Omaggio a Nettuno

“Neptune”, tratto da www.occultopedia.com

Alcune poesie di Salvatore Arcidiacono

Dalla raccolta “La linea delle croci”, di Salvatore Arcidiacono, pubblicata recentemente.

IL MONDO A WALSINGHAM *

 

Non vanno più scalzi

i penitenti a Norfolk,

non pregano più

ora che li affannano soltanto

orrore e distruzione.

È scomparsa la stirpe
temeraria

che si legava all’albero

per dirigere la rotta.

L’ulivo e il bove

cedono a corvi e arpie

e trascina sfaceli la corrente

di Eraclito l’oscuro.

Non una chiave schiude
santuari:

s’affloscia lo spinnaker

mentre languono i cutter in
bonaccia.

Né promette più tregua l’arco
d’Iride.

Covoni d’ossa rotolano

trebbiate a Josafat.

Pure, vorrà tornare il mondo
ancora

a Walsingham.

E corvi e arpie a miriadi

vedremo sprofondare negli
abissi.

(*)
Nel Medioevo i marinai andavano scalzi in
pellegrinaggi nel Norfolk, al Santuario di Nostra Signora di Walsingham.
Vedasi Robert Lowell, Il Cimitero dei Quaccheri a Nantucket,
in Poesie, Longanesi, Milano 1972 p. 39.

IL MIO POGGIOLO 

 

S’affaccia sullo Stretto il
mio poggiolo,

riflette il sole del mattino e
il raggio

della
luna. Vi sostano

gabbiani
ad ali chiuse,

ululando
messaggi incomprensibili.

Il mio poggiolo captai miei
pensieri,

consegna all’orizzonte

le fiamme ansiose delle mie
colombe.

 

Dalla raccolta “Solino blu”
(1996):

 GUARDANDO IL MARE

 

Se la terra ha segnali per la
mantica

non è da meno il mare.

Mugoli o mormori

palpiti ha di vivente.

Dio chiamò mare

la selva delle acque

ottima tra le creature.

Guarda il mare

mira nella maestà dell’onda

il Parnaso e l’Elicona

osserva l’infido mutamento

del suo flusso

e rammenta

che solo se hai cose di
maschio

tu potrai misurarti con
Nettuno.

 

ANCHE OGGI

 

Qui, dalla mia torretta

mirando le alte antenne

di Scilla e di Cariddi

le formiche dello Stretto

il reale e l’irreale

odo il vagito del mattino

scorgo la trama delle ombre

dileguarsi soffusa al raggio
d’Helios.
 

E mentre mulina la mente

– anche oggi correranno offese

si imperleranno fronti

invano piaghe attenderanno il
cauterio –

 

sento vicina la mia fosca
amante

unica che non mi ignora

unica a salutarmi.


Dalla raccolta “Il periplo” (1994):

 LO SCOGLIO DI ULISSE 

Nobile sei e incorrotto:

non ti hanno scalfito gorghi e
maree

nulla hanno potuto

gli adescamenti di Saturno

le tentazioni di Venere.

MORTE DEL PESCE SPADA

 Chiesero forza ai vogatori

Dissero all’intinnere: –
attento!

al traffiniere: – è tuo!

Scoccò la fiocina

e un urlo salutò

il fiotto del tuo sangue.

Non ti servì la spada

e fu vano scartare

sui fondali.

Alla tua residua forza

dettero caloma.

“A bordo”, gridò il capo
barca.

Sull’ultima tua scia

Pianse il mare la tua sorte.

Eri venuto per amore e pastura

ma la fame dell’uomo

ti condusse a morte.

 


Salvatore Arcidiacono, nato a Messina nel 1923, laureato in giurisprudenza col massimo dei voti, ha prestato servizio come ufficiale nella Marina militare, dove ha avuto l’onore di conoscere Luigi Rizzo, l’eroe Girolamo Fantoni e di veleggiare con il campione del mondo Straulino. E’ stato dirigente bancario e da lustri svolge attività di poeta e di critico letterario. Ha pubblicato nove raccolte di versi:

– Giri di Bussola,
Umbria Editrice, Perugia 1977.

– Cerchio di sale,
Città Armoniosa, Reggio Emilia, 1979.

– La sofferenza del mare,                                                                                                        Editrice Abbiatense, Abbiategrasso,1982.

– L’onda fusberta,
Editrice Abbiatense, Abbiategrasso, 1982.

– L’abbraccio dell’onda,                                                                                                             Zappia Editore, Sarzana, 1985.

– Il Periplo,
Carlo Mancosu Editore, Roma, 1994.

– Dalla torretta,
Lanterna Editrice, Genova, 1994.

– Solino blu,
Editrice Abbiatense, Abbiategrasso, 1996.

– La linea delle croci,
Edizioni il Meridiano, S. Marco di Castellabate (SA), 2002.


Vincitore di numerosi premi letterari: Funtana di li Rosi (Campofranco, 1980), Lucia (Como, 1982), Campoli Appennino (Campoli, 1985), Città di Fiumicino (Fiumicino, 1987), Arno (Firenze, 1987). È stato tra i selezionati o tra i finalisti dei seguenti premi letterari: Camaiore, Carducci, Ravenna Mare, Viareggio. Sue poesie sono state tradotte in francese, greco e rumeno ed è anche presente in molte antologie. È incluso (unico messinese vivente) nel “Dizionario della Letteratura italiana del Novecento” diretto da Alberto Asor Rosa ed edito da Einaudi, e nel Catalogo internazionale dell’Arte.

Svolge un’intensa attività di poeta e di critico; ha collaborato per trenta anni fra gli altri al quotidiano “Gazzetta del Sud”, e per 15 anni all’ “Osservatore politico letterario”, oltre che al mensile “Il Meridiano” e a numerosi periodici italiani e stranieri, ricevendo consensi da Montale, Caproni, Orsini, Giudacci, Turoldo, Villari.

Sulla sua poesia così si esprime il Dizionario
della Letteratura di Einaudi: “La poesia è dominata dal contrasto
violento tra terra e mare, tra la solarità di una terra desolata e
abbandonata e la nostalgia per il paradiso perduto”
.

 

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Immagini della Sicilia

di Pippo Palazzolo

Viaggio fotografico attraverso alcuni paesaggi delle colline e del mare ibleo

Ragusa Ibla – Sicilia

Ragusa Ibla, vista dal Carmine

veduta sul Largo San Paolo (Ragusa Ibla)

La Torre dell’Orologio (Modica)

scendiamo adesso per le dolci colline iblee…

la campagna ragusana: alberi di carrube

una “massaria” resiste al cemento della città

i muri a secco…

 

 

 

e infine, una passeggiata lungo la costa…

 

il golfo di Sampieri (Scicli)

l’antica fornace Penna, a Sampieri

Torre della Dogana (Marina di Ragusa)

il Faro di Punta Secca (S.Croce Camerina)

onde sugli scogli…

cielo, mare e sabbia…

tramonto sul mare allo Scalo Trapanese (Marina di Ragusa)

pescatori al tramonto

sorge la Luna al tramonto…

 

 

foto di Pippo Palazzolo

 

 

Continua, con la passeggiata nel barocco ibleo:

i balconi e le chiese

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“Andrea Camilleri” di Marco Trainito – recensione di Federico Guastella

recensione del libro di Marco Trainito “Il codice D’Arrigo”, a cura del dott. Federico Guastella

Un ritratto alla siciliana
di Federico Guastella

Agile per la levità della scrittura e complesso per la profondità delle tematiche trattate, il libro di Marco Trainito ANDREA CAMILLERI, sottotitolato Ritratto dello scrittore (Treviso, Anordest 2009, pp. 254), si presenta con una copertina abbellita dalla fotografia recante l’immagine della casa a mare di Montalbano lungo la spiaggia di “Punta Secca”, nel ragusano.

Nel risvolto di copertina risulta così sintetizzato sia la natura che lo scopo dello scritto: “un saggio e un’introduzione generale all’opera di Andrea Camilleri (…) accessibile al pubblico sia dei lettori accaniti del grande scrittore siciliano sia di quelli che ancora non si sono cimentati con le sue opere”. Dedicato al padre Nenè, si compone di una premessa, di tre capitoli ciascuno dei quali, viene suddiviso in quattro paragrafi, nonché di una essenziale bibliografia.

Già nella premessa Trainito fissa alcune ascendenze di Camilleri, tra cui la presenza ineliminabile di Pirandello: il suo insegnamento, afferma il critico, che è entrato “nella carne viva della sua parola, traendo una lezione di metodo, di stile e di poetica”. A partire da questa riflessione, egli poi percorre uno spazio tanto vasto, avvalendosi di numerose letture di libri da cui trarre gli ingredienti necessari alla costruzione della sua interpretazione.

Il capitolo primo, dopo alcune notazioni bio-bibliografiche, individua nel romanzo Un filo di fumo (edito la prima volta da Garzanti nel 1980 e premiato a Gela nel 1981) il nucleo essenziale della produzione di Camilleri: “vero e proprio generatore per le opere degli anni Novanta che hanno dato allo scrittore un clamoroso successo di pubblico”. In maniera chiara e dettagliata, ne riporta la trama e sintetizza il pensiero dei critici più autorevoli, quali Bruno Porcelli e Maria de Las Lieves Muñiz Muñiz.

Il dissenso con Gianni Bonina che, ne Il corso delle cose (1978) aveva visto la genesi del “nascente planisfero camilleriano”è chiaro. A conti fatti, le argomentazioni addotte a sostegno della tesi di Trainito appaiono convincenti. Sia la strategia compositiva adottata (la tecnica della mise en abyme) sia le strutture conoscitive (l’invenzione di Vigàta, nonché la spiccata vocazione socio-antropologica nel contesto post-unitario fin quasi all’avventura dei Fasci Siciliani) e le sonorità segniche (l’invenzione d’una inconfondibile lingua corredata di un glossario, funzionale alla resa espressiva della comunità dei parlanti nativi), sono i motivi che incideranno di più nella stesura delle successive opere. Inoltre, il revisionismo del Risorgimento, documentato da due Commissioni d’Inchiesta, sarà poi ripreso, ad esempio, nei romanzi La bolla di componenda, La stagione della caccia, Il birraio di Preston, La mossa del cavallo… Anche lettere fanno parte dell’apparato documentario del romanzo Un filo di fumo: dato, questo, rinvenibile ne La luna di carta (2005), ne La vampa d’agosto (2006) e ne Il campo del vasaio (2008), dove il commissario Montalbano scrive a se stesso per mettere in ordine le varie tessere delle sue indagini. “L’apice di questa tecnica – annota Trainito – è (…) raggiunto ne La scomparsa di Patò: qui Camilleri, inventandolo quasi interamente, utilizza un dossier che risulta costituito da articoli di giornali, lettere (scritte a mano o dattiloscritte che fanno avanti e indietro da un organo all’altro di polizia), rapporti giornalieri e riservati. Non ci sono capitoli nel libro, la voce dell’io narrante, che si è trasferita nel documento, risulta assente, e viene affidato al lettore il compito della decifrazione e riorganizzazione narrativa del materiale.”

Le corrispondenze individuate tra il glossario presente ne Il filo di fumo e Il gioco della mosca (1995, 1997) sono indubbiamente rilevanti, perché aiutano a ricomporre il puzzle che dà il ritratto dello scrittore di Porto Empedocle.  Al riguardo, Trainito, collocando Il gioco della mosca nel solco delle preferenze socio-antropologiche accordate da Sciascia (Kermesse, 1982 – Occhio di capra, 1984) e da Bufalino ( Museo d’ombre, 1982) alla cosiddetta “scienza certa” di Borges (quella, cioè, degli affetti di cui in maniera indelebile la nostra misura umana si è nutrita), può opportunamente parlare di un “trittico peculiare” per il recupero di espressioni dialettali che
racchiudono “storie cellulari” e si pongono come sintesi di aneddoti ed episodi locali. Siamo così nel linguaggio che segna l’innesto di proverbi, di modi dire, di termini dialettali nel codice nazionale. La lingua mista di cui Camilleri si serve, terragna e sanguigna, esprime con più efficacia i sentimenti e gli stati d’animo dei suoi personaggi, che parlano utilizzando il lessico dell’area geografica di provenienza. Trainito non manca, in proposito, di puntualizzarne la genesi. Attenendosi a quanto dichiarato dal nostro scrittore in Pagine scelte di Luigi Pirandello, egli, da studioso ed esperto di filosofia, può ampliarne il quadro teorico di riferimento e attirare l’attenzione su Gottlob Frege, lo studioso di semantica che elaborava la sua teoria negli anni in cui Pirandello studiava a Bonn. La distinzione pirandelliana tra il “concetto” espresso dalla lingua e il “sentimento” manifestato dal dialetto è quasi identica – scrive il critico – alla differenza fregeana tra “senso” e “rappresentazione”. Da qui bisognerebbe muovere per giungere a tutta “l’analisi pragmatica e antropologica” dei “giochi linguistici” e delle connesse “forme di vita” di Wittgenstein, anche se il commediografo agrigentino, “con qualche decennio d’anticipo”, aveva osservato che un dialetto esprime “particolari usi” e “particolari costumi”.

Vigàta, dunque: spazio immaginario modellato sul territorio reale di Porto Empedocle. “Nessuna” perché inesistente; “una”, in quanto ha una storia; “centomila”, ove si consideri la molteplicità delle sue rappresentazioni diacroniche (dal XVII secolo alla disfatta di Caporetto, dal fascismo a quella della fiction televisiva e della realtà virtuale). E’ a questo punto che Trainito si sofferma su alcuni romanzi, quali La stagione della caccia (1992), La presa di Macallè (2003), Il colore del sole (2007), Maruzza Musumeci (2007): li sintetizza con molta padronanza, li commenta con acume e disinvoltura, ne esplicita con accortezza e accuratezza rapporti intertestuali e intratestuali.

Ne La presa di Macallè, ad esempio, il senso del narrato, è attuale nel clima di smarrimento esistenziale che si sta vivendo. E’ la violenza ad imporsi, a trionfare sull’uso della ragione quando contraddizioni e sopraffazioni ideologiche, risentimenti e barriere etnocentriche, pregiudizi e stereotipi, facendo smarrire ogni certezza etica, trovano ampia risonanza nella mentalità collettiva, di cui il mondo infantile è parte integrante. Il più vulnerabile e il più fragile, appunto per la mancanza di esemplari modelli educativi che fanno perdere al comportamento la corretta direzione civica. Quest’atmosfera Trainito la analizza, la spiega, la racconta, instaurando apprezzabili confronti con Eros e Priapo di Gadda. Vi si incontra in ogni sua considerazione sia una mente coltissima, sia una sottigliezza di sguardo che gli consente di scoprire rapporti che danno l’idea del complesso universo della scrittura.

“Maruzza Musumeci” – egli poi scrive – merita una particolare attenzione”.
Anche a mio parere, l’opera è degna d’una puntuale ricognizione per il taglio favolistico che ci dà un diverso tratto dell’identità di Camilleri, ora rivolto ai miti e alla metafisica del fantastico. La narrazione, pur collocandosi su uno sfondo di ambientazione rusticana, dilata infatti i suoi orientamenti di spazio e di tempo per la magia di certi eventi. I “cunti” a volte scivolano nel surreale, facendo anche pensare alla leggenda di Cola Pesce (il personaggio metà uomo e metà pesce di cui si era occupato Giuseppe Pitrè in un suo pregevole studio), nonché alla novella di Tomasi di Lampedusa La sirena. Riguardo al mondo delle “sirene” sembra opportuno dire che le distinzioni sono notevoli tra le classiche e quelle rappresentate da Camilleri. Nel suo immaginario non sono voraci e distruttive come le perverse maliarde di Omero, ma apprezzano la vita e in qualità di donne ammalianti stanno soltanto tra gli uomini che non amano il mare per condividerne le esperienze terrene, tranne nei momenti in cui si trasformano in sirene per ricongiungersi al proprio passato: quello ancestrale (pensato dalla scuola ionica) della simbiosi della vita con l’acqua marina. La grotta sott’acqua in cui Resina, la Sirenetta, porta per sempre il proprio fratello Cola, studioso di astronomia, rievoca indubbiamente il racconto lampeduseo in cui l’ondina “Lignea”, dalle voluttuose sembianze ferali e divine, si incontra con il grecista La Ciura.
Don Fabrizio, che, nel Gattopardo, dinanzi alla fugacità degli eventi, aveva conosciuto l’astronomia, nei panni di La Ciura verifica ora l’illusione di una fine abbellita dalla presenza di una figura onirica. La bella e snella signora apparsa al principe nel momento dell’agonia viene ritrovata nella sirena per un’eutanasia che gli facilitasse l’inaccettata separazione dalla vita. Diversa, pur nell’identità del contenitore, appare in Camilleri la simbologia della medesima “grotta”: non luogo in cui viene saziata la sete di sonno nirvanico, ma ventre d’una vita generatrice di metamorfosi. Pure diversa, a mio avviso, la reinterpretazione di Maruzza Musumeci rispetto alle “femminote” darrighiane. Lo studioso ha sì percepito l’ineludibile rapporto tra le due realtà, ma ritengo che si sia mantenuto distante da una puntualizzazione sul diverso modo di sentire di entrambe: tanto “arcigne” e “lussuriose” le femminote, quanto votata agli affetti la Maruzza di Camilleri che svolge felicemente la vita in famiglia, dove i componenti sono legati da un grande vincolo.

Il discorso di Trainito, basato su accostamenti e rimandi, si fa decisivo nel cogliere i caratteri di Montalbano. Non manca di evidenziare la suggestione esercitata nell’animo di Camilleri da autori come Georges Simenon, Manuel Vàsquez Montalban, William Faulkner, Dashiell Hammett, Antonio Pizzuto e Joseph Conrad, mentre “nell’immaginaria biblioteca di Vigàta” – egli scrive – “non poteva mancare di certo l’autore de La biblioteca di Babele“. Il nostro critico non resiste, pertanto, alla tentazione di muoversi in un’indagine di estremo rigore scientifico per immettersi nel sentiero che conduce all’evoluzione caratterologica di Montalbano. Il campo d’indagine è l’attenzione rivolta ai suoi mutamenti psicologici: da una personalità estroversa al ripiegamento nell’introspezione e nel monologo con il conseguente deterioramento dei rapporti con le persone che gli stanno vicino (“Livia e Mimì Augello, in particolare”). Attraverso l’esame delle opere più significative, egli ripercorre le tappe di quello che chiama “sdoppiamento del sé” e il fenomeno, con l’uso di un linguaggio desunto dagli apporti della psicoanalisi, viene così commentato: “Montalbano, compiuti i cinquant’anni, comincia a sentire il peso della propria vecchiaia e la sua razionalità stanca tende a deragliare dal principio di realtà e a proiettarsi verso una dimensione surreale e fantasmagorica”.

Come non pensare a La luna di carta, dove il commissario è alle prese con l’irreversibilità del tempo che lo sta destinando alla senescenza?

Quanno viene il jorno della tò morti…”: questo il pensiero improvviso, alle sei del mattino, di Montalbano, ed esso non se ne andava più fino a diventare un vero e proprio chiodo fisso, magari nascosto in qualche angolo del suo cervello per aggallare quanto meno se l’aspettava.

Attenta è la rilevazione della dinamica che sta coinvolgendo il commissario e le osservazioni sono abbastanza calzanti: “Montalbano non ha mai usato appunti, contrariamente ad esempio al tenente Colombo, che non si separa mai dal suo taccuino. Ma ora Montalbano, a causa dell’età, comincia a dimenticare più facilmente. Che fare? (…). La lettera, dunque, diventa lo strumento che la parte più lucida e attenta di Montalbano, raccoltasi in pensosa concentrazione, usa per dare una mano al resto della persona del commissario immersa in mille e stressanti faccende quotidiane e preda di pensieri neri sul declino della vita”. E’ il tema del doppio, dunque, a suggestionare il nostro critico fino a ipotizzare una poliedrica fenomenologia dello sdoppiamento lungo un percorso che alla fine acquista il senso d’una accettazione della propria condizione, come risulta dalla lettera che egli si scrive ne La vampa d’agosto (2006): da un rapporto inizialmente più distaccato e diffidente di sé, il commissario giunge a “un’accresciuta familiarità con l’altro da Sé”.

La mia attenzione va ora rivolta al capitolo finale intitolato “Dalle bolle ai pizzini, lo spirito laico di Camilleri”. Sul piano letterario, il punto di partenza della questione “mafia” viene individuato nella novella di Verga La chiave doro. Trattandosi d’un racconto quasi sconosciuto, Trainito ne riporta il testo, dove è agevole riscontrare la presenza di tutti gli elementi atti a caratterizzare tale fenomeno, tra cui – precisa lo studioso- la “componenda”, cioè “il mettersi d’accordo tra galantuomini”. Proprio su tale accordo verte il romanzo di Camilleri La bolla di componenda.

Tante sono le storie a caratterizzarlo e pongono l’accento sulla connesione tra un tipo di cattolicesimo accomodante e i reati commessi da delinquenti (furto, corruzione, abigeato, falsa testimonianza), nonché da coloro (uomo o donna), che facevano mercimonio del proprio corpo. Nasce da qui il termine “componenda”: “accordo”, “patto non scritto”, “compromesso”. In tal senso, si è espresso Gino Pallotta nel Dizionario storico della mafia (Roma, 1977). Per cui, facendo propria questa definizione, Camilleri può così dirla: forma di tacita transazione in base alla quale si restituisce in parte o tutto il mal tolto, tenendo conto della percentuale dovuta per l’intermediazione, a condizione che venga ritirata la denuncia.

Data l’attualità del libro, tentiamo di seguire, sia pure con una certa libertà, il sommario che ne fa Trainito allo scopo di cogliere alcuni tra i passaggi più significativi.

L’espediente che consente allo scrittore di Porto Empedocle di sviluppare il racconto è dato dal ritrovamento, fra le carte della propria madre, di una “Bolla dei luoghi santi”. Muove da qui la sua scrittura sulle indulgenze, elargite con la vendita di tale bolla da parte dei frati, i quali assicuravano che essa preservava dai pericoli e dalle calamità naturali. La distinzione tra la bolla d’indulgenza e quella di componenda è molto rilevante, pur avendo entrambi parecchi tratti simili nella ritualità con la quale venivano concesse. La prima sortiva l’effetto di smorzare gli incendi o, scrive Consolo in Retablo, di preservare dalle ruberie; la seconda, invece, veniva venduta, fra il giorno di Natale e l’Epifania: vale a dire – annota il nostro scrittore – nei due sensi opposti – il passato e l’avvenire. L’intento stavolta era la discolpa di reati commessi, tranne quello dell’omicidio. L’autorità che la emanava almeno doveva essere un vescovo, mentre, il più delle volte, i parroci, avendo coscienza che questo operato fosse fondato sul male, delegavano il sagrestano all’adempimento dell’ingrato compito. In sostanza, si trattava di un Pactum sceleris, siglato da un tariffario variante a secondo il reato commesso: solo che uno dei contraenti era la più alta spiritualità, la Chiesa. Sicché, nella mentalità popolare il furto non è peccato e non bisogna temerne, anche perché a rubare è lo stesso clero imponendo una tassa, a suo favore, sul delitto: Gli basta – scrive Stocchi – essere certo (stolta ma esiziale ricetta) che non andrà “all’inferno”; e da questa unica paura lo guarentisce l’esempio e l’assoluzione del prete. Il professor Stocchi era studioso impregnato di storicismo positivistico, preside da qualche anno del severo e avanzato Regio Ginnasio “Ciullo” di Alcamo, che s’inserì nei lavori d’una Commissione d’inchiesta con le sue personali indagini, i cui risultati egli comunicava attraverso lettere. Di questa inchiesta parlamentare, datata 1875-1876, Camilleri si occupa per porre in evidenza le omissioni, la genericità delle dichiarazioni che non compromettevano nessuno, il silenzio appositamente voluto per occultare le radici del problema: quello, cioè, riguardante la presenza della mafia. Lo scrittore mostra simpatia per l’opinione del tenente generale Casanova, il quale sosteneva la necessità di creare nell’Isola le condizioni idonee alla nascita del progresso, individuate nell’abolizione dei privilegi e delle influenze nefaste. Egli era arrivato a Palermo il 7 gennaio del 1874 ed era stato interrogato il 12 novembre del 1875: in due anni aveva avuto l’opportunità di formarsi un’esatta idea della complessa realtà isolana, e quando parlava della “bolla”, nutriva il timore dell’incredulità altrui.
Ad essa Giuseppe Stocchi dedica la seconda lettera intitolata La questione sociale – Elemento religioso. Camilleri la trascrive nel capitolo quattordicesimo e la commenta, mettendo in risalto gli aspetti di maggiore rilievo, quale la relazione inscindibile tra religiosità e superstizione del siciliano.

Nel corso della narrazione il lettore si trova dinanzi a un commento, dolce eamaro nel medesimo tempo: che l’uso della bolla di componenda sia scomparso non può che rallegrarmi. Anche se rimane la componenda: la versione laica e in un certo senso addomesticata dell’autentica e originaria bolla di componenda. “Componenda”, dunque, che non si volle applicare nei cosiddetti “anni di piombo”: la bolla (…) ci avrebbe risparmiato, non la scia di sangue certamente, ma la tarantella dei pentimenti, delle dissociazioni, della crisi di coscienza, dei rimorsi, dei distinguo, dei cristiani perdoni. Tutti, assassini o no, innocenti o colpevoli, avremmo goduto di “tranquilla coscienza”. L’epilogo non sfugge all’attualità. Della componenda “laica” è rimasta la legalizzazione degli intrallazzi; in particolare, l’accordo della mafia con la politica, volto ad amalgamare il giusto con l’ingiusto e a rinsaldare i legami fra legalità e illegalità in un patto nascosto di coesistenza. Patto che, tuttavia, non esiste: non c’è un documento scritto che ne parli, perciò esso si riduce ad una “bolla di sapone”, appunto per evitare che rimanga qualsiasi traccia dell’irredimibile compromesso fra il bene e il male.

Uno sguardo d’insieme meritano, infine, gli ultimi due paragrafi del terzo capitolo. Il numero 3., intitolato I pizzini di Provenzano e la mafia clericale, si muove nell’ottica d’una religiosità distorta: quella tipica degli uomini di mafia che, nonostante i loro crimini, credono in Dio e lo pregano. Il moralismo dei buoni costumi non è assente dai biglietti (“pizzini”) che indirizzano ad amici e parenti così come viene invocata la volontà divina con umiltà e atteggiamento di servizio. Per la comprensione di tale curioso fenomeno, i testi di riferimento, specifica Trainito, sono La religiosità di Provenzano (lectio Doctoralis tenuta da Camilleri il 3 maggio 2007 a L’Aquila) e Voi non sapete, l’alfabeto mafioso in sessanta voci uscito presso Mondatori nell’ottobre dello stesso anno. Una cosa che interessa sottolineare, egli specifica, è l’accenno dei mafiosi ai preti definiti “intelligenti”: quelli, cioè, “che non considerano la mafia un peccato e che non di rado sono loro consiglieri e padri spirituali”. La collusione, dunque, tra clero “intelligente”e mafia: “Provenzano, addirittura, teneva, nel suo ultimo covo un vero e proprio arsenale religioso”. La religione al servizio del potere non può che fabbricare un universo di tenebre. Religiosità fatta di coreografia, esteriorità, idolatria e superstizione aveva già notato nel 1945 Sebastiano Aglianò (ricordato da Camilleri sia nella Lectio che in Voi non sapete) in Che cos’è questa Sicilia?, opera doverosamente citata dal nostro studioso, unitamente a La Gita a Tindari, in cui il capomafia don Balduccio Sinagra è assistito da un prete che si fa da tramite tra lui e Montalbano per consegnargli il nipote latitante.

Nel paragrafo 4. le domande poste da Trainito sono inquietanti: “Com’è possibile che si sia creata una convergenza così plateale tra le forze del male e i custodi del messaggio evangelico, tra il diavolo e l’acqua santa? E’ il diavolo che è davvero e per natura un portatore di luce o è l’acqua santa che è avvelenata nel pozzo?”

La risposta egli la trova in uno scritto di Sciascia e nel lavoro di Borges Evaristo Carriego. Riporta brani di entrambi, li commenta attraverso il filtro del Don Chisciotte, trova rispondenze tra il modo di sentire degli argentini e dei siciliani intorno allo Stato e alle sue leggi e pone in evidenza che la logica “non è dissimile da quella che Camilleri prima mette in bocca a Balduccio Sinagra e poi vede incarnata nella religiosità di Provenzano”. La spiegazione data da Trainito appare però unilaterale e di parte (la credenza in un ordine divino superiore e trascendente che si connette con la svalutazione delle leggi di uno Stato di diritto, nonché della giustizia), ma non c’è dubbio che il clero (in maggioranza o minoranza, non importa) si sia reso e si rende responsabile di connivenze di comodo, contrastanti con l’autenticità del messaggio cristiano. Come a dire che la “componenda”, a prescindere dagli interlocutori (politici, affaristi o religiosi che siano) sta sempre in agguato, pronta ad essere siglata all’insegna di avidi interessi che legittimano il crimine a danno alla comunità.

