generalessa Corradina di Rondò, teneva alla disciplina e sosteneva gli ordini del marito. Soffermiamoci un attimo sulla personalità di Cosimo, il figlio maggiore. Insofferente alla banale pesantezza della vita familiare, se ne stacca e cerca vie diverse, manifestando la sua vocazione di ribelle e respingendo tutto un mondo di ipocrisie: quello della vecchia tradizione. Sicché, decide un giorno di salire sugli alberi per non scenderne mai più. L’intento è chiaro: realizzare un nuovo modo di stare al mondo, dandosi un punto di osservazione del tutto staccato: quello di uno sguardo dagli alberi.

Se il fratello Biagio, che narra gli eventi, è realista e mostra buon senso, Cosimo fantastica nel suo territorio aereo: i rami, le foglie, il cielo: “sempre da un albero all’altro, senza mai toccar terra”, dice Biagio. Si muove in un universo di linfa, familiarizza con vari tipi di alberi, ha visione di ampi orizzonti e segue il volo di un aquilone; invece il mondo di sotto s’appiattiva. E’ un novello Robinson tra gli alberi che rappresentano il centro del cosmo, l’asse verticale fra terra e cielo. Affronta ostacoli e ne esce vittorioso. E’ la leggerezza con cui si muove a caratterizzarlo; è la leggerezza del contesto ambientale ad affascinare ed è la leggerezza dell’amore tra lui e Viola ad essere il centro della storia.
È la leggerezza a connotare, in fondo, la prosa di Calvino, definito da Pavese “lo scoiattolo della penna”: limpida, elegante, ironica, trasparente. In conclusione, di fronte al labirinto della vita, egli toglie peso alla sua scrittura, le conferisce un andamento lieve come a voler compensare l’angosciante disordine universale. La letteratura non è più una tragedia, dice Bárberi Squarotti a conclusione del suo discorso su Palomar, ma lo spazio di un’ironia piena di saggezza e di malizia, senza drammi, se non quella morte che inesorabilmente mette fine alla scrittura e segna la conclusione del libro. Vale ora la pena di concludere con una citazione tratta dal suo romanzo La giornata d’uno scrutatore (1963), in cui il riferimento va alla crudezza dei fatti d’Ungheria del 1956 che indussero molti intellettuali di sinistra ad uscire dal Partito Comunista.
È una crisi la sua non solo politica, ma anche di metodo letterario e tutte le perplessità confluiscono proprio in questo romanzo, ricchissimo di dati conoscitivi che fanno comprendere l’autore e l’epoca. Ad un certo momento si legge: “L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo”.
Federico Guastella
Ragusa 13 novembre 2023
Note:
- Mario Lavagetto, Dovuto a Calvino, Torino, Bollati Boringhieri, 2001 (Due atteggiamenti antitetici dunque, e due personaggi che assumono la funzione di emblemi: rappresentano ognuno una possibile strada per la ricerca letteraria).
- Giorgio Bárberi Squarotti, L’orologio d’Italia. Carlo Levi ed altri racconti, Ragusa Libroitaliano, 2001.
- Pier Vincenzo Mengaldo, L’arco e le pietre (Calvino, “Le città invisibili”), in La tradizione del ‘900. Da D’Annunzio a Montale, Milano, Feltrinelli, 1975.
- Giorgio Bárberi Squarotti, op. cit.
Bibliografia minima (oltre ai testi in nota citati)
BERTONE G., Italo Calvino. Il castello della scrittura, Torino, Einaudi, 1994. BELPOLITI M., L’occhio di Calvino, Torino, Einaudi, 1996. BENUSSI C., Introduzione a Calvino, Roma-Bari, Laterza, 1989. MILANINI C., L’utopia discontinua, saggio su Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1990. CALIFANO F., Uno spazio senza miti, scienza e letteratura, quattro saggi su Italo Calvino, introduzione di Giorgio Luti, Firenze, Le Lettere, 1993. PERELLA S., Calvino, Bari, Economica Laterza, 2001.
Crediti illustrazioni:
Italo Calvino (copertina): www.libriantichionline.com/divagazioni/italo_calvino_nessuno_puo_capire_nessuno
Italo Calvino e Cesare Pavese: www.ilpiaceredileggere.it/cesare-pavese-il-sentiero-dei-nidi-di-ragno
Copertina di “Lezioni americane”: www.amazon.it/Lezioni-americane-proposte-prossimo-millennio-ebook/dp/B008FHSKD4
Illustrazione di Anastasia per “Le città invisibili”: https://lapennanelcassetto.wordpress.com/2017/10/18/2090/
Copertina de “Il barone rampante”: www.lafeltrinelli.it/barone-rampante-libro-italo-calvino/e/9788804688921