Marco Trainito

La conclusione del mio itinerario è ormai evidente. Il titolo dato da Trainito al suo libro, posso ora dirlo, appare riduttivo rispetto alla profondità della ricerca e documentazione, delle considerazioni (condivisibili o meno) e dei riferimenti ampiamente colti che denotano il possesso di poderose attrezzature mentali. Dal ritratto che egli fa di Camilleri, oltre a spiccare   l’invenzione di diversi generi letterari, si ricava l’attualità dello scrittore: l’impegno etico e della responsabilità che si staglia in un’esperienza plurilinguistica che va dalla tradizione realistica (dalla colonna infame di Manzoni) al documento sociologico di Leonardo Sciascia) alla favola onirica e tragicomica (dal realismo magico di Marquèz all’ironia divertita di Bufalino), alle scelte stilistiche. Tutto questo, in definitiva, dà la misura d’una spiccata coscienza critica e d’una ricerca della verità, al di là di pregiudizi e stereotipi, del tutto demistificati.

Federico Guastella

giugno 2010


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Cultura e musica Rom a Ragusa: spettacolo di Alexian e il suo Gruppo


I “Rom”: un popolo privato dei diritti fondamentali

Alexian Santino Spinelli

di Pippo Palazzolo

L’11 dicembre scorso, promossa dal Gruppo 228 di Ragusa di Amnesty International, con la collaborazione del Centro di Educazione alla Pace, dell’’Associazione A.s.tr.um., della rivista “Le Ali di Ermes”, dell’Assessorato alla Pace del Comune di Ragusa e del Centro Servizi Culturali di Ragusa, si è svolta un’iniziativa tendente a sensibilizzare l’opinione pubblica su una realtà ancora coperta da troppi pregiudizi: quella del popolo “Rom”. Il musicista Alexian Santino Spinelli e il suo gruppo, si sono esibiti in un applauditissimo spettacolo di cultura e musica “Rom”, presso l’Auditorium dell’I.T.I.S. “E. Majorana” di Ragusa.

Danilo Gallo (contrabbasso), “Arduinia”Alessandra La Spada (percussioni e danza), “Alexian”Spinelli (fisarmonica e canto), Andrea Castelfranato (chitarra).

 

“Arduinia” Alessandra Spada

La scelta di organizzare questo spettacolo, in occasione del 56°  anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è nata dall’idea di abbinare un momento spettacolare e piacevole, di ascolto di un genere musicale etnico, la musica “rom”, con un momento di riflessione sui pregiudizi e le costanti violazioni dei diritti umani di un popolo che, in Italia, conta circa 80.000 persone: i “romaní”, a volte impropriamente chiamati “zingari”, “nomadi” o “gitani” (termini che hanno connotazioni spregiative e razzistiche).

Alexian Santino Spinelli ha al suo attivo un’ampia produzione musicale e letteraria; oltre ad essere un valente musicista, docente di Lingua e cultura “romaní” all’Università di Trieste. Nel suo spettacolo, coadiuvato da artisti di grante talento, quali “Arduinia” Alessandra  La Spada (percussioni e danza), Andrea Castelfranato (chitarra) e Danilo Gallo (contrabbasso), è riuscito pienamente a coinvolgere il pubblico, facendolo immergere nelle magiche atmosfere degli accampamenti “rom”, in una vera e propria festa fatta di musiche e danze esotiche, suggestive e commoventi, intessute di una narrazione semplice ed efficace della storia del popolo “romaní”, facendolo conoscere al di là dei più diffusi pregiudizi.

La popolazione “romaní”, di origine indo-ariana, comprende i romi sinti, i kale, i manouches e i romanichals.
Essi sono presenti in Italia a partire dal 1400 circa. Le persecuzioni subite da questo popolo sono costanti e risalgono già al loro primo apparire in Europa, a seguito della diaspora determinata, intorno all’XI secolo, dall’espansione islamica in India. Non si sa quanti siano stati i “romaní” impiccati, bruciati e torturati con l’accusa di stregoneria in Europa, sicuramente molti.
Eppure, nella società contadina medievale, avevano un loro ruolo: lavoravano i metalli, allevavano e vendevano cavalli, suonavano nelle feste e fiere paesane. Le persecuzioni verso di loro raggiunsero il culmine con lo sterminio nazista di circa 500.000 gitani. A differenza di altri popoli, però, essi non vennero nemmeno ammessi come testimoni al processo di Norimberga e non vennero loro pagati i danni di guerra.

Un altro momento della danza di “Arduinia”

Ma qual è il motivo di tanta discriminazione? Probabilmente è il loro spirito libero, il non voler mettere radici in nessun posto, l’essere apolidi, che disorienta i tranquilli cittadini, scardina il loro bisogno di “sicurezza”, “punti fermi”, “ordine”, “leggi”. Il loro “nomadismo”, tuttavia, è un diritto contenuto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948 e ripreso dalla nostra Costituzione, oltre che dallo stesso Consiglio d’Europa, che ha affermato che deve essere facilitato il loro insediamento in abitazioni appropriate, per chi lo desideri. La cultura “romaní”, antica e ricca, merita rispetto e il popolo Rom deve godere di tutti i diritti umani, così come ogni altro popolo.

Pippo Palazzolo

Dicembre 2004

Nota: per ricostruire il clima festoso della serata, vi invitiamo ad ascoltare un brano musicale di Alexian e il suo Gruppo, tratto dall’album “Gjiem Gijem”, “La Danza del Fuoco”, cliccando qui La Danza del Fuoco (nota: è un file wma di 2,69 Mb, abbiate pazienza…!).

Ulteriori informazioni sulla cultura ROM e su
Alexian Santino Spinello, nel sito www.alexian.it 

Amnesty International, presente in tutto il mondo con oltre un milione di soci, lotta in difesa dei diritti umani, con la semplice ma efficace arma della denuncia e della pressione dell’opinione pubblica contro i responsabili delle violazioni. Dal 1998 un Gruppo di Amnesty International è presente anche a Ragusa. 

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Amicizia e autostima

articolo di Pina Pittari sull’autostima e le relazioni di amicizia

Il tuo più grande amico o nemico? Te stesso!

di Pina Pittari

Questo articolo tratta dell’’autostima e dell’’essere amici di se stessi, anzi: il miglior amico.

Non è del tutto facile osservarsi, ma vale la pena fare uno sforzo e, per questo, t’’invito a prenderti alcuni minuti di riflessione e riconoscere il grado d’’intimità che hai nel rapporto con te stesso.

Forse alcune volte potrai identificarti come amicoin altri momenti e circostanze come conoscente e, perché no?, anche scoprire di avere agito nei tuoi confronti come nemico. Per facilitarti questa riflessione ti offro alcuni spunti.

Per me un amico è qualcuno che  ti dà la mano in un momento di difficoltà, una parola di sostegno quando ne hai bisogno; ti può anche dire in faccia quello che pensa di te o di quello che hai fatto per farti reagire; condivide con te momenti felici o di
divertimento. …Insomma, un amico è colui con il quale puoi condividere momenti brutti o felici, uno su cui puoi contare, a cui racconti i fatti tuoi e ascolti quelli suoi, lo sostieni e ti sostiene…c’’è intimità, ti vuole bene, ti accetta come sei.

Ti riconosci in un rapporto intimo di amicizia con te stesso? Con quale intensità e accettazione?

Un conoscente invece è qualcuno con cui condividi alcuni momenti della tua vita, ma senza intimità. Non conosci bene cosa sente, né come pensa veramente, le maschere sociali sono sul volto e si accomodano in rapporti cordiali ma superficiali, l’’accettazione è legata al rispetto delle norme sociali. In che grado tratti te stesso in questo modo? Rifletti un poco su quanto ti permetti di vederti senza maschere, di guardare le tue ombre e portarvi luce, di chiederti se pensi in un modo, senti in un altro e agisci in un altro ancora, totalmente diverso rispetto a come pensavi e/o sentivi.

Un “nemico” è quello che sa qualcosa di te, forse conosce solo le tue ombre e le utilizza per ferirti, non gli interessa conoscerti nella tua totalità, ti nega qualsiasi opportunità,  ti segnala come colpevole delle sue disgrazie, vuole distruggere qualsiasi
gioia che puoi avere, ti blocca la strada del successo o le tue iniziative, ti maltratta se può, ti alimenta i vizi… E’’ qualcuno che non ti vuole bene, non ti accetta, ti scoraggia, ti induce a fare cose che ti fanno male. 
Hai agito qualche volta in questo modo verso di te? In che grado?

La cosa che di più colpisce è che, senza renderci veramente conto, con molta frequenza ci comportiamo con noi stessi, alternativamente, come amici-conoscenti-nemici.

Osservare i tuoi rapporti interpersonali può fare chiarezza su questo tema, giacché cosi come stabiliamo rapporti al nostro interno, lo facciamo all’’esterno. Mi auguro che ne trovi di più simili ai primi due e, più raramente, al terzo tipo! Questo modo di osservare sarà utile poiché ti permetterà di individuare, come in uno specchio, quello che non riusciamo a vedere in noi stessi….

Pensa per un attimo alle persone con le quali condividi un “rapporto di amicizia” e guarda bene come gestisci i diversi tipi di rapporti. Fai un elenco di quelli che consideri amici, un altro dei conoscenti e per ultimo, i “non tanto amici”: con certe sfumature, il “nemico” lo vediamo sempre nelle incomprensioni di quelle persone che ci stanno attorno, sperimentando sentimenti dall’’AMORE all’’ODIO, passando nei rapporti con queste persone dal quasi-equilibrio allo squilibrio, per cercare di tornare al quasi-equilibrio.

Che tipo di rapporti interpersonali stabilisci? Quale è lo scambio in essi?

Quando non ci stimiamo, noi non ci accettiamo e siamo diffidenti verso noi stessi; facilmente possiamo stabilire all’esterno rapporti di dipendenza. Un indizio di ciò può essere la frequenza con la quale aspettiamo dagli altri l’’approvazione, la parola di sostegno, la telefonata di saluto e/o di compassione, la verifica di promesse fatte, mentre noi non siamo capaci di sostenerci o non è abbastanza quello che ci diamo.

Un altro indizio di poca stima di sé, è agire solo per avere l’’approvazione, senza renderci veramente conto se è quello che vogliamo fare e ci fa felici fare. Una persona con poca autostima è bisognosa di approvazione,  può permettere al suo ego persino di “vendersi l’’anima” solo per avere l’’approvazione, per ascoltare elogi e riconoscimenti esterni, agisce con la pretesa di essere diversa da come è, rimanendo così vuota: immagina un bicchiere senza fondo, puoi versare in esso qualsiasi quantità di liquido, ma rimarrà sempre vuoto.

Senza autostima, quando i complimenti esterni e l’’approvazione ci mancano, il senso di solitudine e di abbandono si appropriano di noi.

Sarai allora d’’accordo con me nel concludere che essere amico o nemico di se stesso dipende dalla nostra autostima. Essa è il “fondo del bicchiere”, anzi, molto di più che solo il fondo.

Per acquistare autostima ci vuole soprattutto conoscersi, accettarsi, essere se stessi. E se ci fosse qualcosa che non ci piace di noi? In quel caso allora: sostenersi, guarire, trasformare ciò che non ci piace di noi, essere auto compassionevoli (che è diverso da commiserarsi: compassione significa accompagnarsi con passione).

Una definizione di autostima è: fiducia e soddisfazione di se stessi”. Le domande che sorgono a questo punto sono: come conoscere te stesso? Come arrivare a sentirti fiducioso e soddisfatto di te stesso? Come sentirti realizzato? Come esprimere la propria personalità? 

Bob Mandel, nel suo libro “Regreso a sí mismo. Autostima Interconectada””1, ci dice: “…lei non è un luogo, una destinazione, lei è un forma di coscienza…””. Quando ho letto quest’’ultima frase, essa è rimasta come un’’eco nella mia mente invitandomi a riflettere, a capire cosa significa essere una forma di coscienza; le parole/pensieri che vi associo sono:
essere in contatto intimamente con me stessa, essere consapevole di chi sono, di cosa sento/penso/faccio e di come quello che sento/penso/faccio crea in me e in ciò con cui entro in rapporto; mi sono dettase sono una forma di coscienza, non posso fare altro se non essere me stessa, consapevole di me, responsabile dei mie atti nei riguardi miei e di tutto ciò che mi circonda!

Bob Mandel ci suggerisce un percorso verso l’’autostima in nove passi. Voglio qui offrirti una breve sintesi di questo percorso per tornare a se stessi, “a casa”. Quello che leggerai di seguito è una mia traduzione e rielaborazione libera di frasi prese dal libro al quale mi riferisco sopra1:

1. Accetta te stesso.

L’’autoaccettazione è alla base dell’’autostima. Smetti di dare giudizi, perdonati, dì no alle condotte compulsive, fai valere il tuo vero Sé al di sopra di qualsiasi falsa identità come: “sono un bugiardo”, “un falso”, “un incapace”, “sono colpevole”… Accettarsi significa rispettarsi ed essere compassionevole verso se stesso, soprattutto nei momenti in cui si osservano aspetti di sé che si vogliono cambiare.

2. Sii tollerante con gli altri

Quando ci accettiamo riusciamo ad essere più tolleranti con gli altri. Questa tolleranza inizia a casa e si estende anche agli sconosciuti. La diversità ci fa sentire minacciati, accettare la diversità negli altri ci permette di essere tolleranti, ci apre la strada al perdono, anche verso noi stessi. La tolleranza è cosa diversa dalla sottomissione e dall’’abuso, è accettare la diversità. Se ci sentiamo sfidati dalla diversità, possiamo affrontarla anche senza lotta, stabilendo le frontiere e non accettando le ingiustizie.

3. Recupera le parti di te che hai perduto

Si riferisce all’’utilità di seguire un tipo di percorso terapeutico che permetta di renderci conto e integrare le parti di noi che sono rimaste “a pezzi” nel tempo. Quanto possa durare questo percorso, difficilmente è stimabile, i tipi di terapie sono tanti, c’’è bisogno di trovare quella adatta per ognuno di noi e, nel momento in cui il benessere arriva, mettere fine al percorso di guarigione e decretare la salute.

4. Estendi agli altri il tuo sostegno

Condividere quello che si ha genera di più, lo aumenta. Se le persone con le quali condivido stanno meglio, il mio benessere aumenta. Sostenere non significa trasformarsi in uno schiavo della persona che
riceve il sostegno, non è sacrificarsi. Qui è importante capire che quello che facciamo come sostegno, non deve portare a presentare fatture”, si fa per il solo piacere di farlo, di condividere, per amore, perché dà pace. Il pericolo nel dare sostegno è adottare un atteggiamento non conveniente, come quello di “farsi carico”, controllare l’’altro, manipolarlo. Se non abbiamo autostima, possiamo cadere nell’’errore di sostenere cercando amore in cambio.

5. Crea un’’immagine positiva di te stesso.

Tu puoi solo controllare quello che pensi su di te e sugli altri, non puoi controllare quello che gli altri pensano di te ed è inutile preoccuparsi per questo. Per migliorare la nostra immagine possiamo utilizzare diverse tecniche e il potere del pensiero positivo, nelle sue più diverse forme: affermazioni, visualizzazioni, suggestione ipnotica. Tutto ciò può aiutarci nel creare una immagine positiva di noi, ma non basta, giacché è necessario sentire e agire conformemente, non
lasciarla nella mente come un’’illusione o una fantasia su se stessi.

6. Riconosci gli altri.

Riconoscere se stesso è la cosa più importante, riconoscere gli altri è un modo per appoggiarli. Criticare, specialmente alle spalle, è controproducente…quello che va, ritorna!

7. Trova il tuo luogo sacro.

Avere una vita spirituale, a prescindere dalla religione, ci permette di trovare un luogo sacro dentro di noi stessi, dove ci possiamo sentire avvolti nell’’amore universale.

8. Rispetta il luogo sacro degli altri.

C’’è la divinità in tutto ciò che vive, quando riconosciamo in noi la divinità è più facile riconoscere la divinità in tutti gli altri e in quello che ci circonda.

9. Scopri l’’allegria dell’’umiltà.

Senza umiltà corriamo il rischio di rimanere impantanati nell’egoismo spirituale. L’’umiltà si compone di diverse parti, tra le quali la gratitudine, il fare una vita di servizio con senso di pienezza e gratitudine per la vita, di sentirsi così innamorato della vita che si vuole condividere con il mondo. L’’umiltà non ha niente a che fare con un senso di superiorità o con l’’orgoglio della vana “spiritualità”. Helen Nielson ha detto: “l’umiltà è come la biancheria intima: è essenziale, ma è improprio e indecoroso mostrarla.”

Ricordati:

Accetta te stesso nel percorso del tuo viaggio

Sii tollerante con gli altri mentre fanno il loro percorso

Guarisci il danno fatto alla tua anima

Estendi il sostegno agli altri

Crea una immagine di te stesso positiva

Riconosci gli altri

Scopri il tuo luogo sacro

Rispetta il luogo sacro degli altri

Scopri l’’allegria dell’’umiltà.

Tempo fa ho iniziato questo viaggio verso la mia stima e oggigiorno il mio bilancio è positivo: sono la mia miglior amica e riesco a offrire di me stessa più di prima, con una maggior qualità nei miei rapporti.

Ti auguro un felice e dolce “ritorno a casa” e la crescita della tua amicizia con te stesso. Ti ringrazio per il momento che attraverso la lettura di questo articolo abbiamo passato insieme.

Pina Pittari

giugno 2005

Nota: 1. Bob Mandel, “Regreso a sí mismo. Autostima Interconectada”, Editorial Kier S.A., Buenos Aires, 2001 (titolo originale: “Return to Self”, Bob Mandel, 2000).

Per chi volesse approfondire il tema, segnaliamo il sito ufficiale di Bob Mandel e del Progetto Internazionale di Autostima:

www.bobmandel.com

La dott.ssa Pina Pittari, italo-venezuelana, è una Rebirther, formatasi con Maria Luisa Becerra, Carlos Fraga, Bob Mandel e Patrice Ellequain. E’ anche specializzata nell’utilizzo dei Fiori di Bach e in altre tecniche di sviluppo personale. Dal 2002 vive in Italia, a Ragusa. 

 

 

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Altri articoli di Pina Pittari in questo sito:
“L’abuso di sé nella ricerca dell’approvazione”, “Rebirthing, un modo per divenire consapevoli e ri-creare la vita”, “Quale aspetto della tua vita ha per te più importanza?”, “Avrei il mondo ai miei piedi, se solo fossi…” e “La respirazione, ovvia ma potente”.

Per consultazioni,
anche on-line, con la dott.ssa Pittari scrivere a
pinapittari@hotmail.com

benessere & alimentazione

articolo sulle qualità antitumorali


                                                                      

 

 Primavera – Giuseppe Arcimboldo (1527-1593)

Alimenti e loro azione
antitumorale


di Cosimo Alberto Russo

 

Negli ultimi anni è stata evidenziata l’azione di prevenzione e di contrasto allo sviluppo dei tumori da parte di parecchie classi di alimenti, da soli o in combinazione tra loro (azione sinergica).

Studiando le abitudini alimentari di determinate popolazioni, si è visto che queste non sviluppano certi tipi di tumore, che invece insorgono nel caso i componenti di queste popolazioni si siano trasferiti in altri paesi e si siano adeguati alle abitudini alimentari locali. Da qui l’ipotesi che vi sia una stretta connessione tra abitudini alimentari e sviluppo di determinati  tumori.

I vari studi effettuati in laboratorio hanno messo in risalto l’attività antitumorale di alcuni alimenti, riconducibile, in via di massima, a due grandi classi di composti chimici: i polifenoli e le catene insature coniugate.

A queste sostanze sono dovute in gran parte le caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore) degli alimenti; si allarga così lo studio delle proprietà alimentari, andando ben oltre le sole funzioni nutritive.

Un dato importante da considerare è la modalità di assunzione di questi alimenti, che deve essere moderata ma continua (non una volta abbondante, ma sempre moderatamente…).

Di seguito ho riportato, in maniera puramente indicativa, una tabella  con un riassunto molto schematico delle classi di alimenti e della loro attività antitumorale.

Classe di alimenti Varietà alimenti Tipologie tumori note
Crucifere  

Cavolini di Bruxelles

Cavolo nero

Verza

Broccoli

Cavolfiore

 

Seno, colon prostatabroccoli agiscono contro l’”helicobacter pylori”. Protettivi nei confronti dei polipi intestinali Buona masticazione

Blanda cottura

Usare poca acqua

Aglio e cipolla Aglio, cipolla, porri  

Apparato digerente(esofago, stomaco, colon)prostata, Ipotensivo (aglio)

 

Tagliati per liberare le sostanze attive
Soia   Seno e prostata  

Evitare nel caso di donne già soggette a tumore al seno

 

Curcuma    

Apparato digerente(soprattutto colon), pelle, fegato, leucemie

 

Assumere insieme al pepe nero (curry) che ne moltiplica l’attività
Tè verde Giapponesi, cinesi, indiani Leucemie, reni, pelle, seno, bocca, prostata  

I più ricchi in sostanze attive sono, nell’ordine: giapponesi (sencha, gyokuro), cinesi (yunnan).

Infusione di 8-10 minuti

 

Frutti di bosco  

Mirtillo nero e rosso, lamponi, fragole, more

 

Esofago, colon  
Omega 3 Sardine, sgombro, salmone, soia, noci Seno, prostata, colon, pancreas. Proteggono da malattie cardiovascolari  

Omega 9 (olio di oliva, mandorle, avocado) sono anch’essi protettivi.

Omega 6 (olii vegetali) hanno invece attività protumorale

 

Pomodoro    

Prostata

 

Cotto e/o concentrato
Agrumi Tutti  

Apparato digerenteleucemie infantili

 

 
Vino Rosso  

Protegge dalle malattie cardiovascolari.

Seno, colon, esofago, prostata, bocca, melanoma, leucemie

 

 

Il principio attivo è il resveratrolo; meglio non superare i 400 ml/die per gli uomini e i 250 per le donne (3-4 bicchieri e 1-2 rispettivamente)

Cioccolato Fondente ≥ 70%  

Protegge dalle malattie cardiovascolari; si ipotizza una attività antitumorale diffusa.

 

Consumo quotidiano di almeno 40 g…..

Ho elaborato quanto scritto dopo aver letto il libro: “L’alimentazione anticancro”, Sperling & Kupfer Editore, Autori: R. Béliveau e D. Gingras.

Altre informazioni dettagliate si trovano nei seguenti riferimenti:

– “Anti cancro”, Sperling & Kupfer Editore, autore: D. Servan-Schreiber.

– “Prevenire i tumori mangiando con gusto”, Sperling & Kupfer Editore, Villarini e Allegro autori

– “La prevenzione alimentare dei tumori”, F. Berrino (sul web).

– www.dietandcancerreport.org

– www.Health.gov/dietaryguidelines/dga2005/report

                                                           Autunno – Giuseppe Arcimboldo  (1527-1593)



Graffiti ai tempi dell’Inquisizione

L’arte grafica degli inquisiti

di Giuseppe Nativo

Cella con graffito raffigurante un signore che prega Palazzo Chiaramonte, Palermo

Pacienza/ Pane, e tempo.

 

Queste le parole che – graffite sul muro di una cella del palazzo Chiaramonte, sede del Tribunale della Santa Inquisizione siciliana di rito spagnolo, nella Palermo del XVII secolo – Giuseppe Pitrè riesce a decifrare nel lontano 1906. Si trovano lì, ammutolite dal tempo ma ancora vive e pregne di significato. Segni,   parole di disperazione, di paura, di avvertimento, di preghiera, di cose ricordate o sognate.

Dello stesso stile dovevano probabilmente essere i graffiti presenti sulle pareti delle antiche celle seicentesche del castello di Modica, capitale della Contea, probabilmente opera dei carcerati, delle quali ne rimane ancora oggi una modesta traccia. Figure sbiadite dall’ingiuria del tempo che tornano dal passato.

Le poche fonti documentarie che tracciano la storia del castello di Mohac (così era anche indicata Modica nel corso del XVI secolo) testimoniano la presenza di variegati locali adibiti a carcere, diversificati a seconda della tipologia dei condannati. Tra queste carceri particolarmente terribili erano le fosse baronali, locali sotterranei angusti, privi di luce e umidi coperti da un lastrone a cui si accedeva attraverso un’apertura cilindrica scavata nel terreno. In esse il condannato veniva calato, incatenato mani e piedi, per scontare la pena nelle tenebre, tra gli insetti, la sporcizia e mangiando il pane del dolore.

Una delle pene più severe era quella del “murus”, ossia della prigione che si distingueva in murus largus ossia prigione semplice e murus strictus ossia prigione con la catena ai piedi. In entrambi i casi il prigioniero veniva nutrito a pane ed acqua. Le prigioni erano costruite con il maggior risparmio possibile di spesa e di spazio; celle piccole, strette ed oscure per contenere pochi prigionieri. Si aveva cura che il rigore della detenzione non fosse tale da estinguere la vita del detenuto, ma, ciò nonostante, si verificava una mortalità eccessiva.

Le prigioni utilizzate dall’Inquisizione – come quelle scoperte a Palermo a palazzo Steri, sede del “santo” Tribunale – racchiudevano, ciascuna, sei od otto persone. Nelle celle sotterranee, lunghe dodici piedi e larghi otto circa, vi era da un lato un tavolato e dall’altro uno strato di paglia lungo quanto il carcere e largo metà. Una parte dei prigionieri quindi giaceva sul suolo,mentre l’altra su quei “soffici” letti. In un angolo vi era ricavata una fossa utilizzata come latrina, che veniva svuotata con cadenza settimanale. Ciò rendeva l’atmosfera – già umida per la profondità, per l’alito stesso dei carcerati e per la poca luce – pessima oltre che miasmatica, appena respirabile, a causa del gas ammoniacale di cui era gravida. 

Cella con  graffito intriso di simbolismo iconografico Palazzo Chiaramonte, Palermo

 

Eppure, malgrado tali condizioni per nulla igieniche, l’animo immortale di uno dei condannati ha lasciato dei versi che, con uno stile ed una intonazione malinconica, come lacrime di un cuore inconsolabile al pensiero di essere rinchiuso in una tetra prigione, così recitano:

Nun ci nd’è nu scuntenti comu mia/ Mortu, e nun pozzu la vita finiri./ Fortuna cridi ch’immortali io sia;/ Chi si murissi nun duvria patiri,/ Pirchì cu la mia morti cissiria/ La dogghia e l’infiniti mei martiri./ Per fari eterna la memoria mia/ Nta tanti stenti nun mi fa muriri.

Giuseppe Nativo

L’Autore, Giuseppe Nativo, 44 anni, vive e opera a Ragusa. Ha condotto ricerche su problemi socio-demografici del territorio ibleo e studi storico-archivistici riguardanti la Sicilia del XVI secolo, nonché su tematiche medievali e rinascimentali. Attualmente è impegnato a ricostruire la biografia dell’illustre giureconsulto chiaramontano u.j.d. Ioannes Antonius Cannetius, la cui attività, negli anni ’50 e ’60 del Cinquecento, fu oggetto di attenzione da parte della Santa Inquisizione locale. Collabora alle testate locali Pagine dal Sud, La Provincia di Ragusa, Insieme, Dialogo e Bohémien (mensile di Acireale, Siracusa e Ragusa). “Le Ali di Ermes” ospita altri suoi interessanti articoli di carattere storico, “Aspetti culturali della Sicilia dell’Età Moderna”, “L’Inquisizione in Sicilia” e “Streghe: eretiche o erboriste?”.

Chi volesse contattarlo, può scrivergli al seguente indirizzo e-mail: giusnati@tin.it

Coltivare la terra in armonia con il cielo…

intervista al dott.Pippo La Terra, pioniere dell’agricoltura biodinamica a Ragusa,la teoria di Rudolf Steiner alla base della pratica dell’agricoltura biodinamica>

Coltivare la terra in armonia con il cielo…

di Pippo Palazzolo

Incontriamo il dott. Pippo La Terra, titolare delle aziende agricole “Le Lanterne” e “La Castellana”, per una di quelle coincidenze “non casuali” della vita, in un tranquillo pomeriggio d’autunno, a Marina di Ragusa. Scambio di saluti e…perché non far conoscere ai lettori di “Le Ali di Ermes” la sua esperienza? Così è nata questa intervista “informale” con uno dei pionieri dell’agricoltura biodinamica a Ragusa.

D. Dott. La Terra, cosa si intende per “agricoltura biodinamica”?

Dott. Pippo La Terra

E’ un tipo di agricoltura basata sui principi di Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, che ha lasciato importanti opere sia nel campo dell’agricoltura che della pedagogia (sono famose le “scuole steineriane”). Steiner, già nel 1923, denunciò la “nuova” agricoltura, basata sulla costrizione degli animali di allevamento, forzati a diventare carnivori e “cannibali”.

D. In cosa si differenzia l’agricoltura biodinamica da quella biologica?

In entrambe c’è sicuramente il rispetto per la natura e per i suoi ritmi. L’agricoltura biodinamica interviene solo per favorire una migliore qualità dei prodotti, con l’utilizzo di preparati biodinamici: da spruzzo (il “cornosilice”) e da concime (il “cornoletame”, trattato secondo il calendario astrale delle semine,  della svizzera Maria Thun. Il cosiddetto “cumulo” che si utilizza, è per il 50 % letame fresco e per l’altro 50 % paglia, che vengono mischiati; ha una dimensione di un metro e mezzo per due. Vi si aggiunge corteccia di quercia, camomilla, achillea, valeriana dinamizzata, equiseto e tarassaco.

D. Nell’agricoltura biodinamica, quindi, si tiene conto delle posizioni di tutti i pianeti e non solo delle fasi lunari, come avveniva nell’agricoltura tradizionale? 

Sì, la Luna viene considerata uno “specchio” dei pianeti.

D. Questa teoria mi fa venire in mente Madame Blavatski, per la quale la Luna aveva un ridotto valore, quasi solo…un buco! Ciò ha a che fare con le origini teosofiche di Steiner? 

Sì, Steiner è stato un teosofo; si è staccato dalla Blavatski solo per una diversa valutazione della figura di Gesù, che per lui è centrale. 

 

Rudolf Steiner

“Nel caso di animali totalmente erbivori come le mucche, il corpo dell’animale possiede particolari forze (…che i carnivori non hanno!) che gli consentono di trasformare i vegetali in carne. Ora, se si alimenta la mucca con mangimi di origine animale si ottiene una “resa migliore” in quanto il corpo dell’animale non è più costretto a fare sforzi per trasformare l’erba in carne! Ma sorge il pressante quesito: cosa fanno quelle forze particolari, che sono in grado di trasformare i vegetali in carne, ora che la mucca si ciba direttamente di carne? Queste forze continuano ad esistere e ad agire, producendo sostanze dannose per l’organismo. In particolare esse producono acido urico e cristalli di sali di urea che si depositano principalmente sul sistema nervoso e nel cervello della mucca che, come conseguenza di ciò, impazzisce.”

Da un discorso di Rudolf Steiner, Dornach (Basilea) 13.1.1923

D. Da quanto tempo opera nell’agricoltura biodinamica?

Dai primi anni ’90. Oltre alla mia, ci sono diverse aziende agricole biodinamiche, in provincia di Ragusa, come l’azienda “Arte/Orto”, dei f.lli Zisa, a S.Croce Camerina. La più grande è forse l'”Agrilatina” di Sabaudia (Latina), di ben 200 ettari. C’è da dire che un impulso a questo tipo di agricoltura è stato dato dalla Comunità Europea, poiché con il Regolamento CEE n.2092 del 1991 si contempla anche l’agricoltura biodinamica. Per l’agricoltura biologica, vengono previsti una serie di controlli che vanno dal metodo di coltivazione alle etichettature, rilasciate da appositi organismi nazionali pubblici. In più, per l’agricoltura biodinamica, c’è l’obbligo di sottoporsi a controllo da parte dell’Associazione “Demeter”, che impone l’applicazione dei preparati biodinamici.

D. Ma è conveniente, in termini economici, praticare l’agricoltura biodinamica?

Certamente. Basta fare un semplice calcolo: anche se i prodotti utilizzati hanno un costo iniziale di tre o quattro volte maggiore di quelli dell’agricoltura tradizionale, nell’arco di due o tre  anni un’azienda sarà in grado di continuare a produrre con il 40% circa di costi di produzione in meno, non dovendo ricorrere ai costosi (oltre che nocivi) prodotti chimici.

D. Cosa possiamo consigliare a chi volesse saperne di più? 

Ci sono degli ottimi libri su questa materia, da quello classico di Rudolf Steiner, “Impulsi scientifici e spirituali per lo sviluppo dell’agricoltura”, a quelli di Pfeiffer, “La fertilità della Terra”, di Merkenz, “L’’orto biologico” e di Alex Podoliski, “Lezioni di agricoltura biodinamica”.

Marina di Ragusa – tramonto

Il Sole è già sceso sul mare, siamo al tramonto. Non ci resta che congedarci dall’amico Pippo La Terra, ringraziandolo per la gentilezza con cui ci ha dato queste interessanti informazioni.

Forse, è ancora possibile un’agricoltura in cui la Terra continui ad essere in armonia con il Cielo…

Pippo Palazzolo

Per approfondimenti su questo tema, consigliamo anche l’ottimo sito Agricoltura Biodinamica.it

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Benessere

La reflessologia plantare, antica terapia
olistica, nella presentazione di un esperto

I piedi, specchio del corpo

di
Francesco
Ossino
*

 

  
I PIEDI, lo specchio del corpo. La Reflessologia, tecnica antica, praticata da millenni in India, in Cina, dagli Indiani d
America, Egiziani, ecc., sostiene………….. ed è così, poiché il nostro corpo è attraversato da meridiani d’energia che mettono in relazione i diversi organi, con punti corrispondenti nei Piedi, Mani, Occhi, Orecchi. Agendo su di essi si otterrebbero, quindi, benefici sugli organi interni.

Se in natura osserviamo una foglia, possiamo vedere che al suo interno è impressa una struttura che ripropone in miniatura quella dell’albero. Così nei piedi dell’uomo, secondo questa teoria, possiamo ritrovare l’intera mappa di riferimento di tutti gli organi del corpo ( TEORIA OLISTICA).

Secondo la Reflessologia, arrivata in Europa alla fine dell’ ‘800 con il Dr. Fitzgerald, nell’organismo umano, piccolo cosmo, esistono 10 canali verticali, i quali attraversano tutto il corpo confluendo alle estremità, in questo caso ai PIEDI. Su entrambi i PIEDI si trovano i punti corrispondenti a tutti gli organi doppi del corpo, come reni,
occhi, polmoni…

Durante i trattamenti l’operatore, tramite stimolazioni dinamiche o statiche, tramite i movimenti dei pollici stimola o rilassa la zona  energicamente carica o scarica, in quanto la malattia è considerata come una disfunzione ENERGETICA-ORGANICA.

L’operatore, in Reflessologia, non CURA o GUARISCE, ma consente alla persona trattata la migliore possibile funzionalità in relazione alla patologia per cui si presenta; per questo deve essere considerata un ottimo coadiuvante alla tecnologia farmacologica.
Inoltre, è in grado di fornire indicazioni precise riguardo ad affezioni difficilmente individuabili, per cui potrebbe essere un’ottima alleata della medicina accademica.

Mi sembra doveroso ricordare che è importante rivolgersi sempre a Professionisti seri, in attesa che quella oggi chiamata Medicina Alternativa diventi una “Medicina Complementare”.

                Francesco Ossino

* Francesco Ossino, reflessologo di
lunga esperienza, pubblica un sito dedicato alla materia. Gli interessati
possono visitarlo all’indirizzo www.ossinofrancesco.com

 

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“Il coraggio di essere uomini”

 

“Il coraggio di essere uomini”, di
Giuseppe Mirabella – edizione “La Biblioteca di Babele”

 


copertina del libro “Il Coraggio di essere uomini”, di G.Mirabella
 Ed. La Biblioteca di Babele,
Modica

Un brano del libro:

“Vi sono tre modi di condurre
la propria esistenza.

Il primo è quello di puntare
all’esterno; possedere una casa che sia sempre più bella, alla ricerca di
uno status symbol, sempre più elevato, una bella macchina (che è bella fin
quando non ne vediamo una più costosa), vestiti firmati, gioielli. Non
appena hai tutto questo, sorgerà di nuovo in te un vuoto da traguardo,
avere qualcosa da desiderare di più bello e di più costoso, nell’affannosa
ricerca di un motivo primario, che possa rappresentare la meta di una vita
senza senso.

Il secondo modo è quello di
puntare all’interno del nostro essere; contemplare e meditare, immergersi
nell’essenza di tutto il creato, inabissarsi negli abissi più scuri ed
elevarsi fino alla luce.

Il terzo modo è un alternarsi
fra l’interno e l’esterno. Perché è giusto nutrire dei desideri per delle
cose materiali, ma l’importante è non divenirne schiavi. Perché i desideri
devono essere il mezzo , non il fine. Come è anche appagante meditare e
contemplare, ma non basta; l’uomo per sentirsi e quindi per
essere
, deve avere degli obiettivi.

Solo così l’uomo può divenire
uno, sconfiggendo la dualità esterno/interno, nella completa
realizzazione di un’esistenza totale, in cui l’uomo è artefice del proprio
destino.

Alla ricerca costante di un
equilibrio, passando da un estremo all’altro, senza nessuna risposta
certa, ma con tante domande. Perché il bello è tutto nel viaggio e non nel
traguardo.”   (pagg.17-18)

“Il coraggio di essere uomini” si legge piacevolmente,
con la sensazione di poter condividere pienamente la proposta dell’Autore,
il Maestro Giuseppe Mirabella, che nella premessa si definisce “studente
della vita”. Ed è infatti con l’entusiasmo di chi si protende incontro
alla vita con la curiosità e lo “stupore” di un bambino che
l’Autore fa le
sue considerazioni sull’uomo e sulla società. C’è in quest’opera l’invito
alla conoscenza, al di là dei pregiudizi, e al perfezionamento personale, superando
continuamente i propri stessi limiti.

Il sottotitolo, “Per non essere
mai più dei ripetitivi robot”, chiarisce lo scopo dell’autore, che
appare in quest’opera come un maestro
desideroso di insegnare ciò che ha appreso, frutto non solo di attenti
studi ma soprattutto di esperienze vissute e su cui ha profondamente
riflettuto.

Già da piccolo Giuseppe
Mirabella apprende dal nonno Pietro il valore del lavoro, che deve essere fatto bene
e sempre migliorato. All’età di nove anni inizia il suo percorso formativo
nelle arti marziali, proprio per “mettersi alla prova”. Diventa Maestro di Karate dello stile Shotokan, solo una tappa del suo itinerario, che
include numerose discipline orientali e occidentali.

Al centro della sua ricerca c’è
l’individuo e il suo divenire, dalla mediocrità all’eccellenza, fra dolore
e gioia. Possiamo trovare le radici della sua visione della vita sia nelle
arti marziali orientali che nel buddhismo, nell’induismo, nel cristianesimo e nel sufismo
(in particolare Gurdjieff), in Nietzsche come in Reich, in Evola e nello spiritualismo
occidentale. Correnti e teorie anche molto diverse tra loro, ma che
lo conducono ad una radicale critica contro la mediocrità e il consumismo
cieco del  mondo moderno, con la conseguente spinta ad agire con
determinazione verso il recupero dei valori autentici della vita,
attraverso la necessaria determinazione ad avere “il coraggio di essere
uomini”.

p.p.


 

Incontro con il Maestro
Giuseppe Mirabella

di Pippo Palazzolo

Giuseppe Mirabella è nato a Vittoria (RG) il 13
maggio 1968. Proprio in quel mese che segna ufficialmente l’inizio della
stagione della rivolta giovanile contro un mondo ormai troppo
sclerotizzato, in cui regnano conformismo, ipocrisia, repressione
sessuale e aspirazioni piccolo borghesi di un “uomo ad una dimensione”.

Ho incontrato Giuseppe nella sede della sua Accademia, a
Ragusa, per porgli alcune domande.

Da cosa nasce tutta questa voglia di apprendere e
insegnare, tanto da creare un’Accademia che si definisce “Scuola per lo
sviluppo globale dell’individuo”?

Fin da piccolo ho sentito la spinta a confrontarmi con
i miei limiti e a superarli, a cercare un continuo perfezionamento, a
non accontentarmi delle conoscenze e dei risultati conseguiti. A nove
anni ho iniziato la pratica delle arti marziali, che sono state
fondamentali nel comprendere alcuni principi basilari del rapporto con
me stesso, con gli altri e con il mondo. Credo che oggi uno dei problemi
più gravi sia la carenza nell’educazione emotiva dei giovani. Vengono
educati ad “avere”, a cercare il successo, il benessere materiale, ma
non ad “essere”. E da ciò nascono molti dei problemi sociali di
devianza. La pratica di un’arte marziale è molto formativa in questo
senso.

Si crede che la pratica delle arti marziali sia per
lo più riservata a persone “dure”, più portate all’azione che alla
riflessione, e con un certo senso di superiorità. Leggendo il tuo libro
ho avuto l’impressione che non sia proprio così, mi sbaglio?

No, infatti solo partendo dalla consapevolezza della
nostra mediocrità possiamo iniziare un percorso di miglioramento, in cui
si alternano cadute e riprese. Inoltre, anche quando abbiamo raggiunto
buoni risultati, sappiamo che c’è qualcuno che ci supera e che il
percorso non è ancora finito. Riguardo alla “durezza”, voglio ricordare
che il Maestro Funakoshi, fondatore della scuola di Karate che io seguo,
detta “Shotokan” (“La casa dei pini”), era anche un poeta.

Giuseppe, tu sei un “consulente olistico”:
cosa significa esattamente?

Il consulente olistico è un “animatore” che
aiuta le persone a prendere coscienza di sé e della propria salute; una
sorta di educatore verso un modo differente di vivere e sentire il
proprio corpo-mente-spirito. Questi risultati vengono ottenuti con
diversi mezzi, dalla pratica di discipline come lo shiatsu o la
meditazione, alle arti marziali, a percorsi di consapevolezza (ad
esempio, il tantra).

Ma qual’è l’obiettivo finale di questi percorsi?

Riassumerei gli obiettivi in una sola parola: la
tranquillità. Infatti, la tranquillità nasce dalla consapevolezza del
proprio valore, del fatto che si sta dando il meglio di sé nella vita e
nel lavoro. Il motto della mia Accademia è “In questa scuola si percorre
un cammino atto ad ottenere la tranquillità, così da agire e non
reagire”.

Il breve incontro finisce qui, ma crediamo di aver
colto qualcosa in più di questa persona, semplice ma profonda,
determinata ma tranquilla. Grazie, Giuseppe, per il tuo libro e per il
tuo impegno.

Pippo Palazzolo

11 maggio 2006


 

Il M° Giuseppe Mirabella

Note sull’Autore: Giuseppe Mirabella è nato a Vittoria (RG), il
13 maggio 1968; vive e lavora a Ragusa. Ha conseguito il Diploma di
maturità Psico-pedagogica ed è laureando in Scienze e Tecniche
psicologiche (facoltà di Enna), indirizzo “Salute e prevenzione del
disagio”.

E’ Presidente della MirabellAcademy, Maestro di Karate,
insegnante di Yoga kundalini, massoterapista, istruttore di autodifesa,
personal trainer.

Come dice lui stesso: “A questo
punto dovrei, come di consueto, elencare tutti i miei successi agonistici,
per ottenere riconoscimento, e far sorgere in voi un minimo di curiosità e
attenzione nei miei riguardi. Come se tutto ciò potesse bastare a far di
me un buon maestro.
Non nego che in venticinque anni di pratica, qualche bella soddisfazione,
a livello agonistico l’ho ottenuta; ma io voglio presentarvi l’uomo che
esiste in questo momento.
Un uomo che ama imparare e mettersi sempre alla prova. Un uomo che non
vive nel passato, ma che vive il presente con intensità e audacia, che è
attratto da tutto ciò che riesce a elevarlo, sia a livello fisico che
spirituale. Sintetizzando posso dirvi che amo: allenarmi, imparare e
istruire.
Questo sono io. In fede: Giuseppe Mirabella”

Per contattarlo:
mirabellagiuseppe@hotmail.com;
sito web: www.mirabellacademy.com

 



Via Archimede, 295 – 97100 Ragusa

 


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Alimentazione

   

 Quale acqua berrò oggi?

        di Cosimo Alberto Russo

 

 

Che l’acqua sia alla base della vita lo sappiamo tutti, ed anche che è il principale costituente del nostro organismo  (circa il 60% in peso); quindi siamo a conoscenza che è necessario assumere la quantità d’acqua sufficiente a mantenere l’equilibrio idrico del nostro corpo (bilancio idrico: acqua introdotta pari a quella eliminata). Bene, e allora che ne parlo a fare? Perché sempre più mi sembra che si siano cristallizzate “leggende” poco realiste (se no non sarebbero leggende…) e forse nate non del tutto casualmente.

La prima idea oggi imperante è che più acqua si beve meglio è per la nostra salute; per cui si sente dire che si dovrebbero assumere due – tre litri di acqua al giorno. In realtà è vero che per mantenere il bilancio idrico costante occorrono 2-2,5 litri di acqua al giorno, ma complessivi! In una dieta regolare (né di tipo carneo, né vegetariano…) 1 litro d’acqua circa proviene dagli alimenti e 300 ml dalle reazioni metaboliche, quindi è sufficiente bere 1,2 litri di acqua e/o bevande che la contengano al giorno. Ma bere di più fa male? Dipende, come sempre, dalle quantità:3 litri al giorno, beh, non esageriamo.

Seconda idea diffusa: l’acqua del rubinetto fa male! Qui è il caso di approfondire; la legge prevede che le acque potabili (quelle di acquedotto, cioè del rubinetto) non contengano sostanze nocive alla salute umana (dato che ad ogni specie vivente interessano solo i propri simili…), si dovrebbe quindi pensare che se l’acqua esce dal rubinetto dell’acqua “diretta sia “buona”.

Purtroppo le cose non stanno sempre così; bisogna tener conto dei componenti
complessivi dell’acqua, che non è mai pura ma una soluzione diluita di parecchi ioni. Alcuni di questi tanto bene non fanno, ma la legge li tollera; il principale imputato di possibili fastidi per la nostra salute è lo ione nitrato; sarebbe bene che tale ione fosse presente in quantità inferiore a 5 mg/L (milligrammi in un litro).
 L’acqua del vostro paese quanta ne contiene? La ASL sarebbe tenuta a dirvelo, se glielo chiedete.

Ma c’è un altro intruso che dà fastidio: il cloro; è obbligatorio aggiungerlo negli acquedotti per eliminare ogni traccia di possibili microrganismi (l’acqua potabile deve essere batteriologicamente pura). Il cloro viene usato per la potabilizzazione in quantità superiore al necessario (per essere sicuri degli effetti), la quantità che rimane si combina con le sostanze organiche formando i trialometani (per esempio il cloroformio) di odore sgradevole e tossici.

Ma qual è la situazione del nostro acquedotto? Se l’acqua del rubinetto non “puzza” è bene informarsi presso il comune, se ha cattivo odore…non beviamola.

Ricapitolando, se il contenuto in nitrati è basso informiamoci sui metodi di potabilizzazione del nostro comune e sulla presenza di residui organici clorurati.

Molte aziende per la gestione dell’acqua usano ormai metodi più che sicuri.
Solo in caso di risposte negative utilizziamo acqua minerale.

E qui vengono le dolenti note: a parte il costo non indifferente, quale acqua scegliamo? Le acque minerali si dividono in:                                                        -minimamente mineralizzate (residuo fisso inferiore a 50 mg/L)                          -oligominerali (residuo inferiore a 500 mg/L)                                                       -ricche di sali minerali (superiore a 1500 mg/L)                            Evidentemente la scelta dipenderà dalle nostre esigenze; bisognerà vedere se abbiamo necessità di effetti diuretici, se abbiamo qualche disturbo (pressione alta, per esempio) o necessità particolari (aumentato fabbisogno di calcio).

Insomma ciò che conta è il contenuto in sali minerali; questi sono molto importanti per le varie funzioni che esplicano nel nostro organismo, occorre quindi tenerne conto nelle nostre scelte. Una alimentazione variata garantisce l’apporto di tutti i minerali, particolare attenzione va però prestata al calcio, al ferro ed al fosforo; i primi due spesso deficitari ed il terzo perché deve essere in un certo rapporto con il calcio. Purtroppo il calcio spesso risulta insufficiente e tale rapporto si sbilancia con effetti negativi sulla composizione delle sostanze inorganiche delle ossa (costituite per l’85% da fosfato di calcio).

 Altro rapporto importante è quello tra sodio e potassio (nelle diete vegetariane aumentando l’apporto di potassio occorrerebbe aumentare l’assunzione di sodio).

 Insomma la scelta dell’acqua da bere implica vari fattori, che dipendono dal nostro stato fisico. Ne consegue che la moda di bere acque oligominerali o minimamente mineralizzate è, appunto, una moda (terza idea non sempre fondata).

Per esempio, considerando che 7-800 mg di calcio al giorno sono il quantitativo necessario per mantenere il suo equilibrio nel corpo di un adulto, si può pensare che l’acqua non dovrebbe esserne priva o quasi, no? Rimane comunque il fatto che il calcio si assume quasi interamente tramite il latte ed i suoi derivati.

Discorso un po’ diverso per il sodio, data l’usanza di salare i cibi che ne fornisce quantità più che sufficienti.

Rimane un ultimo punto: quando bere? Risposta semplice, dovrebbe essere, quando si ha sete! Ma (quarta idea diffusa) si dice (ma chi?): lontano dai pasti. Se si beve a stomaco vuoto l’acqua viene escreta rapidamente, non così se si beve durante il pasto (aumentando quindi il suo assorbimento). L’acqua passa comunque subito nell’intestino, l’acqua calda sembra favorire l’attività gastrica. Il fatto che l’acqua passi subito nell’intestino la rende un pericoloso veicolo di infezioni; attenzione quindi…

Cosimo Alberto Russo

 

Fonti
bibliografiche:                                                                                                       
– R.Falcolini, Scienza dell’alimentazione, Signorelli editore, 1984                        – P.Cappelli-V.Vannucchi, Chimica degli alimenti, Zanichelli, 1990                      – E.Piccari, Che minerali ci sono nell’acqua minerale?, Unione Consumatori

 

L’Autore

Cosimo
Alberto Russo
Cosimo
Alberto Russo è
nato a Ragusa il 18 settembre 1953; risiede a Roma
dal 1965.
Laureato
in chimica, materia che  insegna presso gli Istituti superiori dal
1978. In particolare ha insegnato analisi bromatologiche presso l’Ist.
Professionale per l’Alimentazione. E’ stato Consulente tecnico
del Tribunale di Roma e Consulente del Laboratorio Si.La.,
nel settore acque minerali.

Attivo
in campo ambientalista dal 1975; in particolare ha collaborato attivamente
con il WWF, la Federconsumatori, i Verdi.
e-mail:
cosimoalberto.russo@istruzione.it

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Filippo Pennavaria e Ragusa


Pubblichiamo la recensione del saggio del
prof. Luciano Nicastro, “Filippo Pennavaria e Ragusa”, da cui emerge
una nuova lettura delle vicende che portarono all’elevazione di
Ragusa a Provincia. I lettori che volessero intervenire sul tema,
possono scrivere alla
Redazione de “Le Ali di Ermes”
.

 

Pennavaria: fu vera gloria?

di Giuseppe Nativo

 

 

 

    
Che la storia della città di Ragusa sia legata alla figura dell’avv.
Filippo Pennavaria (1891 – 1980), figlio degli iblei, è un fatto già
storicizzato. Sottosegretario di Stato nel Governo Mussolini, interviene
affinché Ragusa sia elevata a capoluogo di Provincia e ciò con una
ricaduta economica rilevante che cambia il volto urbanistico della città
a partire dal 1927. Per tale motivo è “sentito dai ragusani e dai
massari come l’espressione più alta della città sino al punto che le
tante opere di modernizzazione” attuate assumono la sua paternità e non
del regime fascista di cui è “espressione organica e convinta”. Ma fu
vera gloria? A parlarne, con riflessioni rivenienti dalla lettura di
documenti archivistici, è il professore Luciano Nicastro, docente di
Sociologia delle Migrazioni e di Sociologia dell’educazione alla LUMSA
di Caltanissetta, nel suo recente volume su “Filippo Pennavaria e Ragusa
– prima e durante il fascismo” (La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica
2008, pp. 64). Con alle spalle una ventina di pubblicazioni tra libri,
saggi e ricerche in filosofia e sociologia politica, Nicastro vuole
“aprire le finestre sulle lezioni della storia” introducendo il lettore
in quei “quaderni della memoria” dove sono inseriti gli uomini illustri.
Obiettivo principe è quello di innescare, nell’intreccio
ricerca/documentazione/didattica, domande sui complessi meccanismi di
lettura del presente attraverso escursioni nel passato sorrette da
documentazione accessibile e, soprattutto, da un’ottima esposizione
delle vicende storiche epurate da “pregiudizi, stereotipi e vecchi
campanilismi su cui si attarda ancora una certa cultura locale”.

Il
Sen. Filippo Pennavaria a Ragusa

  
  E’ dal contesto storico e
sociale che inizia il “viaggio” di Nicastro il quale, traendo spunto
dal “problema più generale del rapporto tra Chiesa e fascismo in
tutte le sue espressioni e connotazioni”, esamina la figura del
concittadino Filippo Pennavaria in relazione al “controverso” ruolo
dallo stesso svolto sul piano politico e religioso inserito nel più
ampio progetto che vede la “tumultuosa rinascita di Ragusa… a danno
di centri di più antica tradizione culturale, religiosa e politica
come Modica”. Lo fa introducendo il quadro storico d’insieme prima
dell’avvento del fascismo che vede la Sicilia immessa in un profondo
cambiamento sul piano organizzativo sia pastorale che sociale.
L’elevazione di Ragusa a capoluogo di provincia e sede di
sottoprefettura, ad opera di Pennavaria, ripropone l’antica
aspirazione dei sacerdoti e cattolici ragusani di diventare Diocesi
autonoma da Siracusa (la questione è ripresa dal giornale
“Sentinella fascista” in un articolo pubblicato il 21/02/1926), a
cui è ab antiquo incardinata. Nicastro va oltre i fatti di cronaca
indagando a fondo su carteggi che, sebbene testimonino “una
continuità di impegno” di Pennavaria nella sua “azione politica e
diplomatica”, prestano il fianco a numerosi interrogativi circa la
mancata elevazione di Ragusa a sede di Diocesi insinuando il dubbio
se ciò sia dovuto ad “una difficoltà oggettiva o una scelta
politica” o a “difficoltà” frapposte da Siracusa.


     Dal 1926 il
rapporto Chiesa-Fascismo inizia a deteriorarsi diventando conflittuale
“sino ad esplodere anche a Ragusa in una vera e propria incompatibilità”.
E’ proprio in tale contesto che si inserisce la figura di Pennavaria su
cui l’Autore cerca di “cogliere il nucleo della verità”. Una verità forse
scomoda, quella enucleata da Nicastro, che vede Pennavaria come uomo
politico “intelligente ed abile” a cui però “non si può attribuire il
merito della creazione di una provincia” in quanto già fortemente voluta
dal regime fascista “in funzione antisocialista e per controllare meglio
le frange sediziose del popolo del sud est della Sicilia”. Tale
riflessione stride fortemente con quella corrente che vede il Pennavaria
come “grande benefattore” della sua Ragusa.



Giuseppe Nativo


Ragusa, marzo 2008


Nota: il presente articolo è stato
pubblicato dal quotidiano “La Sicilia”, in data 30.3.2008.

 

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poesia

Ragusa, 27-28 marzo 2006: promosso dal Centro Studi “F. Rossitto”, un convegno di studi sul
poeta ibleo

 


Giovanni Occhipinti,

il poeta con la
“mente che respira”



                  
di Giuseppe Nativo

Che cos’è la poesia? “La poesia è quel
luogo in cui se un poeta respira respiriamo tutti: riconosciamo il soffio
vitale, ciò che ci tiene in vita”. Come afferma G. Manacorda “l’aria
sembra avere le stesse caratteristiche della poesia. L’aria è certamente
inconsistente, ma anche estremamente consistente, e non solo perché l’aria
sostiene chi vola, ma perché l’aria sostiene chi vive…” e ancora “la
poesia è la creatività della lingua, cioè la forma del pensiero, è
l’evento e l’avvento di tutte le forme del pensiero”.

La poesia è anche l’uomo che si mette a
nudo e da cui emerge il suo ancestrale impianto interiore. Il ritmo del
respiro e quello cardiaco, come l’andamento poetico che individua il ritmo
del verso, convergono in una dimensione in cui è continuamente rievocata
quella arcana tensione interna tra vita e morte, tra essere e non essere.
Il nostro respiro di vita, che dice anche autocoscienza, consapevolezza e
libertà, diventa canto e preghiera di tutta la vita che pulsa
nell’universo.

Così è nella poesia di Giovanni Occhipinti,
figlio degli iblei – narratore, saggista e, soprattutto, Poeta – a cui
Ragusa, a fine marzo, dedica due giornate di studio. In Occhipinti il
flusso del Tempo “fluente come acqua di fiume” accompagna il lettore in un
”viaggio reversibile… nella simmetria di un altro Tempo, nello spazio
futuro che trascende”, dove il soffio vitale, quel ruah, quell’anemos,
di biblica memoria, è sublimato nella stessa essenza poetica, in quanto
istanza di forza creatrice. Quanta affinità esiste tra le parole “soffio –
spirazione” e “ispirazione”!

Ogni autentica ispirazione racchiude in sé
qualche fremito di quel “soffio” con cui lo Spirito creatore pervade sin
dall’inizio l’opera della creazione. Il divino soffio dello Spirito
creatore s’incontra con il genio dell’uomo e ne stimola la capacità
creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore. E’ in
questo preciso istante che il poeta Occhipinti incontra l’ineffabile. Qui
il fatto si fa mistero, e il mistero poesia, e la poesia amore. In
Giovanni Occhipinti la “collisione poetico-narrativa” delle due dimensioni
temporali, tempo “umano” brevilineo e spezzato e Tempo “divino” esteso e
illimitato, fa scaturire quella scintilla dalla cui conflagrazione erompe
la sua poesia: “Materia che evolvi e decadi nella / mutazione dell’iniziofine
se / precipiti nei gorghi del Cosmo, / nell’enigma galattico”.

 


                                                                                              Giuseppe Nativo

marzo 2006

 

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L’abuso di sé

immagine tratta da: http://usuarios.iponet.es/casinada/

L’ABUSO DI SE STESSI NELLA RICERCA DELL’APPROVAZIONE

di
Pina Pittari

Cosa è l’’abuso?

Citando letteralmente il Vocabolario della lingua italiana Treccani, l’’abuso viene definito come: ““…Cattivo uso, uso eccessivo, smodato, illegittimo di una cosa, di un’’autorità. In particolare nel diritto si definiscono abuso varie ipotesi di reato o di illeciti che hanno come elemento comune l’’uso illegittimo di una cosa o l’’esercizio illegittimo di un potere”.”

Nella definizione sopra indicata, l’’abuso di se stessi si racchiude nell’espressione: “…l’’esercizio illegittimo di un potere”, quello che esercitiamo su di noi stessi “illegittimamente”. Visto solo così sembra un pò difficile capire nella sua completa estensione cosa è l’’abuso di se stessi. Per espandere il concetto ci possiamo domandare quale è l’’opposto di abuso, e sarete d’’accordo che questo si potrebbe definire come rispetto, perciò possiamo dedurre che se non c’’è rispetto ci può essere l’’abuso: qualcuno, noi stessi, va oltre le “frontiere”.

E queste “frontiere” alle quale mi riferisco, chi le stabilisce, come sapere dove iniziano, come si fissano? Esse sono i limiti imposti da noi stessi per preservare la legittimità delle nostre azioni nei nostri confronti. Sicuramente la misura dei limiti sarà diversa per ciascuno di noi e molte volte nemmeno siamo molto consapevoli della sua esistenza o della necessità di “stabilirla”.

Gli atteggiamenti o le azioni di abuso di se stessi possono coesistere in noi da tanti anni, che ci sembrano naturali, parte di noi, tanto come possono essere le nostre braccia o mani, nemmeno ci soffermiamo a riflettere che essi siano abusi.

immagine tratta da: www.ff.ul.pt/~atlopes/ DROG.htm

Esempi tipici di abusi di se stessi e conseguenze:

Dire SI quando vogliamo dire NO. Qui entriamo nella famosa storia di accontentare qualcuno: comunque, cosa mi costa?” Costa il prezzo di quello che sacrifichiamo di noi stessi, e poi paghiamo questa fattura in diverse forme: ammalandoci, rinchiudendoci, oppure infliggendoci qualche altro tipo di maltrattamento, come quelli descritti nel punto che segue. In questo caso ci sentiamo vittima di qualcuno che indichiamo come il nostro carnefice.

Maltrattamento fisico con l’’eccesso di: cibo, alcol, droghe, dipendenze farmacologiche (ansiolitici, antidepressivi, ecc.), giochi d’azzardo, sigarette, lavoro, ecc. Questo ci porta sensi di colpa, depressione, stabilire rapporti di dipendenza, bassa autostima e alimenta il circolo vizioso di ricorrere ancora una volta al tipo di “abuso scelto”, diminuendo sempre di più davanti ai nostri occhi il nostro valore, la stima di noi stessi.

Molte volte entriamo in questo tipo di abuso quando non siamo le persone che i nostri genitori ci hanno fatto pensare che “volevano come figli”. Ci sentiamo colpevoli di non essere quello che loro “aspettavano” e nella consapevolezza di non riuscire a trasformarci, ci sentiamo in un labirinto senza uscita, non degni. Può anche succedere che ci sforziamo di “essere quello che loro vogliono” e nel negare noi stessi prendiamo impegni per compiacere loro, perdiamo forze facendo quello che non ci piace o non siamo portati a fare, avendo come conseguenza l’’inevitabile fallimento o la nostra insoddisfazione, per entrare nel circolo vizioso della colpa – maltrattattamento – depressione.

Cosa cerchiamo con questi atteggiamenti?

Certo che non è una scelta consapevole quella di abusare di se stessi, sono azioni/atteggiamenti che si scelgono” nella speranza di avere qualcosa in cambio, che viene sempre interpretata come una forma d’’amore, come: l’’approvazione, il riconoscimento. Invece di essere,  facciamo, per avere l’’approvazione, l’’attenzione, un poco “d’’amore”. 

Come impariamo ad abusare di noi stessi?

Per capire meglio questo meccanismo rivediamo tutto dal momento della nascita: siamo toccati, manipolati, senza che nessuno ci chieda se siamo disposti o meno a tutto quello che accade dal momento stesso della nostra uscita dal ventre materno. Ancora oggi non tutti quelli che sono coinvolti in un parto hanno coscienza che il neonato è un persona completa che percepisce, sente, che registra assolutamente tutto quello che sta accadendo, e questo può portarli a non essere abbastanza amorevoli nel gestire le loro azioni; molte volte c’’è anche fretta…la manipolazione del neonato viene fatta senza tutta la cura che ci vorrebbe. Il cordone si taglia prima che sia il suo momento (quando smette di battere), la temperatura ambiente non è la più adeguata, la bilancia dove si pesa il bambino troppo fredda, e così via. Tanti elementi sconosciuti che invadono il corpo, lo spazio di questo essere: il neonato. Immaginiamo che, oltre a tutto questo, può anche darsi il caso di non essere del sesso che i genitori preferivano, o l’’arrivo nel momento inopportuno, nelle circostanze difficili, basta questo per sentire che c’’è qualcosa in noi che non va, e ci sentiamo rifiutati, crediamo che per essere amati dovevamo essere quello che abbiamo capito che volevano.

Durante l’infanzia dipendiamo dalle attenzioni dei nostri genitori o delle persone che si prendono cura di noi. Siamo allattati, puliti e vestiti al modo come viene determinato da loro. Quante volte si sostituisce il desiderio d’’amore/calore/braccia per un biberon? Sicuramente tante! Ecco qui solo uno degli esempi di sostituzione di quello che veramente volevamo con un altra cosa che almeno ci fa capire che riceviamo una certa attenzione, ma era veramente fame? Forse no… Così il tempo passa e continua la sostituzione dell’’amore con dolci, cioccolata, giocattoli…se ti mangi la minestra ti compro il giocattolo che vuoi, se la smetti di saltare ti voglio bene, devi fare il buono. Il tempo continua a passare e poi noi stessi ci prendiamo cura di riempirci di cibo o cose, cercando l’’amore. Mangiamo, fumiamo o abusiamo dell’’alcol senza limiti, ecco allora che non sappiamo capire i limiti (frontiere) del nostro corpo, questi difficilmente abbiamo imparato ad ascoltarli e nemmeno le nostre emozioni: trattiamo l’’ansia come se fosse fame, abbiamo bisogno di una sigaretta se siamo tesi, invece di cercare la soluzione a quello che ci mantiene tesi e così via.

Certo che questi comportamenti ci portano a farci del male, ingrassare, alcolizzarci, assumere droghe…la nostra autostima è danneggiata, la nostra difficoltà a stabilire le frontiere con noi stessi, ci sopraffa.

Durante la nostra infanzia ci sentiamo coinvolti con i rapporti dei nostri genitori e non sappiamo separare bene se siamo responsabili o meno di quello che accade; infatti, è un periodo nel quale crediamo che il mondo intero gira intorno a noi, siamo al centro della vita di tutti quelli che ci circondano, se vediamo soffrire uno dei nostri genitori, prendiamo posizione contro quello “responsabile” della sofferenza e cerchiamo di sostenere il sofferente, momenti ben precisi dove i ruoli si confondono ed essendo un(a) bambino(a), esce l’’adulto che è in noi per “sostenere” il bisognoso; comunque, essere buono è la consegna…ma chi sa, forse sono io il (la) colpevole della sofferenza di mia madre? Ho colpa! Sono cattivo! Debbo fare il buono! Una esperienza come questa ci può portare a stabilire rapporti dove pensiamo di essere i “forti” e l’’altro è una persona che ha “bisogno” di noi e che ci amerà perché “faremo i buoni”, sostenendoli nella loro debolezza, dimenticando in questo modo noi stessi, quello che vogliamo nella nostra vita, quello che ci fa felici… Saremo disposti a fare “sacrifici” e dopo presenteremo la fattura: tu mi devi il fatto che io abbia abbandonato quello che tanto volevo fare, non valuti quello che faccio per te, non mi approvi…e così via. Siamo andati oltre i nostri limiti, abbiamo infranto la frontiera del rispetto e abusato di noi stessi nel sottomettere la nostra espressione al bisogno d’’altri, cercando il loro “amore”, la loro approvazione.

Questo comportamento ci può portare a situazioni di difficoltà nello stabilire le nostre frontiere, anche nei rapporti meno intimi, come per esempio quelli di lavoro, ci può portare ad accettare condizioni di lavoro impegnative, con entrate non soddisfacenti, sperando in questi casi di essere almeno riconosciuti nelle nostre capacità e lusingati, senz’’altro l’’abuso è un aspetto che ci fa avere una autostima bassa e crea difficoltà a stabilire rapporti chiari, siano essi intimi o meno.

 Come mettere frontiere all’abuso?

Il problema, dopo tanti anni d’abuso, è come capire quali sono le nostre frontiere e, una volta capite, fissarle. Per capire questo, molte volte è necessario approfondire la conoscenza di noi stessi, attraverso qualche tecnica terapeutica, come il rebirthing, la psicoanalisi, la meditazione, ecc. Dopo di che bisogna accettarsi, essere se stessi, affermare il diritto di essere se stessi, la persona che si è, smettere di voler essere quello che altri aspettavano che fossi, fare per il piacere di essere e non per compiacere qualcuno, approvarsi e riconoscersi.

Questo certe volte ci può portare a dire NO alle persone care, ma è l’’esercizio della libertà di essere se stessi e tutti abbiamo questo diritto. Mettere le frontiere, rispettarle e farle rispettare ci può prendere tempo, specialmente in quei casi dove la dipendenza è presente (droghe, cibo…), ma è possibile, bisogna lavorarci con gli strumenti e l’’appoggio adeguato, che esistono e sono accessibili. 

Pina Pittari

marzo 2005 

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Altri articoli di Pina Pittari su questo sito:

“Il tuo più grande amico o nemico? Te stesso!” ,
“Rebirthing, un modo per divenire consapevoli e ri-creare la vita”,
“Quale aspetto della tua vita ha per te più importanza?”,
“Avrei il mondo ai miei piedi, se solo fossi…” e “La respirazione, ovvia ma potente”.

dott.ssa Pina Pittari

La dott.ssa Pina Pittari, italo-venezuelana, è una Rebirther, formatasi con Maria Luisa Becerra, Carlos Fraga, Bob Mandel e Patrice Ellequain. E’ anche specializzata nell’utilizzo dei Fiori di Bach e in altre tecniche di sviluppo personale. Dal 2002 vive in Italia, a Ragusa. 

 

 

Per consultazioni, anche on-line, con la dott.ssa Pittari scrivere a: pinapittari@hotmail.com

Il Rebirthing

articolo introduttivo al rebirthing; efficacia del respiro consapevole, del perdono e delle affermazioni positive

REBIRTHING: UN MODO PER DIVENIRE CONSAPEVOLI E RI-CREARE LA VITA

di Pina Pittari

Oggi giorno possiamo contare su informazioni affidabili sul modo in cui i pensieri che abbiamo su noi stessi, la vita, i rapporti, ecc., possono limitarci o aprire per noi le porte del successo; specialmente, quando questi pensieri si trasformano in credenze inconsce, possiamo arrivare ad essere prigionieri del fallimento o virtuosi del successo.

La nascita è il nostro primo successo, è la nostra prima uscita. Durante il periodo precedente alla nascita, dal momento del concepimento, durante la gestazione e nella stessa nascita, sperimentiamo tante emozioni e pensieri i quali, fino a quando non diventeranno coscienti, determineranno la nostra vita in un modo involontario. La nostra tendenza è a ripetere inconsciamente il modello della nascita in tutti i momenti cruciale della nostra vita: studiare, lavorare, sposarsi o divorziare, ecc., ripetendo il ciclo: concepimento, gestazione e uscita, associata alla nascita.

Scoprire queste emozioni e pensieri inconsci, ci permette di vedere la vita in
un modo diverso; cambia il concetto che abbiamo di noi stessi, aumentando la nostra autostima; cambia il nostro sistema di credenze sulle circostanze che circondano la nostra vita, incita la volontà ad affrontare i cambiamenti e attuarli in un modo più cosciente, rendendoci così una migliore qualità di vita. Il Rebirthing è un processo che ci permette di ottenere tutto questo.

Il Rebirthing è stato creato e sviluppato da Leonard Orr, 25 anni fa. È un processo che utilizza la Respirazione Cosciente, il Pensiero Creativo e il
Perdono.

La respirazione rende cosciente, libera e trasforma le emozioni e i pensieri che ci limitano, che sono stati scolpiti durante il periodo di gestazione, nascita e infanzia, dando luogo a un nuovo modo di pensare, alla volontà ed energia necessaria per avviare e attuare i cambiamenti che ci porteranno a vivere una vita più ricca, gradevole e soddisfacente. La respirazione ci collega con il nostro desiderio e impulso di vivere. Possiamo passare giorni senza ingerire alimenti, ma solo secondi senza respirare.

Il Pensiero Creativo, si riferisce alla capacità che abbiamo di creare la realtà con il nostro pensiero, così come pensiamo che siano le cose, agiamo e si manifesta il risultato. La Programmazione Neuro Linguistica ha apportato, in questo campo, informazioni molto importanti: sappiamo che cambiando nella nostra mente una immagine negativa con una positiva, il cervello inserisce la nuova immagine come reale e genera tutto ciò che c´è bisogno per agire in un modo che ci porterà ad acquisire l´immagine positiva proiettata. Nel Rebirthing utilizziamo questa capacità creativa per cambiare il sistema di credenze, specialmente attraverso la scrittura di frasi positive.

Il Perdono è l´altro elemento importante, è la chiave che ci libera. Una volta che abbiamo perdonato, possiamo vedere le situazioni e le persone coinvolte senza giudicare, possiamo capire e assumere la nostra responsabilità in quello che è accaduto e possiamo riconoscere noi stessi come persone attive e non vittime, che in un momento determinato abbiamo fatto scelte che hanno contribuito a condurre le cose nel modo in cui sono avvenute. In questo processo del perdono, scopriamo che la prima persona alla quale dobbiamo perdonare è a noi stessi. Come ho accennato, il perdono ci collega con il nostro potere personale, significando questo la capacità che abbiamo di agire davanti alle diverse situazioni della nostra vita, permettendo di fare svanire il sentirsi vittima.

La nostra nascita influisce grandemente sul modo di avviare i nostri rapporti, tanto con le persone come con il mondo in generale. Stabiliamo i rapporti nel modo in cui è stato il nostro copione di nascita. I parti, incluso quelli chiamati “normali”, apportano un loro proprio copione di nascita. I nati con parto “normale”, usualmente sono persone che sentono loro vita un poco noiosa, come se non succedesse nulla di interessante, la vedono come abituale, non si sentono importanti e in questo modo stabiliscono il loro rapporto con il mondo. Un altro esempio che ha un grande contrasto con quello appena accennato, è la nascita con il forcipe, nel quale tanto la mamma come il bimbo sperimentano molto dolore. Le persone che sono nate con il forcipe, in genere, stabiliscono rapporti fondati sulla colpa, per loro è molto difficile concludere un ciclo, tanto nei rapporti come con tutto quello che iniziano; agiscono di tal modo la loro vita, che provano situazioni di grande dolore. Il domandare aiuto viene loro difficile, giacché l´aiuto inconsciamente gli fa ricordare il forcipe della nascita. Prendere coscienza dei propri copioni della nascita ci permette di fare le scelte di vita in un modo diverso, e questa diventerà pure diversa. Lasciando indietro i traumi della nascita, possiamo avere un migliore rapporto con il mondo che ci circonda.

Il Rebirthing è un processo che ci porta a scoprire chi siamo veramente, ad agire nella vita con potere e non come vittime, a stabilire un migliore rapporto con noi stessi e, perciò, a migliorare il nostro rapporto con gli altri; ci permette di scoprire che siamo degli esseri completi e con potenzialità illimitate.

Pina Pittari

Versione in spagnolo

Altri articoli di Pina Pittari su questo sito: “La respirazione, ovvia ma potente”, “Il tuo più grande amico o nemico? Te stesso!”, “Quale aspetto della tua vita ha per te più importanza?”, “Avrei il mondo ai miei piedi se solo fossi…” (sull’autostima), “L’abuso di sé nella ricerca dell’approvazione”.

 

La dott.ssa Pina Pittari, italo-venezuelana, è una Rebirther, formatasi con Maria Luisa Becerra, Carlos Fraga, Bob Mandel e Patrice Ellequain. E’ anche specializzata nell’utilizzo dei Fiori di Bach e in altre tecniche di sviluppo personale. Dal 2002 vive in Italia, a Ragusa.

Per consultazioni, anche on-line, con la dott.ssa Pittari scrivere a
pinapittari@hotmail.com

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Un piccolo con-tributo a Giordano Bruno, di Anna Livia Villa

Giordano Bruno (Nola, 1548-Roma 1600)  Helmstedt, Juleum – Bibliotheksaal, XVII secolo

“Forse con più timore voi pronunciate la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell’accoglierla”, queste furono le parole minacciose rivolte al Santo Uffizio dal frate Giordano Bruno alla fine della lettura della sentenza che lo avrebbe condannato a morte sul rogo, pronunciata l’8 febbraio del 1600, di fronte al Tribunale dell’Inquisizione presieduto dal cardinale Roberto Bellarmino in presenza del pontefice Clemente VIII.

L’esecuzione ebbe luogo pochi giorni dopo, il 17 febbraio, in piazza Campo dè Fiori a Roma, tristemente famosa per molte sentenze capitali che causavano notevole disturbo all’abitazione, di poco lontana, dell’ambasciatore francese, il quale si lamentava spesso dell’orrore e del puzzo di tali spettacoli.

La condanna del pensatore Giordano Bruno arrivò dopo sette anni di carcere, alla fine di estenuanti interrogatori accompagnati da tortura, che non fiaccarono e non portarono Bruno a tradire ed ad abiurare la sua filosofia.

In tempi recenti, la Chiesa di Roma ha riabilitato molti degli scienziati e pensatori del passato vittime del Santo Uffizio ( Inquisizione).

Le scuse e la richiesta di perdono di papa Giovanni Paolo II nei confronti di Galileo Galilei sono state molto attese e toccanti, ma il pensiero di Giordano Bruno nelle parole del segretario di Stato cardinal Sodano (Napoli 2000) è rimasto ancora “una scelta intellettuale…incompatibile con la dottrina cristiana”, anche se “le procedure” seguite dall’Inquisizione per accertare l’eresia “non possono non costituire oggi per la Chiesa motivo di rammarico”. Bruno, quindi, è fuori dal corpo della Chiesa ed è interessante notare come l’inquisitore gesuita, card. Roberto Bellarmino, che condusse il processo contro il presunto eretico, invece, venne canonizzato nel 1930 dal papa Pio XI e poi elevato a dottore della Chiesa (1931), da venerarsi come patrono dei catechisti associato al suo motto che recita “ La mia spada ha sottomesso i superbi”.

“Io ho nome Giordano della famiglia dei Bruni, della città di Nola…”, ma cosa e chi questo monaco nato nel 1548 minacciava con le sue parole e i suoi insegnamenti?

Mago, ciarlatano, dotto filosofo, conoscitore dell’anima della natura, esperto in mnemotecnica, queste sono alcune delle contraddittorie definizioni che i contemporanei danno di Bruno. Accolto, scacciato o esaltato nelle varie università d’Europa e dalle corti di Francia, Inghilterra e Germania.

Sicuramente la coscienza e la convinzione di ciò in cui crede lo rendono arrogante, inviso ai letterati e filosofi; ad Oxford, disputa con pedanti dottori in teologia e questi lo prendono per matto, “egli intraprese” ricorda George Abbott “il tentativo…di far star in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre per la verità era piuttosto la sua testa a girare e il suo cervello che non stava fermo”.

Rappresentazione tolemaica dell’Universo
La rivoluzione copernicana

L’astronomo Copernico viene salutato da Bruno come il liberatore dell’umanità (La cena delle ceneri) e conseguentemente ne accetta la teoria del moto della terra. Copernico, però, pur rovesciando lo schema  dell’universo, ne manteneva i suoi limiti e il suo essere finito; su questa teoria delle stelle fisse il   pensatore Bruno va oltre l’aspetto matematico; infatti un conto è pensare alla infinità dell’universo come ipotesi matematica, o come nozione che antiche cosmologie avevano elaborato, e altro punto di vista, profondamente diverso, è pensarlo come l’elemento corporeo in cui viviamo e che vive in noi.

L’opera di Bruno è quella di disporre di un modello teorico dove nell’eliocentrismo copernicano si abolissero le stelle fisse e si trasformasse questa pura possibilità teorica in necessità metafisica.

Il moto della terra si giustifica, secondo la filosofia naturale, con la vita universale e la morte apparente delle cose. Tutto è vivo e si muove, quindi anche la terra.

Se Dio, infinito, avesse creato un universo finito, ciò costituirebbe un suo limite, perciò non solo l’universo è infinito, ma è infinito anche il numero dei mondi che lo popolano.

Il mondo di Bruno è magicamente animato e conserva un rapporto strettissimo con la divinità; Dio è nelle cose, non è essenza che agisce dall’alto. Dio non è scomparso, ma si è trasferito nel mondo: per questo fisica e metafisica per Bruno sono una sola cosa e l’universo acquista tutti gli attributi fino ad allora riservati ai paradisi, la materia è feconda perché ha in sé il seme di tutte le cose (il Logos vivificatore e creatore), è l’”anima mundi” che sta nelle cose.

Il mago di Bruno, la cui somma dignità consiste nella capacità di cogliere l’infinito, è tanto divino da non avere bisogno dell’ascesa, la sua mente magicamente preparata rifletterà in sé stessa il mondo e ne acquisterà “naturalmente” i poteri.

Il panteismo e il culto dell’Uno-Tutto, che escludendo l’idea di un Dio creatore avvicina semmai Bruno alla filosofia buddista, lo allontana pericolosamente dall’ortodossia cattolica e bolla la sua filosofia come eretica.

L’Uno-Tutto emana l’infinità dell’universo. L’unità fonda l’infinità vivente e costituisce la trama della natura.

L’emanazione dell’universo dall’Uno non avviene per livelli gerarchicamente distinti gli uni dagli altri, perché ciò significherebbe reintrodurre il principio della differenza qualitativa: vi è l’infinità dell’universo e la presenza nell’universo di mondi innumerevoli.

Mondi senza numero nella infinità dello spazio. Tuttavia l’idea dell’Uno infinito non è solo correlata alla dimensione spaziale e alla infinità numerica, ma anche al fatto che in ogni vivente, nella sua “finitudine”, è presente l’infinito. L’infinito non è quindi solo il luogo della vita, ma il modo della vita.

In tutti i corpi celesti, sostiene Bruno, vi sono le componenti di terra, acqua, aria e fuoco, ciò significa che nell’universo vi è anche uniformità di moti e che non esiste più un sotto e un sopra e non vi è più un luogo migliore rispetto ad un altro. Occorre vivere nella eguaglianza metafisica.

E’ proprio questo il punto nodale radicalmente nuovo rispetto al limite della rivoluzione copernicana: non c’è più un rapporto gerarchico.

Il sovvertimento dell’idea dell’universo è talmente drammatica anche perché non si parla di un artificio intellettuale ma di una corporeità vivente , un “animale” nel quale noi umani siamo e del quale siamo costituiti.

La morte, in questo senso, è un evento che accade in una proporzione finita, in un angolo antropomorfico e in una misura temporale. In realtà, se pensiamo in una dimensione più ampia, non c’è morte, ma solo un mutare di forme nel corpo della natura.

A questo punto, Bruno si interroga su cosa siano i sensi che ci danno la percezione della realtà che ci circonda, essi non sono illusioni, i sensi non “sbagliano”, ci danno “informazioni” che sono proporzionate al nostro livello. Questa illusione sensibile è l’organo fondamentale della nostra vita quotidiana.

Ma la verità è altro, la verità è eterna e indistruttibile, essa è la stessa cosa che l’essere medesimo.

Si apre, dunque, il problema della conoscenza della verità; come accedere alla verità superando i sensi illusori, le apparenze del mondo sensibile, i veli di Maya come direbbero i buddisti?

Attraverso l’esercizio dell’ ”amore intellegibile” ben distinto dall’ ”amore sensibile”, quest’ultimo effimero e transitorio e definibile come vincolo, relazione che si stabilisce con gli oggetti finiti come appaiono a chi vi ha gettato sopra lo sguardo, e questa esperienza è comune a tutti.

L”amore “intellegibile” non mira ad impossessarsi di oggetti finiti , ma s’impone il compito di specchiare nella mente l’unità infinita del cosmo. I due amori si contrappongono in quanto hanno oggetti diversi ( come senso e intelletto).

Solo quando l’uomo giunge alla condizione “intelligibile” comincia la sua avventura conoscitiva.

La novità espressa dal pensiero di Bruno è in questa immagine di un’unità organica dell’Uno infinito, concepito come un animale infinito che, immobile nell’istante dell’eternità, nell’istante del tempo è movimento, generazione e morte, unità temporale di materia e forma.

Rispetto a questa unità infinita, eterna, ogni altra cosa, ci dice Bruno, è “vanità”.

Anna Livia Villa

aprile 2006

 

Bibliografia essenziale:

G. AQUILECCHIA, Le opere italiane di Giordano Bruno. Critica testuale, ed. oltre 1991.

F. BATTAGLINI, Giordano Bruno e il Vaticano, ed. Handromeda 1996

M. CILIBERTO, Giordano Bruno, ed. Laterza 1992

A. INGEGNO, La sommersa nave della religione 1985

G. MUSCA, Il nolano e la regina. Giordano Bruno nell’Inghilterra di Elisabetta. ed. Dedalo 1996

N. ORDINE, Raccontare l’uomo, raccontare la natura: l’eterna ricerca nei “Dialoghi” di Bruno. 1997

P. SABBATINO, Giordano Bruno e la “mutazione” del Rinascimento. 1993

F. A. YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica. ed. Laterza, 1995

 

Ritratto di Rodolfo II d’Asburgo come Vertumno – Arcimboldo, 1591

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le vie dell’energia

Abbiamo il piacere di ospitare su “Le Ali di
Ermes” un intervento di Ruggero Moretto, studioso e divulgatore
di tre importanti discipline: la radionica, la radiestesia e il reiki. I
lettori interessati ad approfondire i temi trattati, possono visitare il
suo ottimo sito
www.biolifestyle.org/it
(disponibile
anche in lingua spagnola, inglese, francese e tedesca).



immagine tratta da

www.biolifestyle.org

Radionica, Radiestesia e Reiki

di Ruggero Moretto

 



La radionica


     E’ la scienza che studia le proprietà radioattive ed
energetiche delle onde di forma, che vengono realizzate ed utilizzate
mediante circuiti grafici su tavole disegnate.


     Partendo dal concetto, ormai consolidato nei millenni, che
i numeri non sono altro che una delle tante espressioni astratte, profonde
e filosofiche che l’uomo adotta ed ha adottato per cercare di comprendere
la sua vera natura originale e tutto ciò che lo circonda, e che di
conseguenza la geometria non è altro che la rappresentazione fisica di
dette espressioni matematiche o numeriche, possiamo dire che tramite la
radionica, che studia le onde di forma realizzate su circuiti grafici
mediante le suddette espressioni o formule elaborate dall’esperienza di
tutte queste scienze, è possibile attingere a forme di azione-pensiero e
di espressione tramite le radiazioni da loro sprigionate legate ad un dato
problema di cui noi necessitiamo una risposta in modo più diretto,
profondo e astratto, quindi di conseguenza a noi sconosciuto a livello
razionale.


     Queste forme di pensiero create e materializzate tramite
gli ideogrammi realizzati su circuiti grafici radionici ad onde di forma,
possono essere utilizzate ed incanalate mediante diversi metodi per i più
disparati utilizzi.


     Per ora mi limiterò a spiegare soltanto uno degli utilizzi
che questa scienza può offrirci a livello terapeutico e per riacquistare
il nostro benessere.


     Ultimamente si è riscoperto che nell’azione-pensiero
materializzato nei circuiti radionici, è possibile realizzare un serbatoio
energetico inesauribile di informazioni legate alla forma-pensiero stessa
dove possiamo attingerne le sue radiazioni anche come azione compensatoria
relativa ad ogni problematica in questione, apportandovi così equilibrio.


     Parlando sempre di forma-azione-pensiero, principio base
della radionica, giunge subito spontaneo che la sua azione risulterebbe
più mirata per quanto riguarda le problematiche di compensazione e
astratte che appartengono alla sfera mentale dell’individuo e che qui
potrebbero trovare le risposte più profonde e adeguate ad essa.


     Da qui è nata la MEDICINA DEL CARATTERE che ha realizzato
una nuova forma terapeutica chiamata “IDEODINAMICA” che illustrerò di
seguito.


IL CONCETTO DI ENERGIA
NELLA FORMA AZIONE-PENSIERO


     La scienza ufficiale contemporanea ci insegna oggi che ogni
cosa esistente e forma concepita (e in questo caso anche la
forma-azione-pensiero), è plasmata da un’energia o radiazioni in costante
movimento regolamentata da Leggi Cosmiche ben precise che sono ancora a
noi oggi sconosciute a livello razionale; migliaia e migliaia di atomi,
cellule e microparticelle invisibili che interagiscono tra loro, creano
ogni forma esistente nel globo e nello spazio con caratteristiche proprie
a seconda della risultante delle informazioni ricevute da ognuna e che a
loro volta interagiscono con i loro opposti o simili e così via…creando
continuamente poi quello che definiremo Universo.


     Quindi possiamo sviluppare il concetto che, se come detto
anche le forme azione-pensiero create e concretizzate fisicamente nei
circuiti radionici fanno parte della stessa energia definita Universale,
possono a loro volta cedere le loro particolari informazioni sotto forma
di radiazioni secondo le loro caratteristiche energetiche, di applicazione
in maniera autonoma e continuativa.

 

La
radiestesia  



Abate Alexis
Bouly

     “Radiestesia”

(
vedi
al capitolo “l’uso del pendolo” nel corso base di radionica e radiestesia)

è un termine coniato nel 1920 dall’abate francese Bouly e deriva dal
latino “Radíus ” (raggio) e dal greco ‘Aisthesis ” (sensazione). Il
radiestesista è quel soggetto capace di percepire, per mezzo di un
pendolo, biotensor o di una bacchetta rabdomantica, le vibrazioni di
stimoli e le radiazioni emesse a da cose, persone, animali, terreni, ecc…
    
Anticamente si chiamava la Rabdomanzia che veniva usata solo per la
ricerca delle fonti d’acqua o di metalli come l’oro. In seguito l’uomo si
accorse che radiazioni sono emesse, non solo da acqua e metalli, ma da
ogni forma di vita.


     Più tardi ci si rese conto che questa “risonanza” tra una
materia inorganica e la mente dell’uomo aveva una validità estensibile ad
ogni campo.



    
Da qui, la scelta del termine “Radiestesia” quale definizione per indicare
lo studio delle onde e delle vibrazioni” emesse da qualsiasi corpo.
    
La Radiestesia quindi è lo studio per la ricerca delle onde e delle
vibrazioni emesse da ogni corpo.
    
Come già detto gli strumenti “radiestesici” principali che il
“radiestesista” utilizza per tutti i tipi di ricerche sono pendoli di
cristallo di quarzo jalino (vedi foto), biotensor (vedi foto) e bacchette
rabdomantiche che servono come ausilio per percepire le vibrazioni e
radiazioni emesse da qualsiasi corpo e persone.
    
Gli usi della Radiestesia sono molteplici.
    
I fenomeni radioestesici hanno infatti una spiegazione di ordine fisico:
ogni cosa, dall’essere vivente alla materia inorganica, emette delle
radiazioni, ciascuna su lunghezze d’onda diverse.

    

Inoltre il Radiestesista, per mezzo delle sue
facoltà Radiestesiche

(
vedi
cap. sul corso base di radionica e radiestesia)
,
può anche captare queste lunghezze d’onda o radiazioni naturali per
trovare la presenza di ciò che sta cercando: malattie entro una persona,
il medicinale, terapia o approccio terapeutico più adatto alla cura di una
malattia e per la cura olistica, acqua, oro, oggetti scomparsi, qualsiasi
diagnosi su terreni, autovetture, oltre che per costruire forme radioniche
attive per qualsiasi utilizzo vibrazionale

(
vedi
cap. sul corso avanzato di radionica e radiestesia)
.


     Mediante la pratica della Radiestesia è
possibile testare qualsiasi frase circa qualsiasi argomento riguardante il presente, in quanto qualsiasi
forma di energia concepita dal radiestesista è di “natura mentale”, quindi
è possibile fare test e diagnosi su innumerevoli quesiti.

 


Il Reiki   


Mikao Usui


     Il nome Reiki in lingua giapponese indica l’energia vitale
che tutto pervade e che è ovunque, anche in noi. Rei è l’aspetto
universale illimitato, Ki è l’aspetto che scorre in tutto ciò che si
manifesta e vive. Quindi Rei=universo, Ki=energia; Reiki=energia
universale.


     Il Reiki è un metodo per connettere consapevolmente la
nostra energia con l’Energia Universale ed entrare in comunicazione attiva
con essa, per riceverla, incanalarla e trasmetterla.


     Essa ci permette, una volta ricevuta, a una notevolissima
espansione psichica e interiore.




     L’energia della persona armonizzata o attivata dal maestro
nel corso del seminario, fuoriesce dalle mani e si attiva spontaneamente
ogni qual volta essa le appone ovunque ce ne sia necessità dando
l’opportunità di effettuare il training e trattamenti energetici Reiki,
oltre che per se stessa, anche per le altre persone, animali, fiori,
piante, dinamizzare l’acqua, il cibo e tutto ciò che si può toccare
fisicamente, divenendo così un tramite, un ponte o canale fra l’energia
cosmica e ricevente oltre a beneficiarne in prima persona. Una volta che
la persona viene armonizzata, potrà usufruire del Reiki tutta la vita.


     E’ un metodo molto semplice, potentissimo e alla portata di
tutti, riprende in modo moderno antichi insegnamenti di guarigione che
fanno parte del Buddismo.


     I seminari sono suddivisi in 3 gradi: il primo ci dà
l’opportunità di interagire energeticamente sul piano fisico, il secondo
sul piano mentale e a distanza, il terzo quella di insegnare.


     E’ basato principalmente sull’impiego di 4 simboli aventi
caratteristiche energetiche, psichiche e spirituali diverse che se
incanalati nella maniera voluta, possiamo potenziare di gran lunga i
nostri intenti mentali, materiali e spirituali legati ad essi.


     Il Reiki si trasmette tramite le armonizzazioni o
purificazioni dei canali energetici da effettuarsi durante i corsi, da
maestro a ricevente permettendogli da quel momento di incanalare energia
per tutta la vita per se stesso , per gli altri e per le situazioni.
L’armonizzazione e’ un processo semplice, delicato ed intimo che il
maestro effettua sul ricevente apponendogli le mani sul capo avvalendosi
dei simboli relativi. Premetto che il Reiki non è ne religione, ne un
dogma o un’oscura pratica esoterica.


     Il Reiki è Reiki, ed è oggi alla portata di tutti.


     I canali energetici sopracitati nella spiegazione
dell’armonizzazione sono quei punti chiamati Chakras dell’agopuntura, o
centri energetici psicofisici dell’uomo che spiegherò nel dettaglio nelle
pagine relative al primo grado.


     Quando un individuo è reso potente e purificato dalla
trasmissione delle armonizzazioni Reiki, egli potrà attingere maggiormente
all’energia universale incanalandola quando e come meglio ritiene
opportuno, tenendo in considerazione alcuni dettagli o condizioni etiche
insegnate nei corsi che esso impone per non incorrere in spiacevoli
“incidenti energetici”. Tutto ciò ci apre ad una grande responsabilità e
consapevolezza verso noi stessi ed il mondo intero aprendoci ad una
visione totalmente nuova di ciò che siamo, più in sintonia con le Leggi
cosmiche.


     Il Reiki porta benessere e abbondanza a tutto ciò che noi
incanaliamo accelerandone considerevolmente tutti i processi evolutivi
siano essi psichici, spirituali che materiali.


Ruggero Moretto


email: rogermor@tin.it


 

 


Ruggero Moretto


Ruggero
Moretto
è nato a
Monza nel 1969.



Reiki

Universal Master dal 1999, diplomato Biopranoterapeuta C.E.E.,


Terapeuta Radionico

e


Radiestesista
, tiene
congressi e seminari presso Centri e scuole di Naturopatia, new age,
di medicina naturale olistica ed alternativa, paranormale,
parapsicologia ed esoterismo,  in tutta Italia e all’estero. Ha
formato col tempo una serie di esperti operatori nel campo della
Medicina Naturale Alternativa.

Profondo conoscitore di molte pratiche legate
all’evoluzione dell’uomo come lo



yoga

,


la meditazione Zen
,


il Reiki
,


la Radionica
,


la Radiestesia

la


Cromoterapia
,
la metafisica e una serie di discipline alternative sempre legate
allo scopo evolutivo quali la


piramidologia
,


la cristalloterapia
,


i rimedi floreali
,


la kinesiologia
,
si prodiga oggi di trasmettere la propria esperienza ad altri con la
filosofia e l’intento di creare dei veri e propri esperti sulle
discipline come il


Reiki
,

la Radionica

e


la Radiestesia

presso il


CENTRO BENESSERE OLISTICO TERAPIE NATURALI
CORSI REIKI RADIONICA RADIESTESIA
,

dove tiene regolarmente i suoi
seminari oltre che insegnare ovunque in Europa e nel Mondo.



 


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romanzo storico


Pubblicato un interessante dossier sul
giallo del carburante solido ininfiammabile

Copertina del libro di Salvatore
Cosentino – ed. Bonfirraro

 

E’ siciliano l’ingegnere che brevettò
la benzina gelatinosa

di Giuseppe Nativo

 

 Un
manoscritto custodito in valigia, una formula chimica, un ingegnere
siciliano dell’ennese che negli anni ’50 lavora per il governo
francese, una scoperta sensazionale che risolleverebbe le sorti del
mondo, servizi segreti e intrighi internazionali. Questi ingredienti
non sono quelli affascinanti di un film di Hitchcock, ma elementi
reali e tangibili di una vicenda che sa di inverosimile ma che
lascia l’amaro in bocca e molti pensieri gravidi di infiniti
“perché”. E’ con tanti “perché” che inizia il percorso narrativo di
un romanzo-inchiesta che vuole andare sino in fondo.


     E’ un viaggio
nella vita, nella storia di un nostro conterraneo, l’ing. Gaetano Fuardo
(1878 – 1962). E’ un’indagine che cerca di approfondire e affrontare le
quotidiane questioni legate alla sua scoperta ma anche alla sua esperienza
umana intrisa di sacrifici, solitudine, malinconia nonché di nostalgia,
nemica e, nello stesso tempo, consolatrice. A parlarne è Salvatore
Cosentino, giornalista e scrittore di Mirabella Imbaccari (Ct), che
traccia il solco, anzi i solchi, dell’intera vicenda attraverso il libro
“Il giallo della Benzina Solida” (Bonfirraro Editore, pp. 224).

     Una storia vera
narrata con la genuina affabulazione di noi siciliani. Un percorso, anzi
un tortuoso labirinto, quello ricostruito da Cosentino, che non intende
piegarsi alle “verità ufficiali”, che vuole bucare il muro di gomma del
potere attraverso il lancio di tanti “perché” che si spiaccicano,
frantumandosi in mille rivoli di tanti punti interrogativi, proprio su
quel muro oltre il quale si nascondono grossi interessi internazionali.
Sono questi che impediscono la divulgazione della strabiliante scoperta
dell’ing. Fuardo autore di quella formula “magica” atta a produrre la
“benzina solida” ottenuta con un processo di gelatinizzazione e, dunque,
da commercializzare in scatola come i detersivi. Si tratta di un prodotto,
così è scritto sulla quarta di copertina, che “galleggia in acqua come il
sughero (e quindi non inquina i mari); evita gli incendi sugli aerei e su
ogni altro mezzo che utilizza i carburanti; manda in pensione le
petroliere e i distributori stradali” riducendo almeno del 50% il costo
dei prodotti petroliferi. Un’indagine che coinvolge fino al midollo osseo
l’Autore che, sin dal 1973, segue le tracce dello sfortunato ingegnere.

     Rimasto orfano da
ragazzino e dopo aver superato brillantemente gli studi intrapresi al
Politecnico di Torino, Fuardo si laurea in ingegneria chimica.
Trasferitosi a Milano, mette a punto la sua invenzione che lo porta a
lavorare per il governo francese contro cui intenterà una causa che
vincerà solo dopo la sua morte. Dopo aver collaborato per l’Inghilterra di
Churchill e la Germania di Hitler, dove il Fuhrer gli mette a disposizione
una fabbrica per la produzione di benzina solida molto importante per gli
usi bellici, poi distrutta dai servizi segreti britannici, rientra in
Italia per morire in miseria. Fuardo è stato schiacciato dalla sua stessa
scoperta dimenticata o fatta dimenticare ma per la quale Cosentino,
documenti alla mano e pubblicati in appendice, vuole fare giustizia
narrativa attraverso la pubblicazione di una vicenda che passerà alla
storia per aver sollevato tanti “perché” pesanti come macigni o, perchè
no, come petroliere.


                                    
                                                                      
Giuseppe Nativo

 

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Siti di paci

 

Presentato al “Centro
Servizi Culturali” di Ragusa il nuovo libro di poesie di Pippo Di Noto

 

Sabato, 23 ottobre, alla
presenza di un numeroso e qualificato pubblico, è stato presentato presso
il Centro Servizi Culturali di Ragusa il nuovo libro di poesie in dialetto
siciliano di Pippo Di Noto. Dopo l’introduzione del prof. Emanuele
Schembari, che ha tracciato un profilo dell’autore, il prof. Salvatore Di
Marco ha svolto la relazione sull’opera del poeta, evidenziandone i
percorsi umani e letterari, dal primo esordio, con “I trafichi ra
nanna”, all’ultimo lavoro, “Siti di paci”, che ne consacra
una raggiunta maturità poetica, in grado di esprimere in modo sempre più
libero i temi affrontati, pieni di tensioni e passioni civili e
umanissime. La raccolta ha già ottenuto il prestigioso premio
“Città di Marineo”, 30^ edizione, nella sezione “Opere
edite in lingua siciliana”. La serata è stata conclusa
dall’intervento dell’autore, che ha anche letto alcune suggestive poesie
contenute nella raccolta.

p.p.

I nostri
lettori possono leggere una delle poesie della raccolta “Siti di
paci” nella nostra rivista (“Tibet”).

 

Pippo Di
Noto

L’autore, Pippo Di Noto, è nato a Vittoria (RG), il
3 febbraio 1963; da 25 anni vive a Ragusa. Ha
pubblicato le seguenti opere di poesie:

bullet

   
I trafichi ra nanna
– Ed. Ci.Di.Bi., Ragusa, 1990 –
poesie in dialetto siciliano

bullet

   
Rimmi, pueta… – Ed. Iblea Grafica, Ragusa,
1991 – poesie in dialetto siciliano

bullet

 
Primo giorno di scuola – Ed. Iblea Grafica,
Ragusa, 1997 – poesie in lingua italiana

bullet

 
Siti di paci
Quaderni
del Giornale di Poesia Siciliana, Palermo 2004 – poesie in dialetto
siciliano.

Sue
poesie s
ono state inserite in varie antologie e riviste letterarie.
Di lui hanno scritto, tra gli altri, 
Stefania Carnemolla, Lina Riccobene Bancheri, Salvatore Di Marco,
Emanuele Schembari.

Vincitore
dei Premi “Ignazio Buttitta” di Favara e “Mario Gori” di Ragusa,
è stato più volte finalista ai 
Premi: “Città di Marineo”, “Ignazio Russo” di Sciacca, “Turiddu
Bella” di Siracusa e “Rinascita” di Vittoria; ancora al “Vann’Antò”
(Ragusa – Messina) ed al “Bizeffi” (Limina – Me). Nel 2004 ha
vinto, per la sezione “Opere edite in lingua siciliana”, il
Premio “Città di Marineo”, con la raccolta “Siti di
paci”.

Operatore culturale,
organizzatore di Rassegne e Premi di poesia ed incontri culturali, giurato
in vari concorsi di poesia, collaboratore con varie scuole per la
realizzazione di progetti sul dialetto, intervenendo, anche, in favore
della realizzazione di biblioteche scolastiche multimediali.

Suoi testi poetici
sono stati oggetto di studio, musicati e rappresentati.

Ha contribuito,
insieme ad altri cultori, alla rivalutazione della figura del “Cantastorie”.

Ha dato vita, con un
gruppo di poeti, pittori e ceramisti, ad un progetto di collaborazione
artistica (Versi a commento di opere pittoriche e ceramiche Acate,
Castello del Principe Biscari – Giugno 2002)

Ha partecipato, come
protagonista, nel film amatoriale in dialetto Siciliano “I quattru
tummin’a terra”. (Luglio-Settembre 2002).

E’ presente nel
web, oltre che con il suo sito personale
web.tiscali.it/pippodinoto
,
in vari siti, fra i quali “Net Editor.net”, 
“Akkuaria.com”, “Son.it”. 


 

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l’angolo della filosofia

recensione di Federico Guastella del libro di Diego Fusaro “Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario

 


 

Karl Marx
(1818 – 1883)

 

 

 

 

 


 


 
Liberiamo
Marx dai silenzi!


di Federico Guastella 

Leggendo il titolo del libro di Diego Fusaro
“Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario”
(Milano,
Bompiani 2009), almeno una domanda è inevitabile che sorga: quale senso dare
alla riproposizione di Marx, ove si considerino le ideologie e le politiche
nefaste che hanno distinto la storia del Novecento? In altri termini,
nell’attuale contesto societario, per moltissimi aspetti diverso da quello
dell’Ottocento, cosa ancora può dirci Marx? E’ in fondo questo il medesimo
interrogativo del nostro giovane studioso al quale egli così risponde alla
fine del suo accurato itinerario di ricerca: Marx può ancora dare voce
alla sensazione diffusissima che il nostro mondo (sempre più presentato come
intrascendibile, in una inquietante desertificazione dell’avvenire), dopo
tutto, qualcosa continua a mancare.
Come è stato scritto, “quelli di
Marx restano gli strumenti più acuti per criticare la società esistente e le
sue contraddizioni: fin tanto che ci saranno sfruttamento e schiavitù, lo
spettro di Marx continuerà ad agitarsi per il mondo
(p. 309). Fusaro,
servendosi del romanzo di Juan Goytisolo Karl Marx show, facilita
così al lettore il compito di decifrare le storture e le forme precarie
della società in cui oggi si vive: quello di “immaginare un Marx redivivo
che assiste impotente alle disavventure del presente – dallo sbarco di
clandestini sulle coste pugliesi al lavoro schiavile dei bambini – vedendo
il suo “sogno di una cosa” mandato in frantumi dalla storia e dalle sue
“dure repliche (p.19)”. Le condizioni di alienazione che l’avevano
ossessionato permangono, e forse se ne sta perdendo la piena consapevolezza:
“il capitale si fa sempre più invisibile e impalpabile anche nella vita di
ciascun individuo”.


Certamente il capitalismo non è stato soltanto un
male; ha segnato, anzi, un reale progresso rispetto allo stato feudale,
universalizzando la produzione e il mercato. In questo senso – commenta il
nostro studioso – ha posto le basi per un’effettiva civilizzazione
dell’umanità, creando possibilità di sviluppi ulteriori (p.289). A Fusaro,
comunque, non passano inosservate né le contraddizioni in atto del sistema
né i tanti problemi nel quadro delle società comunisticamente strutturate.
Anche il fallimento delle profezie di Marx è preso da lui in esame, ma egli
puntualizza che restano valide e attualissime le sue denunce radicali del
“sistema”.

Ripercorrendo ora il corpo sostanzioso della sua
imponente ricerca, possiamo dire che il discorso sul feticismo delle merci
(pp. 262-277) è senza dubbio uno degli assi portanti dell’attualità marxiana
in cui si colloca la contrapposizione delle classi sociali. Interessante
appare anche la definizione data da Fusaro al concetto di “classe”, in
considerazione che il pensatore di Treviri non tenta neanche una volta di
definirlo. Ricavandola dagli scritti marxiani, egli così la espone: “…, un
gruppo di individui che sono portatori di interessi socio-economici comuni e
che sono potenzialmente in grado di acquistare coscienza di sé quali membri
di una classe”. Una classe, dunque, contrapposta all’altra è la molla del
movimento storico, assunto nella concezione “materialistica della storia”
che consente di descrivere le leggi dell’economia: quelle leggi specifiche,
che oltre a determinare in un certo senso la volontà, la coscienza, le
intenzioni degli uomini, regolano la nascita, a partire dall’accumulazione
primitiva (dalla differenza sessuale alla società schiavistica prima e a
quella feudale dopo), l’esistenza, lo sviluppo e l’estinzione di un dato
organismo sociale, sostituito poi da un altro di livello superiore
(pp.107-153). A questo punto s’inquadra l’analisi particolareggiata sulla
teoria del valore (pp. 227-261) che pone in rilievo come il plusvalore
(“tempo di lavoro non pagato”) rende possibile la valorizzazione del
“capitale per il capitalista”.


Diego Fusaro


Marx, partendo dalle sue analisi economicistiche
nell’ambito della “rottura epistemologica” attinente al rovesciamento della
dialettica hegeliana (in Hegel il pensiero è il demiurgo del reale; per il
pensatore di Treviri il cominciamento è dato dall’elemento materiale in cui
si realizza la sintesi di teoria e prassi), non giunge poi alla
configurazione di caratteri ben precisi relativi alla società comunista.
Fusaro scrive che egli si limita, evitando di cadere nell’idea di un
livellamento come conseguenza di una malintesa distribuzione dei beni, a tre
affermazioni facenti leva, in sintesi, sul controllo della produzione, sullo
sviluppo delle individualità e dell’uomo onnilaterale, nonché
sull’estinzione dello Stato. Il suo commento, che scaturisce da una puntuale
documentazione, è abbastanza chiaro: “Con il comunismo lo Stato verrebbe
“tolto” in quanto strumento di oppressione di classe e “realizzato in quanto
strumento finalizzato alla realizzazione di scopi effettivamente
universali”.

Dunque: un pensiero, incompiuto e aperto, quello di
Marx. Chi ha pensato, o chi pensa, di dedurne una società già confezionata
non l’ha capito. Mi sembra questo il punto fondamentale della rilettura
delle opere di Marx fatta da Fusaro. Lettura autentica, la sua, liberata da
tutti i diversi silenzi e dal disprezzo profondo degli umani diritti che si
è attuato, utilizzandone le idee nel peggiore dei modi possibili. Lettura,
altresì, ancorata a visione della storia in chiave teleologica,
futurocentrica, pervasa di speranza messianica, tipica del “regno della
libertà”. In tale prospettiva (non falsificabile secondo la diagnosi di
Popper, in quanto irriducibile a teoria scientifica), rispetto alla visione
di Althusser, “problematica e aporetica”, a Fusaro appare più aderente alla
realtà storica il pensiero di Ernst Block. Per il filosofo di Tubinga, la
vera anima del pensiero di Marx, dalla gioventù alla maturità, è infatti la
speranza, “mediata da ciò che è realmente possibile” e intesa come
proiezione nell’ulteriorità, come aspetto essenziale del “non ancora”. Per
il filosofo di Tubinga – scrive Fusaro –  essa sta in stretto rapporto “tra
lo spirito dell’utopia sociale rivoluzionaria cristiana e il pensiero
messianico – utopico di Marx (p.292), in quanto l’uomo, potremmo dire, è una
realtà molto complessa di cui la religione non è alienazione.

In sostanza, vuole dire Fusaro che Marx va riletto
e compreso allo scopo di rifluidificarlo senza il marxismo. Ciò è
importantissimo, anche se la rivisitazione che se ne deve fare sembra
ostacolata da molteplici fattori. Il determinismo “crisi” – crollo” del
capitalismo, rivelandosi utopistico, non si è realizzato e lo stesso nome di
Marx è rimasto collegato con le pesanti e drammatiche eredità delle società
comuniste. Il suo spettro inoltre viene falsamente evocato per impaurire,
mentre non mancano posizioni di retroguardia tali da rallentare la
costruzione di percorsi unitari. E si ha pure l’impressione di inibizioni
culturali per un serio approfondimento come se si volessero occultare le
colpe storiche. Sul piano effettuale la transizione, è noto, è avvenuta “dal
capitalismo ad un altro capitalismo” con l’esito di staccare l’economia
finanziaria da quella reale, mentre la stessa classe operaia si è rivelata
“uno dei gruppi sociali più facilmente integrabili tramite il consumismo e
il feticismo delle merci (p. 312)”.

Nell’ambito di questo processo di destrutturazione,
c’è ancora spazio di operatività per  quell’idea antropologica che punta al
“soggetto” al fine di liberarlo da ogni sorta di alienazione economica ed
interiore? La rigorosa ricostruzione di Fusaro, fatta in autonomia, con
profonda attenzione all’ermeneutica e senza lenti riduttive, a questo punto
termina con l’ultimo capitolo intitolato “Le avventure del materialismo
storico: Marx nel Novecento”.

L’indagine culturale, potremmo dire, cede il passo
alla politica, auspicando che possa farsi centro di elaborazione progettuale
con strategie di alleanze aperte.       


Federico Guastella

Maggio 2010

 


 

 
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Shanti Magazine Ottobre 2004


sito web:

www.centroyogashanti.org

“Nel
silenzio c’è libertà.

     
Nell’innocenza
c’è amore.

           
Nell’umiltà
c’è intelligenza.

                          
 
Vimala Thakar

 


YOGA:
LA VIA DELL’UNIONE

                                              
di
Pina Bizzarro

 

    
Da martedì 5 ottobre riprendono regolarmente le lezioni
a Ragusa e ritengo utile mettere in evidenza i punti focali che quest’anno
intendo curare. Tutti sappiamo l’importanza di decodificare il linguaggio
corporeo grazie all’ascolto consapevole delle sensazioni, per cui il primo
punto è quello che riguarda asana
e rilassamento.
Il secondo punto è certamente l’attenzione al
respiro. Il respiro come scambio cosmico, che rende possibile l’unione tra
l’interno e l’esterno del nostro corpo; il respiro che trascende i limiti
fisici. Padroneggiare il respiro per arrivare alla pratica di Pranayama, quelle tecniche
che consentono di controllare e aumentare l’energia, il
prana.
Da quest’anno, inoltre, con gli allievi che già mi seguono da
tre anni intendo dare più spazio alla meditazione finale; meditare su alcuni
passi delle Sacre Scritture e sperimentare il silenzio per invitare la mente a
trovare uno spazio di quiete. Ricordiamoci che secondo la definizione di Patanjali
lo Yoga è la cessazione delle fluttuazioni
mentali (yoga citta vrtti nirodha)
. E’ previsto anche un lavoro sui chakra
con l’utilizzo di musiche e bija mantra specifici, secondo lo schema
proposto da Gabriella Cella. Inoltre quest’anno cominceremo ad approfondire
i principi di Yama e Nyama che sono alla base del cammino yogico .

    
Yoga vuol dire riunire,
aggiogare.
Riunire cosa? Abbiamo già detto in un numero precedente di Shanti magazine che secondo l’interpretazione di Patanjali si
intende riunire tutte le energie per indirizzare la mente su un unico punto.
Sappiamo che ordinariamente la mente è dispersa in mille pensieri che
difficilmente consentono un certo grado di concentrazione. Per dominare la
mente occorre perciò molta energia e molta pratica. Oltre alla definizione di
Patanjali ci sono altre definizioni sul significato della parola Yoga. Secondo
alcuni testi teisti l’unione riguarda lo Spirito individuale con quello
Universale. Altri prendono in esame il tema della polarità. Quando un Essere
umano dice io, si isola da tutto ciò
che è al di fuori, tutto ciò quindi che è non-io.
Il nostro io ci lega inevitabilmente
al mondo degli opposti, che non si manifesta solo nel io-tu, ma anche in ciò che è esterno, in uomo e donna, buono
cattivo, giusto sbagliato, ecc. Il simbolo che la nostra associazione ha
utilizzato rappresenta chiaramente la dualità e la complementarietà degli
opposti. La nostra mente non fa altro che dividere costantemente la realtà in
unità sempre più piccole (analisi). Dietro la polarità sta l’unità,
quell’uno che tutto abbraccia e in cui riposano gli opposti non ancora
separati. Nel simbolo vediamo che questa unità è rappresentata dal cerchio
esterno che comprende i due opposti. In cerchio simboleggia l’infinito,
qualcosa senza inizio né fine. Simboleggia l’universo che per definizione
comprende tutto, per cui non può esistere nulla al di fuori di questa unità.
L’unità/universo è eterna pace, è puro Essere. Nelle Upanisad
questa realtà suprema è indicata sia con espressioni di tipo apofatico (neti
neti: né questo né quello),
sia con i termini di SAT-CIT-ANANDA. SAT 
(participio presente della radice as,
“essere”) è “Ciò
che è”, il reale.
Con  Sat
si indica perciò la Realtà unica che soggiace alla molteplicità dei
nomi e delle forme che costituiscono l’universo, così come l’argilla è
l’unica sostanza di cui sono fatti i vasi e gli utensili differenti fra loro
solo per forme e dimensioni (Chandogya-upanisad
VI, 1).
Il Sat è ciò da cui
tutti gli Esseri traggono la loro origine, ciò in cui sussistono e a cui alla
fine ritornano come i fiumi che si gettano in un solo oceano. CIT è l’atman, il Sé,
la “Coscienza” irriflessa che è
lume per sé risplendente, la “luce
delle luci” (Mundaka-upanisad II, 3,9).
Non è un dato
dell’esperienza, né un oggetto di conoscenza, poiché il
è ciò che rende possibile ogni conoscenza (il Sé quindi non deve mai essere
confuso con l’io frutto della
divisione duale). Il è il “testimone interiore” che “dimora
nella caverna del cuore”
, trascende ogni dualità, immutabile attraverso
il continuo mutare dei contenuti dell’esperienza e permanente al di là
della radicale impermanenza del mondo oggettuale (Bhagavad-
gita XIII).

    
ANANDA  è la beatitudine
che sta alla base di tutte le gioie e i piaceri dell’esistenza. I
piaceri infatti che possiamo sperimentare ordinariamente non sono che infime
particelle dell’Ananda supremo. A
differenza dei piaceri limitati e transitori Ananda
è eterno e infinito. Il nome derivante dalla composizione di Sat, Cit e Ananda (Saccidananda)
è uno dei più usati per riferirsi alla Realtà suprema anche nell’induismo
contemporaneo.

    
L’obiettivo dello Yoga è la
liberazione dalla sofferenza
. Il cammino è lungo, ma già nei primi stadi
possiamo verificare piccoli segnali che ci fanno intravedere la meta finale.
Nella mia brevissima esperienza di insegnamento ho potuto verificare come una
Signora che frequenta da due anni i miei corsi è riuscita a superare un
problema di insonnia che in precedenza era stato affrontato con terapia
farmacologia. Un altro Signore è riuscito ad avere più controllo nella sua
alimentazione e perciò ha smaltito alcuni chili di troppo. Un’altra persona
che aveva l’abitudine di assumere qualche bevanda alcolica, dopo alcuni mesi
di pratica yogica, si rifiuta di bere tutto ciò che contiene alcol, poiché
grazie all’ascolto del proprio corpo ha capito da sé la nocività di questa
sostanza. Certo, tutto questo è ben lontano dal Samadhi
(o il Nirvana buddista)
ma rappresenta un buon incoraggiamento per
procedere con fiducia in questo antico sentiero.

Om
shanti

 Pina
Bizzarro

 

 

L’ASANA

    
asana è collegata a tutte le
membra (asthanga) dello Yoga. In un
numero precedente avevamo già elencato queste 8 parti dello Yoga ma è utile
ripeterle anche per chi ci legge per la prima volta. Esse sono: Yama,
Nyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi (astinenze,
osservanze, posizioni, controllo dell’energia vitale, dominio e superamento
degli organi di senso, concentrazione, meditazione,supercoscienza cosmica)
Queste
otto membra possono considerarsi sia come gradini, l’uno propedeutico
all’altro, e sia come parti intimamente intrecciate. L’asana
è parte delle pratiche dello stile di vita degli Yama e Nyama, poiché è un mezzo di auto-studio e auto-disciplina. L’asana
è una forma di pranayama perché
attraverso la giusta postura possiamo controllare il nostro prana (energia).
asana è una forma di dharana
perché attraverso essa possiamo concentrare le nostre energie. Infine l’asana
è una forma di meditazione perché la sua pratica corretta richiede che
manteniamo la nostra mente in uno stato di chiarezza e riflessione.

    
Le asana sono ovviamente utili in se
stesse per promuovere la salute e la vitalità e sono complementari nel
trattamento di molte malattie. Le asana alleviano lo stress e la tensione e calmano i nervi (ormai
sono diventati problemi comuni nelle nostre vite frenetiche).

    
Sono una parte importante in uno stile di vita salutare e hanno
un effetto sia sul piano fisico che psicologico.

 Per
questo motivo, le persone che non sono interessate alla dimensione spirituale
dello Yoga, possono comunque trarre
beneficio dalla pratica delle asana.

 p.b.


A


OGNUNO
IL SUO YOGA



di
Pina Bizzarr
o



Oggigiorno
la maggior parte di noi ha un’idea dello Yoga.
Lo Yoga è diventato una parte evidente della nostra variegata cultura,
tanto che tutti noi lo abbiamo incontrato in una forma o nell’altra. Yoga
come esercizio popolare di tendenza, Yoga
come terapia medica alternativa, Yoga come profondo cammino spirituale
alterano la nostra visione dello Yoga.
Per porre lo Yoga nella giusta
prospettiva cerchiamo di porci daccapo di fronte ad esso, in particolare
prendendo in considerazione il bisogno di applicarlo su base individuale.

    
Yoga,
abbiamo detto che è un termine sanscrito che significa “unire,
coordinare”. Si riferisce alla giusta interazione di corpo, mente e spirito
per dischiudere il nostro potenziale più elevato. Lo Yoga
prende le nostre capacità ordinarie e le estende in maniera esponenziale
aiutandoci a sviluppare una consapevolezza che va oltre i nostri limiti
personali. Lo Yoga usa il fondamento
corpo, le sue energie e la sua naturale intelligenza, per raggiungere la
sommità dello Spirito. E’ parte della millenaria ricerca umana per la
salute, la felicità e l’illuminazione che si rivolge all’essere umano
nella sua interezza. Perciò, non c’è da meravigliarsi che lo Yoga
stia acquisendo riconoscimento mondiale man mano che entriamo nell’età
planetaria della consapevolezza e dell’unità. Classi di Yoga
sono oggi  disponibili in ogni
città. Lo Yoga non è più qualcosa
di nuovo  o di straniero riservato
ad una elite di persone, com’era soltanto qualche anno fa. Nei media vediamo
sempre più immagini di persone che siedono in meditazione o mentre eseguono
qualche posizione. Termini prettamente yogici
come mantra, guru, shakti sono
usati nei giornali e nelle riviste.

    
Tuttavia lo Yoga è molto più che
un grande sistema di esercizi. Lo Yoga ha uno straordinario potenziale guaritore sia per il corpo che
per la mente. Lo Yoga si rivolge non
solo agli squilibri strutturali nel corpo, come problemi osteo-articolari, ma
anche disfunzioni organiche, inclusi disordini ormonali e del sistema
immunitario. Inoltre, in modo particolare attraverso i vari approcci
meditativi, lo Yoga aiuta a
risolvere alcuni problemi del sistema nervoso come tensioni emotive e alcune
difficoltà psicologiche come quelle derivate dallo stress.

    
Proprio per i suoi effetti curativi, lo Yoga
è strettamente legato all’Ayurveda, “la scienza della vita”. Yoga
e Ayurveda
sono scienze sorelle cresciute nell’antica India dalla stessa
radice. Entrambe riflettono un approccio dharmico
alla vita, una ricerca per  mantenere
tutti gli Esseri in armonia con le leggi benefiche dell’universo. Nello Yoga
le caratteristiche degli allievi sono di primaria importanza. Le pratiche non
vengono date meccanicamente “in massa”, ma adattate su base individuale.
Comprendere la nostra costituzione individuale, sia fisica che psicologica è
essenziale per curare noi stessi. Stiamo man mano riconoscendo che ogni
individuo è unico. Il cibo che è buono per una persona, anche se salutare,
può non essere buono per un altro. Anche le erbe e l’esercizio richiedono
un orientamento individualizzato e non possono funzionare allo stesso modo per
tutti i tipi corporei. Persino la meditazione, per essere veramente efficace,
richiede alcuni adattamenti individuali. Abbiamo capacità e potenzialità
fisiche, mentali e spirituali differenti che richiedono un orientamento
personale e appropriato per svilupparsi. Lo Yoga
e
l’Ayurveda contemplano le nostre tipologie mente-corpo in accordo
alle energie e agli elementi che predominano in noi –i tre dosha di Vata,
Pitta e Kapha
e i tre guna (qualità mentali) di Sattva,
Rajas e Tamas
. Nei prossimi numeri di queste pagine analizzeremo sia i
dosha che i guna.

Per
una salute ottimale abbiamo bisogno di una diagnosi individuale e di un piano
di trattamento individualizzati e di uno stile di vita che racchiude tutti gli
aspetti del nostro comportamento.

    
Per la diagnosi possiamo affidarci al Dott. Lisciani che
attraverso la lettura del polso individua con estrema

precisione
lo squilibrio energetico.

    
Su questa base possiamo elaborare una pratica di Yoga individuale.   

    
In questi giorni sto lavorando alla mia tesi dal titolo “Asana e Pranayama tenendo conto delle tipologie costituzionali descritte
nella medicina Ayurvedica”.

Pina
Bizzarro

COMUNICAZIONE
NATURALE, COMUNICAZIONE D’AMORE

 

di
Pina Bizzarro


Sissi

“Desidero
condividere con Voi quanto mi  è
accaduto nello scorso mese di luglio, poiché penso che da questi
eventi, tutti noi possiamo trarre un grande insegnamento.

Mi
vengono in mente le parole di André VanLysebeth che precedono il suo
ultimo racconto “L’isola innamorata”. Lui dice:“se non avete
ancora un cuore di bambino o un animo di poeta, che forse è la stessa
cosa,  lasciate perdere
queste pagine, andate oltre”

Perciò
invito tutte quelle persone che si ritengono scientificamente colte,
razionali, scettiche a dedicare ad altro il tempo che impiegherebbero a
leggere queste righe. Chi ha già le certezze in tasca non ha bisogno di
ascoltarmi!

 


    
La prima settimana di luglio sono stata a Piacenza, da Gabriella Cella per il
corso su “Yoga e Ayurveda. Quando sono ritornata a casa mi sono accorta che
mancava uno dei miei 3 gatti; per la precisione mancava Sissi, una gatta
persiana che vive con me da 7 anni. Pare 
che la  badante 
di  mia mamma ha 
lasciato aperta  la  porta 
d’ingresso  per 
qualche
minuto e Sissi forse infastidita dalla presenza di questa
estranea in casa o forse spinta dalla sua naturale predisposizione a curiosare,o
forse per dare una lezione a me, è uscita e si è allontanata. Ho subito fatto
dei manifesti che sono stati collocati praticamente in tutta Ragusa. Una mia
amica mi ha aiutata nelle ricerche; più di una volta ha cercato Sissi fino alle
2 di notte per riprendere alle 6 della mattina. I giorni passavano, ricevevo
qualche segnalazione, ma di Sissi nessuna traccia. Dopo 3 settimane le speranze
cominciavano ad affievolirsi. 

    
Alcuni mesi prima avevo avuto modo di vedere la
registrazione di un convegno “Segni e
messaggi dell’anima”,
che si era svolto a Milano, organizzato dalla
Libreria Ecumenica Esoterica di Timmy Falcone. Ho ascoltato con molto interesse
l’intervento dei vari relatori ma una Signora mi ha particolarmente colpito.
All’inizio non avevo capito bene di cosa stesse parlando. Diceva di un libro,
all’epoca non ancora pubblicato, che raccoglieva delle storie di comunicazione
con gli animali. Il suo nome è Ida Caruggi 
e prima di leggere una delle storie del suo libro premetteva che quando
lei comunica con gli animali o con le piante non usa il linguaggio concettuale
parlato o scritto tipico di noi esseri umani. Precisava che gli esseri di natura
non parlano con parole ma utilizzano altre forme di linguaggio come ad esempio
quello “emozionale” o attraverso
delle “immagini.” Diceva: “se
potessi suonerei qualche strumento, ma non sono capace.”
Perciò tutte le
volte che veniva detto: “…il cane dice, …l’albero dice” doveva esser
chiaro che era un modo metaforico di esprimere la comunicazione con questi
esseri per rendere più scorrevole il racconto di queste esperienze. Poi
cominciava a leggere la storia di Ben, un rottweiler con gravi problemi di
salute, e Agostino, la persona che si prende cura di lui. Ho seguito con grande
curiosità questo racconto e ad un certo punto non sono riuscita a trattenere le
lacrime.

    
Ritorniamo a Sissi e a quel fine luglio. Mentre cercavamo
Sissi per mari e per monti mi viene in mente Ida Caruggi e il suo meraviglioso
dono di entrare in contatto con gli animali. Su internet trovo il suo sito (www.comunicazionenaturale.it)
e le mando una e-mail nella quale Le chiedevo se poteva aiutarmi a ritrovare la
gatta. Dopo qualche giorno risponde dicendo che ritrovare gli animali smarriti
non è semplicissimo, ma comunque vale la pena di tentare; mi da il numero del
suo cellulare. La chiamo subito dopo aver chiuso il mio negozio, intorno alle 22
del 26 luglio. Sento una voce gentile, comprende la mia angoscia e mi rassicura
dicendomi che di sicuro non è morta (sentiva chiaramente che stavamo parlando
di  un animale in vita); anzi mi
suggeriva di cancellare dalla mia mente tutte le immagini negative prodotte
dalle mie paure perché alla gatta sarebbero arrivati messaggi del tipo: “Per
me tu sei morta, non ti sto cercando più!”. Mi dice che gli animali sono in
contatto con l’amore universale, sono delle anime che ci accompagnano nel
nostro cammino, molte volte hanno la funzione di proteggerci, di prendersi cura
di noi. Mi racconta di un cane nel cui corpo si è incarnata l’essenza di un
Angelo. Ascolto quanto mi dice e mi si schiude un mondo meraviglioso che i sensi
ordinari ci impediscono di vedere. In precedenza avevo letto in vari libri che
la scintilla Divina dorme nel vegetale, si risveglia nel minerale, vive
nell’animale e si evolve nell’uomo per poi lasciare la dimensione materiale
e proseguire la sua evoluzioni nei regni angelici. Lei mi dice che, secondo la
sua esperienza, non è affatto così; in un certo senso non ci sono formule
matematiche, regole e schemi fissi. In fondo parliamo del mistero
cosmico
e nessuno ha certezze, o quanto meno quel tipo di certezze che
soddisfano la nostra sfera razionale.

    
Le racconto del mio speciale rapporto con Sissi, che lei
è praticamente la mia ombra. Non solo mi segue in casa ovunque, dorme sopra di
me, se leggo o studio si piazza sopra i miei libri, tanto che molte volte ho
dovuto spostarla fisicamente per girare la pagina. Nei suoi occhi, così come in
quelli di tutti gli altri animali, c’è un’innocenza che mi ha sempre
commosso. Loro, non avendo la struttura del pensiero articolata come quella
degli esseri umani, sono già uniti a quell’energia di amore che caratterizza
la vita stessa, in un certo senso loro sono già arrivati in quella che per noi
è la meta del cammino yogico. I nostri animali sono i nostri Maestri: impariamo
da loro l’amore, la semplicità, la pazienza, il perdono. Gli animali non
sanno odiare, e mi racconta che qualche tempo prima aveva stabilito un contatto
con un animale in un laboratorio di vivisezione; non c’era un solo sentimento
di rabbia o di odio in lui! La nostra conversazione telefonica si fa sempre più
interessante, lei mi da precise indicazioni sulla meditazione per fare arrivare
a Sissi tutto il mio amore e il mio desiderio di riaverla a casa. Conclude la
telefonata dicendo che da quel momento non sarei stata più sola nella mia
ricerca, che Lei avrebbe chiesto aiuto a degli “amici speciali”. L’indomani mattina faccio la mia meditazione
per Sissi, poi vado in negozio. Avevo già preparato altri manifesti da mettere
in giro. Verso le 12,50 squilla il telefono e la voce di una donna mi dice che
ha visto la gatta nello scantinato di casa sua. Mi da l’indirizzo, che è
vicino casa mia, e mi dice di suonare nel campanello dove c’è scritto
“Amore” (tutte coincidenze?). Vado in quella casa e trovo lì la mia Sissi!
Tutto questo a meno di 15 ore dalla telefonata con Ida. Nel pomeriggio la chiamo
nuovamente e Lei era certa che la gatta fosse a casa. Mi ha raccontato altri
particolari e a me piacerebbe che Lei stessa attraverso queste pagine in futuro
potesse dettagliare di più questa storia o parlare comunque della sua
esperienza. Lei mi ha chiesto di avere questo numero di “Shanti magazine”,
perciò se  ritiene adatto questo
contesto, può prendersi tutto lo spazio che vuole. Vi invito vivamente a
visitare il suo sito, anche perché ci sono delle richieste di aiuto di alberi e
animali che possono beneficiare di qualche nostra meditazione collettiva.
  Il
suo libro è stato pubblicato da Anima Edizioni e si intitola “da
cuore a cuore
”; leggetelo o
regalatelo a persone che amano gli animali, è bellissimo! Inoltre se riusciamo
a mettere insieme un po’ di persone per organizzare un seminario lei è
disponibile a venire nella nostra Ragusa. Fatemi sapere se vi interessa.”

Pina Bizzarro

 

 

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memorie dell’antica Ragusa

presentazione Quaderno n°2 Archivio Storico della Chiesa Madre di San Giorgio


 


Pubblicato il “Quaderno n. 2” della Chiesa
Madre S. Giorgio di Ragusa Ibla


di Giuseppe Nativo

[…] Et avendo parimenti
osservato l’antica Chiesa diruta dal Terremoto collaterale alla nova
Chiesa per un muro intermedio, quella videro esser stata piantata con tre
Navate, oltre sei Cappelle sfondate con Presbiterio magnifico ornato di
Statue grandi di Pietra Marmorina, quale al presente si ritrova di
materiale in somma di scudi mille dugento, e volendosi ridurre al pristino
stato come era edificata prima del Terremoto, […] almeno vi sarebbero
necessarij scudi cinquanta mila, e questo secondo il loro giudizio, e
parere, e haec sunt eorum relations cum Iuramento factae per modum ut
supra &c. unde &c. […]

[…] Datum Ragusae die 15
Martij 1717 […]


(perizia giurata, redatta da alcuni tra i più valenti maestri
“maragmatici” di Ragusa, con la quale, tra l’altro, è rimarcato come il
progetto di ripristino della vecchia chiesa di San Giorgio, “diruta” dal
sisma del 1693, non può essere evaso stante che la spesa per la sua
attuazione sarebbe ammontata a circa 50.000 scudi; fondo Archivio Storico
Chiesa Madre S. Giorgio, Ragusa – Cannezzio – A03 – Vol. 03, cc. 31 e
segg.).

    
Così recita uno dei documenti riportati nel “Quaderno n. 2” dell’Archivio
Storico della Chiesa Madre di San Giorgio in Ragusa Ibla. Tale
pubblicazione nasce con l’intento di sottolineare l’importanza
dell’archivio parrocchiale attraverso cui, ancora una volta, vengono
accesi i riflettori sulla memoria storica dell’antica Ragusa. “Questo
secondo quaderno – scrive il parroco, l’arciprete don Pietro Floridia,
nell’introduzione al volume – vuole, come già il primo dello scorso anno,
rendere noti alcuni documenti che la squadra parrocchiale ha avuto modo di
mettere in chiaro e di studiare”. Il lavoro certosino, consistente nella
catalogazione, visione e trascrizione del contenuto di vetusti carteggi,
fa parte di un’annosa ricerca cui si sono dedicati, con impegno non
comune, quattro studiosi di storia locale che hanno messo a disposizione
le loro competenze maturate sul campo per portare alla giusta attenzione
un complesso ed articolato materiale archivistico: l’ing. Giuseppe Arezzo,
la dr.ssa Clorinda Arezzo (esperta in Conservazione dei Beni Culturali),
la dr.ssa Rosalba Capodicasa ed il dott. Gaetano Veninata (autore di non
pochi saggi storici e prat. giornalista).

    
L’Archivio, come già rappresentato nell’Introduzione del “Quaderno n. 1”,
riveste non poca rilevanza avuto riguardo al fatto che la Chiesa Madre di
San Giorgio ha svolto, per oltre cinque secoli, il ruolo di sede vicariale
ricoprendo una posizione cardine dal punto di vista “amministrativo,
decisionale e comunque di guida dell’intera collettività ragusana”.
Recentemente, grazie all’impegno profuso dal citato team, l’Archivio
parrocchiale si è arricchito di altro materiale documentario, ivi
traslocato da un magazzino della chiesa, che – puntualizza don Pietro
Floridia – “si dovrà pazientemente provvedere a visionare, individuandone
l’argomento e, conseguentemente, a catalogare”. Si tratta, infatti, di un
lavoro lungo consistente anche in ricerche bibliografiche ed archivistiche
collaterali allo scopo anche di far luce su determinati aspetti
socio-economici di una collettività che ruota attorno ad una realtà
territoriale dinamica e variegata. La documentazione su cui sta lavorando
il menzionato gruppo di lavoro copre un arco temporale abbastanza esteso
che va dagli anni ’20 del XVI secolo ai primi anni del Novecento. “Non a
caso – aggiunge il parroco – l’ingegnere Arezzo, delegato della parrocchia
per l’Archivio, mi confidava recentemente che non basterà una generazione
per completare il lavoro di catalogazione e sistematica messa in chiaro su
supporto informatico dei contenuti delle carte”.

    
Il “Quaderno n. 2” (pp. 176, Ragusa, ed. 2009), che ha avuto un esito a
stampa grazie al contributo della Banca Agricola Popolare di Ragusa, è
suddiviso in quattro tematiche: “L’abate Antonino Giampiccolo, l’Insigne
Collegiata di S. Giorgio e la Famiglia Giampiccolo nella prima metà del
1700” (a cura di Giuseppe Arezzo), periodo in cui i canonici dell’insigne
Collegiata, autorizzati a portare “il rocchetto bianco e la mozzetta
paonazza con fodera di seta rossa
”, intervengono “in modo solenne
nelle funzioni della chiesa, […] godendo di preminenze e precedenze
rispetto al resto del clero cittadino…”; poi “La storia del convento di
San Francesco d’Assisi di Ragusa nel sec. XVI” (trattata da Gaetano
Veninata), attraverso il manoscritto “Liber Omnium Actorum” che
riveste non poca rilevanza in quanto al suo interno si trovano documenti
stilati a far tempo dal XVI secolo e riguardanti, tra gli altri, “donationes,
cessiones, permutationes et cambij
” in favore del convento; terza
tematica affrontata è “Il convento di San Benedetto e la nuova chiesa di
San Giuseppe” in cui Clorinda Arezzo, attraverso il ritrovamento di due
piante schizzate, cerca di approfondire le vicende che “ruotano intorno ad
un ristretto numero di personaggi” legati da un unico filo conduttore: la
“compra” della “diruta” chiesa di S. Tommaso e l’erezione
della nuova chiesa di S. Giuseppe; e, infine, “La numerazione delle anime
della Parrocchia di S. Giorgio in un quaderno del 1791” (curata da Rosalba
Capodicasa), da cui emerge uno spaccato settecentesco della collettività
ragusana contraddistinta dalla presenza di famiglie con titolo nobiliare,
di notai con reddito cospicuo e di una popolazione (1/5 della quale di età
inferiore ai dodici anni, a testimonianza che la mortalità infantile,
all’epoca elevata, è bilanciata da un cospicuo numero di nascite) in cui
una considerevole parte delle famiglie trae il proprio sostentamento da
lavori artigianali e dalla coltivazione della terra.

    
Quattro elaborati, dunque, di diverso argomento e di diversa impostazione
che contribuiscono a stuzzicare la curiosità del lettore e ad aprire “ampi
squarci di luce in un passato”, per certi versi, ancora “nebuloso”.


 Giuseppe
Nativo


 aprile 2009


 


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poesia

 


Foto tratta dalla copertina della
raccolta di poesie “Era il tempo degli aquiloni” di Salvatore Paolino,
Editrice Itinerarium,
Modica, 2007  


Salvatore Paolino, “Era il tempo degli aquiloni”

Lo scorso
12 gennaio 2008, nell’ambito del programma del Caffè Letterario “S.
Quasimodo”, è stata presentata a Modica, nei locali del Palazzo
della Cultura, la nuova raccolta di poesie del prof. Salvatore Paolino,
dal titolo “Era il tempo degli aquiloni”, ed. Itinerarium.

Dopo
l’introduzione del Presidente dell’associazione, prof. Domenico Pisana e la presentazione della prof.ssa
Lucia Trombadore, l’attore Enzo Ruta ha letto alcune liriche del poeta,
accompagnato dalle musiche del M° Sergio Carrubba.


Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione dell’Autore, due delle
poesie della raccolta.

 



Era il tempo degli aquiloni


 


Era il tempo degli aquiloni


dei sogni colorati


delle bolle di sapone


dei giochi al chiaro di luna


nella piazzetta del Sacro Cuore,


delle pesche rubate


nell’orto del curato.


 


Era il tempo delle case fatiscenti


dei bisogni sotto gli alberi


dei fichidindia a colazione,


delle fave a mezzogiorno


e a sera pane e cipolla.


                                               


Era il tempo degli aquiloni


della gita col carretto a ferragosto


 dei falò in riva al mare,


dei “cunti” di mia nonna


nelle fredde sere d’inverno,


dei pianti silenziosi


dei sospiri di mio padre.


 


Era il tempo dell’arrivo


improvviso dei parenti,


di mia madre indaffarata


tra i fornelli,


intenta a cucinare


la miseria di quei giorni.


 


E intanto io crescevo…


 


Con le scarpe risuolate


e i calzoni alla zuava


che svestiva mio fratello,


sognando di indossare


per San Pietro


il suo vestito della festa.

 

                                          
(2006)

 

            

 

 

 


Pensiero all’imbrunire


 


Oramai sugnu arridduttu


comu na maccia ri milicuccu


a capu ri mmiennu


senza pampini e senza fruttu.


Senza ri tia mi sientu persu.


A sira prieju a Diu e mi va cuccu


e aspiettu, aspiettu, aspiettu…

 


                                                  
(2007)

 


(Ormai sono
diventato


come l’albero
del bagolaro


all’inizio
dell’inverno


senza foglie
e senza frutto.


Senza di te
sono perduto.


La sera prego
Dio e vado a letto


e aspetto,
aspetto, aspetto…)

 

 

     

 

 


 

 


Siamo lieti di offrire
ai nostri lettori due

poesie del prof. Salvatore
Paolino, tratte

dalla raccolta “Lacrime e fiabe”
(1975), di

cui la 2^ ristampa è stata pubblicata dalla

casa editrice Itinerarium di Modica.



                    

               

 

       
La mia vita

 

La mia vita: una fiaba

che iniziava a sera

e durava tutta la notte.

Sogni infantili d’un uomo

ancora bambino

che cercava nel sogno

una mano che l’accarezzasse.

E col guanciale bagnato

stretto al mio cuore fanciullo,

l’alba invariabilmente mi coglieva

spietata.

                                                       
(1963)

 

 



                     

        
       

       Dietro
il casolare

 

Dietro il casolare

ci andavamo tutti i giorni a sognare.

Al tramonto lasciavamo i campi
frettolosi.

Cenavamo insieme agli altri.

C’era poco, del pane e formaggio

e un fiasco di vino, ma c’era tanta
allegria.

Più tardi ci allontanavamo furtivi

per incontrarci dietro il casolare.

Erano gli anni del nostro amore,
Maria.

Ricordo ‘gna Rosa quando ci spiava
dal muro

mentre ci baciavamo e ci tirava le
sassate

e noi fuggivamo felici ridendo per i
campi.

 

Ora sono tornato dopo tanto tempo.

La casa non c’è più, ‘gna Rosa è
morta.

E’ rimasto solo l’ulivo  quasi
stecchito.

Che pena! Ma c’è ancora quel cuore

sulla corteccia coi nostri nomi,
Maria.

Chissà dove vivi ora, con chi sei.

Se ti ricordi ancora di me,

di quel giovane bruno che giuravi

d’amare per sempre, se ricordi il suo
volto

e le sue mani quando t’accarezzavano.

Ma ovunque tu sia

resterai nel suo cuore per sempre.

                                                                                            
(1968)

 

                                    

 

 

 


 



Salvatore Paolino è nato nel 1939 a Modica, dove tuttora vive ed opera.
Docente di discipline giuridiche ed economiche dal 1963 al 1985, è stato
successivamente Preside in Istituti Superiori, fino a concludere la sua
carriera, nel 2004, quale Dirigente Scolastico del Liceo Classico ed
Artistico “Tommaso Campailla” di Modica.


Oltre a “Lacrime e fiabe”, ha pubblicato le raccolte di poesie “Nei coni
d’ombra” (1973), “Prima che il giorno muoia” (1980), “Canti di Monserrato”
(1998) e “Era il tempo degli aquiloni” (2007).
          

(p.p.)


 

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Giù la maschera!

PSICOLOGIA: la Psicosintesi

 

La psicosintesi di
Roberto Assagioli, una delle correnti più interessanti della psicologia
moderna, ci può aiutare a spogliarci da ruoli stereotipati e spesso superati
dalle nostre stesse esperienze. In questo articolo, presentiamo una semplice
introduzione ad alcuni dei principi basilari di tale teoria.

 


F. Errera, “La
maschera e il volto”
 
tratto
da
www.dfn.it/arte/
efc/veron3.htm

Liberarsi
dai ruoli attraverso la disidentificazione:
il percorso psicosintetico nella teoria di Roberto Assagioli

 


 

Giù
la maschera!

                               
 di Pippo Palazzolo

 

 





 


Ogni
mattina, quasi senza accorgercene, indossiamo la nostra “maschera” e
usciamo. Abitudini, lavoro quotidiano, ruoli da svolgere, aspettative
degli altri, autoconvinzioni, ci portano gradualmente a consolidare, sul
nucleo centrale del nostro Io cosciente, un aggregato psichico, che per
comodità possiamo chiamare “Ego”, che ragiona e pensa a se stesso
pensante, un centro di consapevolezza.

Ma
noi, come ci percepiamo? Dipende da come si è
sviluppata la nostra consapevolezza, da quanto si è allargata la sfera
del nostro “Io” conscio rispetto all’inconscio
che lo avvolge. Può essere utile aver presente lo schema della
nostra psiche, ideato da Roberto Assagioli.

Possiamo
raffigurare la nostra psiche come un ovoide, al cui centro
luminoso si trova la sfera della coscienza. Nella parte bassa
c’è il sub-conscio, sede delle funzioni più elementari della
psiche: rimozioni, istinti, impulsi. Nella parte alta troviamo
l’inconscio superiore, sede delle funzioni più elevate:
l’intuito, il pensiero, l’immaginazione. Ogni “Io”, o
“Sé”, è collegato con un “Sé” superiore, la parte
spirituale che si incarna in un corpo, ma che rimane legato al
“Sé transpersonale” (o “Logos”, “Tutto”,
“Assoluto”, o comunque si voglia definire l’entità
trascendente  che
tutto muove e permea).

 

L’ovoide
della psiche, di Roberto Assogioli


Ma
torniamo al nostro “Io”, così piccolo ma così esigente, a volte
arrogante! E’ il nostro strumento, ciò che ci permette di conoscere,
sperimentare la vita e relazionarci con l’esterno. Come tutti gli
strumenti, di per sé è neutrale, ma può essere un aiuto o un ostacolo
alla nostra crescita. Nel corso della crescita, la nostra personalità
si forma, si evolve, si modifica, a seconda delle circostanze familiare,
delle esperienze, della cultura acquisita.


In
ogni stadio della nostra vita, noi adottiamo delle strategie di
“sopravvivenza” che, specie da bambini, sono per lo più inconsce.
Pensiamo ai bambini “seduttivi”, che ottengono tutto con la dolcezza
e, all’opposto, ai bambini “terribili”, che ottengono lo stesso
tutto, ma perché strillano e rompono. E, più avanti, lo studente
“modello” e il “bullo”, la ragazza “che ci sta” e la
“virtuosa”, il “buon padre di famiglia” e lo “scioperato”
antisociale, e così via.


 

Quei
comportamenti che noi abbiamo adottato in determinate circostanze, e che
allora ci servivano, con il tempo diventano abitudini, riflessi
condizionati, abiti  che
ci sembrano una seconda pelle. Per questo motivo, noi accumuliamo un
certo numero di modelli o maschere comportamentali, che
nella psicosintesi vengono chiamate 
“sub-personalità”.



come se, all’interno della nostra psiche, ci fosse un piccolo teatro
con tanti attori con ruoli diversi. Uno di loro sarà il primo attore,
la nostra “maschera” consapevole, l’identità che accettiamo, le
altre saranno in secondo piano, ma pur sempre vive e desiderose di
attirare l’attenzione. Fino a quando non le “scioglieremo”,
riconoscendole e superandole in una “sintesi” più alta, le
sub-personalità toglieranno energia ai nostri programmi consapevoli:
dobbiamo dare spazio a tutti, perché diversamente nel nostro inconscio
una parte (o più) di noi cercherà di andare per conto suo, anche in
contrasto con i nostri progetti.

 

Il
primo passo da fare, per liberare le nostre energie e uscire dalle
spinte contraddittorie delle sub-personalità, è riconoscere le nostre
sub-personalità, capire come si sono formate e se sono ormai superate.
A quel punto, potremo cominciare a lavorare per trasformarle, attraverso
un lavoro di integrazione, che porterà ad una “sintesi”, alla
nascita di una personalità armoniosa e arricchita di nuove componenti.

Sciolte
le sub-personalità, diventa importante riaggregare le energie psichiche
così liberate in un “modello ideale”, ciò che noi siamo veramente,
anche se forse lo abbiamo dimenticato!

Quando
nasciamo, tutti noi abbiamo un progetto da realizzare, ma con il passare
del tempo a volte lo dimentichiamo. Per fortuna è possibile
recuperarlo, ci sono varie tecniche che ci possono riportare sulla
“retta via”, quella di una piena realizzazione in questa vita… ma
questo è un altro discorso!


 

Pippo Palazzolo

     
giugno 2005


    


Roberto Assagioli

Consigliamo a
quanti volessero approfondire la conoscenza della Psicosintesi,  di
visitare il sito ufficiale dell’Istituto di Psicosintesi,
www.psicosintesi.it,
che contiene ampie informazioni sia sulla vita di Roberto Assagioli che
sulle sue teorie, nonché sulle numerose attività organizzate in tutta
Italia.

Il Centro di Psicosintesi più vicino a
Ragusa è quello di Catania, molto attivo:
www.psicosintesict.it
.

 


              

                                        
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Solidarietà al popolo tibetano


 

 

 

La redazione
de “Le Ali di Ermes” invita i lettori ad un gesto di
solidarietà con il popolo tibetano. 

Per
farlo, basta seguire i suggerimenti dell’associazione ASIA, che in
questi ultimi anni ha raggiunto importanti risultati in Tibet, India,
Nepal e Sri Lanka grazie all’importante contributo dei suoi sostenitori.

                                   
Aiutala anche tu!

 

 

Ricordiamo a tutti che ogni
donazione ad ASIA è fiscalmente deducibile. Per saperne di più
clicca
qui
.

 


 



Lhasa, 14.3.2008 (tratta dal sito

http://www.italiatibet.org/
)



 

 


Free Tibet

 

 

La Redazione de “Le Ali di Ermes”
condanna fermamente l’oppressione del popolo tibetano e invita tutti i
suoi lettori a esprimere una protesta nei confronti del governo cinese,
che ancora oggi prosegue una politica che da 58 anni è volta alla
distruzione sistematica dell’antica civiltà tibetana e dell’identità del
suo popolo.
         
                                                   
(p.p.)

Segnaliamo, fra i diversi
siti che consentono di inviare un appello in favore dei diritti umani del
popolo tibetano, quello di Amnesty International, Sezione Italiana,

http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Tibet?page=azioni_urgenti

e il blog di Beppe Grillo,

http://www2.beppegrillo.it/iniziative/free_tibet.php
.
Inoltre, per approfondire il tema, consigliamo i seguenti siti:

http://www.italiatibet.org/
,

www.comunitatibetana.org
,


http://www.savetibet.org/campaigns/index.php
(in
inglese),


http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Tibet

e



http://www.casadeltibet.it/files/Storia_del_Tibet.pdf
.


 


 Focus 

di Cosimo Alberto Russo



         La rivolta di questi
giorni a Lhasa e nelle altre province tibetane ha riportato all’attenzione
distratta del pubblico occidentale la questione tibetana. Probabilmente
senza l’avvicinarsi dei giochi olimpici (che avranno luogo in Cina) non si
avrebbe avuta né la rivolta dei tibetani, né il risalto che essa  ha sui
mass media. Purtroppo molte inesattezze sono state scritte e dette sulla
situazione in Tibet e sulla sua storia recente. Si legge da molte parti
che l’attuale ribellione è dovuta al desiderio di indipendenza del popolo
tibetano, ma non si dice che il Tibet ERA uno stato indipendente che è
stato occupato militarmente dalla Repubblica popolare cinese nel 1950. La
realtà quindi è data da un movimento di resistenza contro un paese
occupante, movimento di popolo mai sopito dal giorno dell’invasione. Non
si ricordano neanche le stragi compiute dai cinesi nel 1959 e in seguito
con la cosiddetta “rivoluzione culturale” (1966 – 68). In pratica si stima
che 1/6 della popolazione del Tibet sia stato ucciso dai cinesi dal 1950
ad oggi (circa un milione duecentomila persone).



         Oggi vivono in esilio,
dispersi in varie parti del mondo ma in gran parte in India, circa 130.000
tibetani. Le condizioni di vita della residua popolazione autoctona delle
province tibetane sotto dominio cinese sono molto dure; vi è stato un
forte flusso migratorio cinese che oggi rappresentano la maggioranza degli
abitanti del Tibet, la cultura e la religione tibetana sono perseguitate e
ridotte alla semiclandestinità. I monasteri sono stati in gran parte
distrutti, i pochi ricostruiti faticano a trovare maestri per una quantità
di giovani oramai in gran parte dimentichi delle loro origini culturali.
Ecco perché il Dalai Lama parla di genocidio culturale.

A tutto ciò va aggiunto il degrado ambientale
portato dai cinesi, con una deforestazione selvaggia (non tutto il Tibet è
un altopiano desolato), attività minerarie (anche nei luoghi sacri per i
tibetani) e la creazione di siti di stoccaggio di scorie atomiche.

Purtroppo la Repubblica popolare cinese è oggi
una potenza economica di cui il mondo occidentale non può fare a meno;
ecco spiegate le quasi inesistenti iniziative dei governi occidentali a
difesa del popolo tibetano. Non fa piacere scriverlo, ma ha ragione il
Dalai Lama nel sentire lo sconforto per qualcosa di terribile che potrebbe
ancora avvenire al suo sfortunato popolo.

 

 


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Un incontro di due

Incontrare
se stessi

Incontrare
l’altro da sé


di Dario Distefano

 

 Incontri
esperienziali di gruppo, secondo
i metodi attivi dello psicodramma moreniano

 

 

                                                                   
Maschera – di
Erico Menczer

 

Un
incontro di due

occhi negli occhi, volto
nel volto.

E quando tu sarai vicino

io coglierò i tuoi
occhi

e li mettero al posto
dei miei

e tu coglierai i miei
occhi

e li metterai al posto
dei tuoi,

allora io ti guarderò
coi tuoi occhi

e tu mi guarderai coi
miei

                                             
(Jacob
Levy Moreno)

 

 

Gruppi
esperenziale condotti con tecniche psicodrammatiche per favorire la
possibilità dell’incontro profondo e della relazione con il proprio mondo
interno e con il mondo esterno.


 Durante
l’incontro i partecipanti al gruppo sperimentano momenti di gioco, di
comunicazione verbale e non verbale e di condivisione delle proprie
emozioni.


 Il
gruppo è condotto con l’ausilio delle tecniche dello psicodramma
(inversione di ruolo, specchio e doppio) ideate da Moreno proprio per
sviluppare la capacità dell’individuo di autosservazione e di incontro telico
con l’altro, dove per tele si
intende una empatia a due vie.


 I
momenti di gioco (in psicodramma semirealtà) creano le condizioni per
favorire quello che Moreno chiama il Fattore
spontaneità/creatività
, cioè apprendere a rispondere con
comportamenti nuovi alle vecchie o alle nuove esigenze che si presentano
nella vita di tutti noi.

(Immagine tratta da http://www.odinteatret.dk/)

Jacob
Levy Moreno nacque a Bucarest (Romania) il 18 maggio 1889. Nel 1895 la
famiglia si trasferisce a Vienna dove, nel 1912, incontra Freud
all’Università. Nel 1914 scrive “Invito ad un incontro” e nel 1917 si
laurea in Medicina. Nel 1924 scrive “Il teatro della spontaneità” e
l’anno dopo emigra negli Stati Uniti. Nel 1936 dopo diverse esperienze di
teatro spontaneo e di sociodramma, apre il primo Teatro di Psicodramma.
Spende tutta la vita a diffondere e promuovere lo psicodramma in America e
in Europa. Muore a New
York il 14 maggio 1974.


 

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fine pena: mai

lettera aperta di alessandro de filippo contro l’ergastolo

 



(foto di alessandro de filippo)

Pubblichiamo
la lettera aperta di Alessandro De Filippo, a sostegno della necessità di
rivedere una pena contraria ai principi della Costituzione

“Mai dire
mai”: dal 2 all’8 marzo iniziative in tutta Italia contro l’ergastolo

di Alessandro De 
Filippo


Fine pena mai. Sul fascicolo di ogni condannato
all’ergastolo campeggia una formula che è insieme il titolo e il senso più
profondo della condanna. Sarebbe una headline, se si trattasse di
un commercial pubblicitario, sarebbe il richiamo perfetto
all’attenzione del pubblico della Società dello Spettacolo. «Fine pena
mai». Ma che cosa significa? Che si deve restare dentro fino a quando si
muore di vecchiaia? Che hanno chiuso dentro il detenuto e hanno buttato
via la chiave? Che la sua vita civile è terminata?


Certo la condanna all’ergastolo dà serenità a chi
sta fuori, perché isola e allontana per sempre il criminale che ha ucciso,
che ha commesso omicidi o stragi. L’ergastolo è la pena delle pene, quella
assoluta, quella senza soluzione. Il mostro è stato catturato e ora è
rinchiuso. Pensiamo alle vittime e ai loro familiari. Finalmente avranno
giustizia. Fine pena mai. È giustizia vera sapere che il colpevole di un
atroce delitto è stato definitivamente eliminato dalla vita sociale,
espulso per tutto il tempo che gli resta da vivere. Ma è davvero così? Il
condannato è un mostro da espellere o resta pur sempre un uomo da
considerare nella sua essenza umana? Il criminale che ha delinquito
ed è stato condannato perde per questo la sua natura umana?


La Costituzione all’art. 27 prevede che l’espiazione
della pena debba avere un valore riabilitativo. La pena deve essere sì
remunerativa (cioè il condannato, con il suo tempo di detenzione, in
qualche modo ripaga la società del proprio errore), ma deve permettere
anche il recupero del detenuto. Per questo la legge prevede che in carcere
ci sia la scuola (la mancanza di istruzione è statisticamente rilevante
per i detenuti di mafia e di camorra, che sono la maggioranza degli
ergastolani), che ci siano vari corsi e laboratori (informatica,
pasticceria, giardinaggio, cineforum, teatro), che ci sia un percorso
trattamentale
, espletato con grande spirito di sacrificio da
educatori, psicologi e psichiatri. Tutto questo serve a riabilitare a
livello sociale il cittadino detenuto, ma significa anche, lentamente e
inesorabilmente, recuperare l’essere umano a livello etico. Riabilitare e
recuperare, esattamente come sostiene la nostra bellissima Costituzione. E
allora l’ergastolo? La condanna a vita? L’art. 27 della Costituzione si
infrange proprio su questa assolutezza della condanna: fine pena mai.


Per questo motivo, per invitare alla riflessione
tutti i cittadini su questa assurda incoerenza tra principi etici e
attuazione concreta della condanna, dal 2 marzo all’8 marzo ci sarà
un’iniziativa civile intitolata Mai dire mai, che prevede anche lo
strumento pacifico dello sciopero della fame. Inoltre, 738 detenuti
italiani hanno già presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo di Strasburgo, chiedendo di pronunciarsi sulla pena
dell’ergastolo in Italia.


Io ho deciso di aderire allo sciopero della fame e
di dare voce a questa iniziativa con questa lettera aperta. Non offro
soluzioni, ma pongo delle domande, chiedo a chi legge di riflettere sui
concetti di colpa, di condanna e di espiazione della pena, di riflettere
per capire cosa comporta la formula «fine pena mai», cosa comporta a
livello morale, cosa comporta a livello sociale. Senza essere un giurista,
né un condannato, né un familiare di una vittima, ma come semplice
cittadino italiano che si interroga sul mondo civile di cui fa parte.


 

Alessandro De Filippo

marzo 2009

 

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l’angolo della poesia


 

Martedì, 16 giugno 2009, presso il
Centro Ludens di  Ragusa, il prof. Giorgio Flaccavento e il prof. Totò
Stella hanno presentato la silloge di poesie di Federico Guastella, “Nel tronco
incavato”. Pubblichiamo di seguito alcuni brani tratti dalla introduzione del
prof. Salvatore Stella, la poesia “Canto d’amore”, tratta dalla
silloge e l’inedita “Transfert”, per gentile concessione
dell’Autore.
          
(p.p.)

 

Nel
tronco incavato, di Federico Guastella – ed. Genius Loci, Ragusa,
2009

“Nel tronco incavato”,
di Federico Guastella

di Salvatore
Stella

(tratto
dall’Introduzione)

“Nel
tronco incavato
si intitola la
silloge poetica di Federico Guastella che riprende il titolo e parte di
un verso – una lirica che si propone al lettore come una sorta di
baricentro della sensibilità della vita e della percezione
dell’esistenza da parte dell’ Autore, una chiave di lettura dello
sguardo, su cui, poi, l’intelligenza, l’esperienza, la fantasia, la fede
scriveranno riflessioni, speranze, ricordi, valutazioni che possono
aprire squarci e attivare folgorazioni improvvise.

L’Autore sembra
riproporre una rilettura cosmica del “Gelsomino notturno” di Pascoli,
che, superando ogni residuo intimistico ed emozionale, ritrova nel
“tronco incavato”, al di là della misteriosa germinazione nel calice del
fiore, delle erbe cresciute sulla terra dei morti, dell’alcova che
s’avvolge di oscura vitalità, un simbolo di rinascita. Gli oggetti che
definiscono la quotidianità rurale e le salde sicurezze a cui ci si
aggrappa nel turbine della vita, il “sedile di pietra” costruito accanto
al gelso bianco, sono inghiottiti tutti nel tronco incavato, che si
trasforma in uno scrigno che serra dentro di sé “il silenzio indefinito”
e il suo “forse segreto d’eternità”. Il tronco incavato diventa così un
utero che nasconde l’ipotesi d’una verità cosmica che introduce
all’eternità.


Su questo
humus esistenziale Federico Guastella costruisce
riflessioni ulteriori, tenta di delineare significati, seguendo il filo
della memoria, salvando tracce di speranza, pesando su questa bilancia di
infinito gli egoismi che rendono ancora più oscuro il vivere quotidiano,
facendosi rapire dall’irresistibile fascinazione della parola e della
visione, dell’ emozione e degli affetti, cercando con estremo pudore ma
con cura e delicatezza quei fili misteriosi che ci guidano verso la
bellezza, la spiritualità.

(…)
La prima parte della raccolta – “Richiami” – , che comprende nove poesie,
dipana il filo della memoria alla ricerca dell’ aurora e del crepuscolo
dei sentimenti e delle emozioni che si sprigionano dalla straordinaria
bellezza e dell’ eros in una scena cosmica di luce solare e lunare,
in cui le piante, la pioggia, la terra, le dimore degli uomini, le
creature della natura diventano veicoli di significati che nutrono
speranze e attese, ma anche declinano il misterioso finire di una
irripetibile stagione: “La luna che amammo innocenti s’appannava / di
nebbia sul fiume vagabondo senza nome”.

E’ un’ accorata ricerca del
tempo perduto ancora più struggente perché modulata sull’inseparabilità
della luce e della tenebra, della gioia e del dolore, della confidenza e
dell’ estraneità. Solo un momento di tregua a questa drammatica dialettica
degli opposti: Canto d’amore sviluppa senza residui la dimensione
religiosa e rituale dell’ eros, in una riproposizione alchemica
della fusione degli amanti, che lascia una traccia luminosa nell’incavo
dell’innesto misterioso.

 (…) Difficile trovare
fonti dirette di questa poetica dello straniamento, di un’invenzione
linguistica che piega le folgorazioni metaforiche e figurali ad una
meditazione sul destino dell’uomo e dell’universo, sulla memoria, sulle
attese e le speranze possibili. La silloge ha un incipit che
richiama una citazione di Parmenide, filosofo dell’ at­timo
eterno
in cui si incontrano la luce e la notte oscura. Certo,
si tratta di una formula filosofica che può essere avvertita anche come
positiva e saggia conciliazione degli opposti, delle diversità, delle
aspirazioni, delle sofferenze e delle contraddizioni che caratterizzano il
vivere; e tuttavia, per quanti sforzi logici si possano fare nessuna
ragione può dare risposta alla desolata domanda che emana incoercibile dal
vivere quotidiano e che indusse Schopenhauer a definirne sprezzantemente
Hegel il “sicario della ragione”.

Alla citazione di Parmenide
si contrappone, però, e fin dal principio con pari dignità, una citazione
di David Maria Turoldo, una citazione lunga, che sconvolge la nichilista
quiete dell’Essere, facendo irrompere la vita come un fiume in piena che
sconvolge gli argini della razionalità disincarnata. E’ una verità
sconvolgente quel­la che annuncia
Turoldo: la vita che ci ritroviamo a vivere non è quella che avremmo
dovuto vivere, non è la nostra vita e più di ogni ragionamento è il
rimpianto di ciò che saremmo potuti essere e non siamo stati a muovere il
nostro pensiero, le nostre emozioni e le nostre ansie e le nostre
speranze.

Da questa constatazione,
più o meno consapevole, ma che è alla radice dell’ esistenza, si sprigiona
quel movimento a spirale di desideri e di emozioni che ci disincaglia
dalla palude e che riesce a farci cogliere i frutti dolci e amari della
nostalgia e della memoria e a darci la forza per guardare oltre la nebbia
dell’inverno, oltre i limiti della collina, a nutrire le speranze del
vivere.

Quando la giornata della
nostra vita ha passato il mezzogiorno e si inoltra verso il pomeriggio
dalle ombre sempre più lunghe, quando lo sguardo indugia più volentieri
sulla memoria, è allora che reagiscono in una nuova sintesi alchemica il
disincanto e la speranza, lo spaesamento e la scoperta di nuovi astri
nella costellazione dei nostri valori-guida. I modi con cui ciascuno darà
forma a questo nuovo sguardo sul mondo sono tanti, teoretici, pragmatici,
artistici, religiosi …

La poesia è stato lo
strumento raffinato e versatile scelto da Federico Guastella per
sviluppare questa esplorazione del labirinto della coscienza e della
libertà, per dare corpo alle immagini come commutatori del sentire, per
affidarsi all’alveo della memoria e dell’ attesa.”               

 


Salvatore Stella

Ragusa,
maggio 2009

 


 

 


                     


Canto d’amore

Canto d’amore è goccia di
rugiada

che
si
posa sull’ erba al mattino.

Con lui danzano il sole e la
luna

nell‘incavo
dell’innesto misterioso

e la
voce
dà fremiti di gioia

ai petali di
rosa, e ritmo all’ aria

che
da
cielo a cielo ne sparge

il profumo.

Ora che si congiungono i
giorni,

è leggerezza
di luce il richiamo

che
viene
dalle sue parole.

Con lui
affidiamo promesse

al domani e attendiamo il
tremolio

d’una stella
quando lieve la sera

schiude il
ventaglio dei sogni.

                                                    

                                                   
Federico Guastella

 

 


 

   

Siamo lieti di
pubblicare, per gentile concessione dell’Autore, la poesia “Transfert”,
poesia inedita,

prescelta nel Concorso “Il Federiciano” e pubblicata nell’omonimo libro

curato da Aletti editore.
  (p.p.)      

 

Transfert

 


La piazza dall’aria
frizzante,


il duomo come un
dromedario,


e le fioraie
rannicchiate


sotto i portici
brumosi.


Mi piacerebbe
rivederlo


quel paese di colline
rarefatte


fluttuante nella
mente,


e liberarmi della
nostalgia 


che artiglia.


Con la vista d’una
realtà


mutata dal tempo,


si perdono in volo


molecole di ricordi.
    

                                                   
Federico Guastella

 

 


 


L’Autore, Federico Guastella,

Ha organizzato e diretto, per le scuole, corsi
di aggiornamento su tematiche psico-pedagogiche; nei medesimi ha anche
tenuto relazioni con riguardo alla didattica della storia. Ha pubblicato le
seguenti opere:
Itinerari
teorico-pratici per la preparazione ai concorsi magistrali secondo

i
nuovi programmi
(in collaborazione),
1986;
Programmare nella scuola per
l’Infanzia,
1995. Saggi di pedagogia
sono apparsi nella rivista “Mondi vitali” dell’Istituto Statale “G.B. Vico”
– Ragusa (Liceo linguistico, Liceo sociopsicopedagogico. Liceo di scienze
sociali). Lo studio
Dall’unità
didattica alla didattica del modulo

si trova nel volume
Viaggio nella
scuola che cambia
(Ragusa, 2003).

Il contributo
Testimonianze della memoria storica negli iblei
è in
I segni dell’uomo nel territorio ragusano
(Distretto scolastico n. 52 di
Ragusa, 1994). Ha collaborato, pubblicando articoli su scrittori siciliani,
personaggi e luoghi del ragusano, a riviste, quali: “La Provincia di
Ragusa”, “Ragusa sera”, “Nuove prospettive”, “Pagine dal Sud” (edita dal
Centro Studi “E Rossittd’ di Ragusa). Per citare appena alcuni autori, ha
scritto su: Saverio Scrofani, Mariannina Coffa, Raffaele Poidomani, Turi
Vasile, Melo Freni, Matteo Collura.

Ha curato la prefazione al libro di racconti di
Saro Dipasquale
All’ombra
dell’allegro carrubo
(dicembre
2008).

Studioso di Serafino Amabile Guastella, sulla
cui opera sta ultimando, in collaborazione, una monografia, ha presentato il
suo contributo ai tre convegni di studio: Modica-Chiaramonte Gulfi, 13-16
marzo 1975; Chiaramonte Gulfi, 6-8 dicembre 1986 (la relazione è stata
pubblicata sulla rivista ‘Tachenio”, 7/10, Palermo 1985/86); Chiaramonte
Gulfi, 2-3 giugno 2000 (“Nuove Prospettive”, n.5, Ragusa 2001).

Alcuni suoi racconti hanno visto la luce sul
quotidiano “La Sicilia” di Catania e sul settimanale “Ragusa Sera”. Nel 1998
ha dato alle stampe il racconto lungo

La casa

di
campagna;
nel 2001
Una notte d’estate

e altri
racconti.

Sui suoi racconti hanno scritto vari autori;
tra essi, Michele Cataudella, in una nota (su “Il giornale di Scicli”, n.12,
17 giugno 2001) afferma tra l’altro:


Non sappiamo

– né
conta saperlo

– se si
tratta

di
vicende propriamente autobiografiche, ma
l’impegno artistico che le sostiene

ce
le fa apparire come riflesso da

un
lucido specchio

di memorie e di
vibrazioni

interiori,
anche quando

si
fondano sul contrasto tra sogno

e
realtà

e
perfino sul tema amaramente umoristico della
burla .
..
È evidente
in
questi racconti, il tentativo dell’autore
di
coniugare il diletto

estetico
con

un
appena accennato, ma non per questo
trascurabile, motivo etico,

in
un’affabulazione che offre al lettore
l’occasione
di
un
gradevole
e
sereno intrattenimento.

 

(note biografiche tratte da “Nel tronco
incavato”, ed. Genius Loci, Ragusa, 2009)

 


 

Siamo
lieti di pubblicare, in occasione del Natale 2010, una delicata lirica
inedita dell’Autore. 

 

Presepe
del mio Natale

 

E la Parola
che si fa Carne

annuncia la
cometa dicembrina.

E mi
ricordo del primo presepe:

pastori,
pecorelle, ciaramellari

nel
recinto della fantasia…

Mi resta
tanto del fiume di carta

stagnola
che sussurrava la magia

della
semplicità.

Ascolto!

Giungono
teneri i suoni dei pifferi,

e mi rivedo
a fianco della carovana

dinanzi
alla grotta di creta.

Come vorrei
tramutare in sogno

l’incertezza!

Urlo di
speranza la mia visione:

è acqua,
è aria, è terra e fuoco.

Nella
greppia del mio Presepe, ora

il
Bambinello nudo con le mani tese

abbraccia il
pianto degli afflitti.

 

Natale
2010                                                                                                                                              
Federico Guastella

 

 

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astrologia

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Plutone è un pianeta?
Sull’argomento pubblichiamo di seguito un interessante e ironico articolo di
Vicente Cassanya, tratto da “Sestile” n. 155 (gennaio-febbraio 2007), pp. 28 e
29.


Plutone e Persefone

 

Oh amato Plutone!

 

di Vicente Cassanya*

 




Che poco tatto, che mancanza di rispetto, quale audacia e che
impertinenza: un pugno di astronomi, contro tutti gli altri e nel mezzo
di un aspro dibattito – e d’altra parte non poteva essere altrimenti,
trattandosi di te, o amato – si muove ed afferma che già non sei più un
pianeta; e che al massimo potrai essere un pianeta nano o un plutoide!


Tu, che sei figlio di Saturno, fratello di Giove e Nettuno. Tu che sei
il Dio del sottosuolo e che sei stato protagonista di quel meraviglioso
sequestro dell’affascinante Persefone, la tua amata! Ti ricordi di quei
tempi quando in Roma avevano paura anche solo di pronunciare il tuo
nome, proprio per non richiamare in alcun modo la tua attenzione?


D’altra parte, hai sempre vissuto nell’ombra, non è così? Sempre, sei
stato causa di polemica e di paura, come adesso. La tua ossessione a
rimanere invisibile era tanto grande che, quando salivi in superficie
dal tuo regno sotterraneo lo facevi con una maschera. Continui ad essere
così poco conosciuto, come allora: non si sa quale sia la tua
composi­zione, né quale sia la tua atmosfera, ancora non sei stato
visitato da nessuna navicella spaziale, etc. Come potrebbero
classificarti?


D’altra parte, tu sai bene che possiedi questa capacità di sezionare la
realtà e l’animo umano, come se un raggio laser guidasse il tuo sguardo,
tu sai che l’orgoglio dell’intelletto e le cecità della ragione si
impegnano a classificare e a conferire un ordine a tutto ciò che esiste,
come se questo permettesse loro di entrare in possesso della verità o,
più ancora, a determinare le qualità di ciò che classificano.


Ma, che ironia! L’inconscio ed i miti, connessi con ciò che tu tanto
governi, eternamente acquattati nell’animo umano, si impegnano a
riprodursi, a reinventarsi una volta ed un’altra ancora, come in una
ruota senza fine. Ed è chiaro, che l’unica cosa che ha preso corpo ed è
stato rappresentato ora in questo grande teatro, che è stata la riunione
degli scienziati a Praga, è proprio il tuo mito. Una volta di più,
l’Inconscio ed i miti trascinano la ragione fin dove la sua fantasia lo
desidera, alla stessa maniera che un fiume in piena trascina un tronco
alla deriva.

E
tu sai già perché; tu sei sempre stato un manipolatore ed un polemico
fin dalla tua nascita: sei tu colui il quale dal tuo regno dell’occulto,
sta creando tutta questa beffa. Il tuo compito di continuare a
mantenerti invisibile per la maggior parte delle persone desideri
portarlo all’estremo fino a pretendere che ti classifichino come un “non
pianeta”.


Ascolta, come tu desideri, in fin dei conti il meglio è che ognuno
sappia rimanere fedele alla propria identità. Tuttavia, permettimi di
dirti che un astronomo (dico bene, un astronomo; non un astrologo) mio
amico mi ha detto che i suoi colleghi lo prendono in giro per questa
decisione, perché lui che è nato sotto il segno dello Scorpione, ora
rimane senza una divinità che lo governi. Un altro astronomo ha
proclamato pubblicamente che questa classificazione non cambia nulla,
che i pianeti si classifichino come si classifichino, Plutone continuerà
ad essere Plutone. Permettimi di ricordarti che, in un mondo tanto
superficiale e tanto legato al culto dell’immagine, vi sono tuttavia
ogni giorno sempre più persone che sanno, come affermava Saint-Exupéry,
che “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Da
parte mia, continuerò ad inserirti nelle mappe astrali e cercherò di
insegnare i tuoi potenti effetti. Tu già sai, come parlo bene di te
e le ricerche che ho compiuto su come tu influisci sul temperamento e
sul destino delle persone, così come sui cicli che determini per la
storia dell’umanità…

 

Vicente Cassanya

 


    *


Vicente Cassanya


(Castellon,
1954) è da molti anni il direttore del mensile spagnolo “Tu suerte” ed
editore della rivista “El mundo de los astros” distribuito in America
Latina. Conferenziere di livello internazionale, è specializzato in
astrologia mondiale. I suoi libri e le sue ricerche costituiscono al
giorno d’oggi un vero punto di riferimento per gli astrologici di tutto
il mondo.


       

Siti in
sintonia:


http://astro-campus.awardspace.com

Astrodienst Banner

Il sito
astrologico con articoli

di Liz Greene e Robert
Hand

in otto lingue





www.cidaregioni.it

Il sito astrologico della
Toscana ed Emilia-Romagna

www.cida.net

Centro Italiano di Discipline Astrologiche





www.astravidya.com
– sito di astrologia,
filosofia orientale, pedagogia olistica e counselling.

 

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Una storia romanzata di Akrai


Una storia romanzata di Akrai, un viaggio indietro nel tempo, alle
origini di Palazzolo Acreide, tra storia e leggenda.

 


Un momento della
presentazione del libro “Eravamo Corinzi”, di Salvo Figura (in
piedi, l’Autore)

 

“Eravamo Corinzi”,

di Salvo Figura, storia romanzata della
fondazione di Akrai

di
Giuseppe Nativo

 

 

    
Nel 664 A. C. ha inizio la “storia romanzata” della fondazione di
Akrai, oggi Palazzolo Acreide, dalle cui cime, avvolte nelle nebbie,
ancora si sentono i passi degli dei e degli eroi.

    
Questo l’incipit di Salvo Figura.

    
Scorrendo le prime righe ci si tuffa in un mondo tanto lontano nel tempo
quanto vicino per le sensazioni che provano i protagonisti della
narrazione. Un gruppo di corinzi, soffocato in loro l’amor patrio,
assecondano il desiderio di uscire dai propri confini per conoscere altri
popoli, stringer con essi nuove relazioni, navigando, esplorando,
estendendo i commerci e i vincoli culturali, apprendendo nuovi costumi e
nuove forme di vita. L’inseguimento del sogno di una colonia sui monti
iblei inizia così a prendere consistenza.

    
La narrazione di Salvo Figura non è per niente fredda, come accade per le
invenzioni da laboratorio, anche letterarie, ma è capace di suscitare
emozioni. L’ambientazione storica e sociale è scrupolosamente
tratteggiata e, pur senza indulgervi mai troppo, centrale rimane la
vicenda che ci fa giungere al finale in poco tempo, quasi correndo sulle
pagine ritmate dalle azioni, partecipi dei timori, delle difficoltà e
delle curiosità dei nostri eroi. Un ritmo, oseremmo dire, quasi musicale:
come se il racconto possedesse una silenziosa colonna sonora.

    
Lasciarsi alle spalle la terraferma e fare rotta verso il mare aperto, il
silenzio rotto solo dal sibilo del vento e dall’acqua che scivola sulla
carena, la sottile vena di timore che affiora di fronte all’azzurro
indistinto oltre l’orizzonte sono solo alcune delle mirabili sensazioni
e delle immagini che il racconto di Salvo Figura offre al lettore.

    
Navigare in mare diventa così la più potente metafora alla vita, tra
apparenza in superficie e mistero profondo, tra sole splendente e buio
imminente, natura spietata e spirito di sopravvivenza, tra destino e
autodeterminazione. Salpare ha il valore di accettare i rischi, la
solitudine, per dirigersi verso un nuovo mondo. Andare per mare, ascoltare
il silenzio fragoroso delle acque, farsi accarezzare dal soffio di Eolo,
assaporare la salsedine è un po’ come ritornare all’acqua amniotica
cercando in essa le risposte a mille interrogativi. Il mondo
dell’invisibile, popolato di entità impalpabili come i sogni, le
immaginazioni, gli intuiti, incombe sul mare anch’esso sogno. Proprio
quel mare, che richiude il solco lasciato dalla nave senza lasciare
traccia del suo passaggio, è lo stesso che si riapre facendo emergere
dall’orizzonte la terra. Quella terra che deve essere conquistata e che
ci fa sentire piccola parte di un’armonia cosmica in cui riscoprire il
senso di una nuova armonia nella propria vita.

    
Apparentemente sembrerebbe che nelle narrazioni, nelle “storie
romanzate”, come quella che ci ha brillantemente proposto Salvo Figura,
avvenga quanto Goethe lamenta in un verso del Faust: Dar
Wort erstirbt schon in der Feder
, cioè la parola muore già sotto la
penna, l’incandescenza dei suoi significati parrebbe spegnersi nello
stampo freddo dello scritto e dello stampato. In realtà, la parola
proprio nel momento in cui è cristallizzata
nella pagina, comincia a vivere, a presentare scenari del tutto
inaspettati ed avvincenti. E’ proprio allora che la “fata”
dell’immaginazione – secondo M. Proust – si indebolisce man mano che
i dati positivi dell’esperienza, i “nomi”, vanno ad occupare lo
spazio delle sue fantasiose scorribande ma poi questo spazio, che le è
sottratto, ridiventa in qualche modo neutro e si offre di nuovo
all’arbitrio della ”fata” quando il ricordo sbiadisce e la
conoscenza delle cose si appanna.

    
Riscoprire gli eventi del passato, sentire la complessità delle vicende,
dei linguaggi ed analizzarne il senso è come riviverlo e per tale motivo
risulta un compito assai arduo. Cercare i segni della Sua presenza è
un’affascinante avventura ed in questa l’autore ci introduce, quasi
per mano, ponendoci innanzi ad un mondo antico ma gravido di ideali.

Giuseppe
Nativo

Febbraio 2005

 

Scheda del libro:

 

     Autore: Salvo Figura

     Titolo: “Eravamo
Corinzi”, storia romanzata della fondazione di Akrai.

    
Editore:
La Biblioteca di Babele Edizioni, Modica 2005, pp. 63
ISBN 88-89211-07-5

 

L’Autore del libro, Salvo
Figura, mentre personalizza un volume

 

 

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benessere

 


 

 

 

“Le Ali di Ermes” dedica questa
sezione alle discipline e alle terapie olistiche, quelle vie, antiche e moderne, che hanno per
fine il ben-essere dell’individuo, visto nella sua globalità.

 

Esculapio

 

 

 

 


Rebirthing

dal gennaio 2008 opera a
Ragusa l’Associazione Centro di Rebirthing



“RespirAzione & Benessere”
,
presieduta dalla dott.ssa Pina Pittari. Sul Rebirthing, puoi leggere
il suo articolo.

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Creatività e riflessività


Siamo
lieti di ospitare
lo studio presentato
dal prof.

Giuseppe Tidona
alla Fifth International Conference on Creative Thinking, organizzata
dall’Università di Malta dal 21

al 22 giugno del 2004. E’
disponibile anche la versione inglese.

Università di Malta
(fondata nel 1592)


 

Immagine tratta dal sito http://www.didatticaonline.unitn.it

 Studiare
e pensare

 

 

I risultati di un
esperimento


 

 

                                          
 

di

Giuseppe Tidona



 


Abstract

In alcune
occasioni l’apprendere è stato visto come un derivato del pensare ed il
processo dell’imparare è stato investigato come pratica per la verifica di
ipotesi. Da alcuni ricercatori è stato, per esempio, supposto che chi impara,
nell’acquisizione di uno specifico concetto, primariamente genera determinate
ipotesi riguardo ad esso, che poi verifica alla luce delle occorrenze specifiche
che incontra. Questa concezione vede l’apprendimento come
“esplorativo”.


In questo
articolo viene presentato un esperimento organizzato per esaminare la relazione
tra l’imparare ed il pensare nell’ambiente scolastico.


A due classi,
composte da studenti rispettivamente di 14 e 15 anni, sono state date due
diversi brani da studiare in un periodo predeterminato. Le due letture erano le
stesse nelle due occasioni. Allo stesso tempo gli alunni sono stati informati
che alla fine avrebbero dovuto rispondere ad alcune domande sul contenuto. Certe
sezioni dei brani potevano essere interpretate o in un senso più letterale
(anche se questa scelta portava ad un risultato poco convincente) o in un modo
più creativo (cosa che avrebbe dato più spessore e ricchezza di significato
alle storie). Ma per compiere l’ultima scelta era necessario pensare
produttivamente, essere in grado di ristrutturare mentalmente l’informazione in
una nuova maniera.


Le due classi
sono state divise in due metà (9+9 la prima classe e 6+6 la seconda), grossa
modo composte da studenti di abilità e profitto similari: una costituiva il
gruppo sperimentale e l’altra quello di controllo.


Agli studenti
del gruppo di controllo è stato semplicemente raccomandato di pensare
profondamente e riccamente prima di rispondere, dopo avere studiato il
contenuto.


Gli alunni,
invece, del gruppo sperimentale sono stati invitati ad usare lo strumento APC
(facente parte delle lezioni CoRT del dr. de Bono), che li avrebbe aiutati e
guidati nel trovare le risposte.


Tutte e due i
gruppi (quello sperimentale e quello di controllo) avevano svolto una certa
pratica degli strumenti CoRT (incluso l’APC) alcune settimane prima. Mentre però
nella condizione sperimentale i discenti sono stati esplicitamente invitati ad
usare l’APC, agli studenti che fungevano da controllo è stato solo raccomandato
di essere il più possibile ricchi e profondi nelle loro riflessioni senza
nessun’altra aggiunta. Questi alunni non sapevano neppure che l’altra metà
stava usando lo strumento di de Bono.


Come previsto
nella condizione di controllo la maggioranza degli studenti tutte e due le volte
ha dato la risposta più ovvia e superficiale (perfino i migliori delle due
classi), scegliendo di restare fedele al testo.


Tutti gli
alunni della condizione sperimentale, invece, hanno fornito risposte varie ed
elaborate, stupefacenti in alcuni casi per la loro profondità.


Pensare non è
naturale ed imparare non è pensare, se per pensare si intende riflessione
generativa, cioè ragionamento che muove da A a B. In realtà imparare è più
un processo passivo che attivo.


Gli strumenti
di de Bono sono molto utili se viene compiuto uno sforzo deliberato per usarli.


 


 Parte I

 

Pensare

 

Noi abbiamo due forme di pensiero. C’è innanzitutto
il pensiero semplice, che riflette la cosa così come è, ne prende atto.
Possiamo definire questo come pensiero
di primo
livello
. Tale
forma di pensiero si limita a scrutare la realtà e ad assorbirla nella sua
foggia originaria. È un pensiero che non richiede un grande sforzo ma solo
un’attenta osservazione, una fissazione prolungata. Bisogna, certo, assicurarsi
che lo sguardo sia “puro” e che non ci siano diaframmi distorsivi i
quali potrebbero alterare i contorni della cosa.


Tale modalità di pensiero è stata benissimo
esemplificata nella formula adaequatio
rei et intellectus
, resa famosa da San Tommaso d’Aquino. La cosa e
l’intelletto corrispondono di per sé naturalmente, a meno di falsificazioni
volute. La realtà sta di casa nella mente del soggetto conoscente, non è
qualcosa di alieno o di totalmente estraneo ad essa.


E’ altrettanto celebre l’altra frase di Tommaso

cognitum est in cognoscente
per modum cognoscentis
: il conosciuto si trova nel conoscente anche se
sotto forma specifica, cioè, di concetto.


C’è, però, una seconda modalità di pensiero, più
complessa e per molti versi più importante della prima, anche se non sempre è
riconosciuta come tale.


Prima di illustrarla bisogna specificare che nella
quotidianità della vita le situazioni sono spesso confuse. Non è sempre
possibile dire con certezza che A è A, sia perché A è un po’ più di A sia
perché non sappiamo se la concettualizzazione “A” sia stata ben
costruita. Non è poi così frequente trovarsi a portata di mano un oggetto,
pronto e definito, cui rapportare un simulacro mentale, anch’esso ben delineato,
per decidere della verità.


Per tali motivi sovente diventa più importante il
pensiero esplorativo, quello produttivo
in grado di muoversi da A a B, di tentare collegamenti non bene evidenti, di
trarre conclusioni da premesse non individuate a prima vista. Di descrivere
probabilmente A come qualcosa di diverso.


Possiamo definire questo come pensiero di secondo livello.


 

Studiare


 


Esaminiamo brevemente ora l’altro verbo del titolo.
Che significa studiare?    Studiare
ed apprendere sono forse sinonimi?


Non è così.


 L’apprendere
è una realtà costante della nostra vita, di tutti quanti noi, non così lo
studiare che è invece una condizione riservata ad alcuni. Lo studiare include
normalmente l’apprendere, ma l’apprendere può non includere lo studiare. In
altri termini l’apprendere è un’area più vasta dello studiare.

Bruner, Goodnow e Austin1

hanno visto l’apprendere come un sottoprodotto del pensare; l’apprendere
esaminato da loro in particolare è quello che porta alla formazione dei
concetti. Si può pensare alla generazione dei concetti come alla produzione di
insiemi di regole che servono per classificare gli oggetti.

Bruner
ed i suoi colleghi hanno visto l’apprendere come una forma particolare di
generazione e poi di “verifica delle ipotesi”.


Colui
che sta imparando produce normalmente, riguardo alle caratteristiche salienti
del concetto in fase d’acquisizione, delle supposizioni che poi verifica
osservando attentamente gli esempi di esso rintracciabili nella realtà. Ad
esempio se il concetto in fase d’acquisizione è quello di fungo” posso
subito apprendere che alcuni sono velenosi ed altri no. Ma il passo successivo,
più importante, sarà trovare le caratteristiche che li differenziano. Se
volessi definire esattamente il concetto di fungo commestibile, potrei, ad es.,
assaggiarne un pezzettino (in modo da non essere ucciso se velenoso), produrre
delle ipotesi sui tratti che lo contraddistinguono e poi verificare sulla base
degli esemplari che incontro se i “marcatori” da me stabiliti sono da
ritenersi soddisfacenti o meno.


Che l’apprendere in situazione informale possa essere
esaminato come un derivato del pensare è accettabile e condivisibile, che
questo modo di vedere possa poi essere esteso allo studio come forma particolare
dell’apprendere, lo è un po’ meno. In altri termini che lo studio, inteso nella
sua forma canonica di “applicazione metodica” grazie all’ausilio di
libri o di altri strumenti ad essi assimilabili, abbia normalmente come sua
caratteristica saliente quello di essere generazione e poi verifica di
“ipotesi” è concezione meno convincente.


Alcuni hanno fatto una distinzione tra la generazione
di ipotesi
2,
da una parte, e la verifica e l’applicazione di ipotesi, dall’altra parte. E’ più
probabile allora che nelle nostre scuole sia più sviluppato, al massimo, il
secondo aspetto della cosa.

Questa differenza potrebbe anche essere formulata in
termini di processi induttivi e deduttivi: i primi sono senza dubbio meno
praticati dei secondi in ambito educativo.


La distinzione può ancora essere delineata in
termini di ragionare e pensare.
Sicuramente il ragionare è forma più comune del pensare nelle nostre scuole.


Petter3
ha parlato di pensiero guidato e pensiero autonomo. Per molti versi il
ragionamento è il pensiero guidato dalle regole già stabilite prima.

Si potrebbe anche affermare, per usare la
terminologia di prima, che ragionare è pensare di primo livello.

Non bisogna, infine, trascurare che per sviluppare il
pensiero di secondo livello tre fattori sono senz’altro richiesti: la volontà
di pensare, la perseveranza per raggiungere risultati e la voglia di cercare
alternative e possibilità.


 

 

 



Pensare e
studiare


 


Per questi motivi è difficile vedere come il pensare
possa essere la caratteristica saliente delle forme di studio cui s’è fatto
cenno sopra.


In molte situazioni scolastiche è richiesta solo la
maniera più elementare del pensare: essa è allora semplicemente riferire con
chiarezza. Così il pensiero è solo “riflessione”, rispecchiamento
adeguato nella propria mente. Il processo di comprensione adeguata consiste solo
in questo: dopo aver assorbito le idee di altre persone (è ciò in cui
fondamentalmente consiste lo studio), si cerca di intuirne il loro punto di
vista, di scoprirne le ragioni. Studiare è, cioè, mettere a fuoco, arrivare ad
una destinazione, a quella stessa cui qualcuno è giunto prima. Il pensiero è
riflessione identificativa.  

Il pensare nella forma più alta dovrebbe essere
andare oltre, non arrivare semplicemente ad un punto stabilito a cui si è
aspettati.


Normalmente il pensiero più autentico accade quando
esso è autonomo (quando cioè non si è guidati nella riflessione e si è soli
anche nella direzione). Se è questa la condizione allora necessariamente
bisogna assumersi la responsabilità di ogni mossa. Il pensiero vero è,
pertanto, maturo. Per arrivare a questa meta è necessario, però, che già in
ambito scolastico gli allievi siano abituati a formarsi giudizi autonomi, che ne
acquistino il gusto e siano fieri delle loro personali intuizioni. La
riflessione da identificativa diventa così esplorativa.


 


Le lezioni CoRT


 


Qual è allora la preoccupazione principale in ambito
scolastico? Si va al di là della riflessione identificativa? Si è capaci di
pensiero proprio?


Le lezioni CoRT4

sono state sviluppate da E. de Bono proprio per instillare negli studenti il
gusto e l’abilità del pensare. Esse, messe a punto agli inizi degli anni
settanta, consistono di sessanta unità didattiche specifiche, divise in sei
gruppi di dieci segmenti ciascuno, per sviluppare riflessività e creatività
negli alunni. Le lezioni, adatte a studenti di età e profitto scolastico vari,
vanno insegnate per un’ora, un’ora e mezza a settimana da un docente che le
abbia assimilato prima per conto proprio. Il nome CoRT è, in effetti, un
acronimo che sta per Cognitive Research
Trust (l’organizzazione di ricerca educativa nel cui ambito sono
state messe a punto, a Cambridge, U.K.).


Le lezioni, come dice lo stesso de Bono5,
offrono agli studenti degli “strumenti” utili a materializzare, a dare
concretezza ad alcune operazioni mentali, che altrimenti rimarrebbero sfuggenti,
imprecisate e quindi svolte il più delle volte non adeguatamente.


Se si dicesse, ad es., ad un discente di essere
accurato nella valutazione di una data idea, indubbiamente questa sarebbe una
raccomandazione nobile, ma produrrebbe scarsi risultati pratici. Che significa:
“Devi cercare di essere preciso e profondo nei tuoi giudizi”? Come
potrebbe lo studente tradurre quest’utile consiglio datogli in un’attività
concreta? In effetti, la cosa resterebbe nebulosa e l’alunno non avrebbe mai la
certezza di agire correttamente.


Se invece gli si dice “Svolgi un PMI” (è
il nome di un esercizio specifico delle lezioni CoRT- vedi più avanti) allora
tutto acquista immediatezza e l’esortazione si converte subito in un esercizio
eseguibile.


Gli strumenti “mentali” offerti da E. de
Bono sono spesso costituiti da una catena di operazioni da compiersi in sequenza
così come esposti. Queste attività da svolgere passo passo, una dopo l’altra,
aiutano l’alunno a superare l’incertezza che vince chiunque, in modo particolare
gli adolescenti, quando devono svolgere qualcosa che rimane su un piano di
assoluta genericità. 


Ogni lezione
si indirizza ad una specifica abilità riflessiva. Tante attività mentali su
cui i discenti sono invitati ad esercitarsi sono contrassegnate da nomignoli per
facilitarne il ricordo. Essi sono gli acronimi formati dalle iniziali delle
parole usate per denominare l’abilità sottesa.


Poco fa si
parlava del PMI6
– o “Piemmeai” come bisogna leggere secondo la pronunzia inglese. Nel
caso specifico, la P sta per Plus,
l’aspetto più, positivo delle cose, la M
sta per Minus, l’aspetto meno, negativo dell’idea, la I sta per Interesting,
il lato interessante, nuovo della cosa (di per sé non ancora né positivo né
negativo, ma da sviluppare, da pensarci). 


Se ad es.
venisse lanciata la seguente idea7:
Si dovrebbero togliere tutti i
sedili degli autobus”,
allora potrebbe essere compiuta la seguente
analisi:


 


P (cioè aspetti più, positivi)

         
– In ciascun autobus potrebbero starci più persone.


– Sarebbe più semplice salire e
scendere dagli autobus.


        
– Sarebbe più economico costruire e riparare gli autobus.


 


     
M

(cioè aspetti meno, negativi)

    
     
I passeggeri potrebbero cadere più frequentemente, in caso di brusche frenate.

– Le persone anziane e invalide
non potrebbero utilizzare gli autobus.


– Sarebbe
difficile portare con sé le borse della spesa o i bambini piccoli.


 


I (cioè aspetti interessanti)

         
– Un’idea interessante è che si potrebbero utilizzare due tipi di
autobus: alcuni con i sedili, altri senza.


        
– Un’idea interessante è che lo stesso autobus potrebbe svolgere più
servizi.


– Un’idea
interessante è che la comodità potrebbe non essere considerata così
importante per un autobus.


 


Una volta che, in questo modo, le attività mentali
acquistano identità e riconoscibilità immediate è più facile far esercitare
su esse gli alunni. 


 


 


Struttura delle
lezioni CoRT


 


Si diceva che il corpus è formato da sessanta
lezioni suddivise in sei gruppi.


Le sei serie sono così composte: la prima è
denominata “Ampiezza di vedute” (lo scopo è quello di arricchire
il modo di pensare degli alunni), la seconda “Organizzazione”
l’obiettivo è quello di aiutare l’allievo ad organizzare il pensiero, la terza “Interazione”
(tratta del pensiero interattivo e critico), la quarta “Creatività” (riguarda
alcuni suggerimenti e tecniche per stimolare la creatività), la quinta “Informazioni
e sensazioni”
(come raccogliere e valutare le informazioni), la
sesta “Azione” (il pensiero che si traduce in azione).


Non è comunque strettamente necessario trattare
tutto il corpus in blocco. É possibile svolgere le lezioni CoRT nel loro
formato basico (costituito da venti
unità) in circa 20-25 ore (e quindi nell’ambito di un solo anno scolastico).


Le lezioni CoRT sono state insegnate da me
ripetutamente, in particolare a gruppi di adolescenti, con effetti molto
positivi.  Ho anche organizzato
degli esperimenti per avere una misura oggettiva della loro efficacia. In due
anni scolastici consecutivi (cioè nel 2000/2001 e nel 2001/2002) ho voluto
ripetere, per raggiungere una maggiore certezza, il medesimo esperimento che ha
riguardato prime classi dell’Istituto Tecnico Statale Commerciale “Besta”
di Ragusa.


 Le classi sperimentali, testate prima e dopo l’esperimento
(che è consistito nell’insegnamento, per un anno, della prima e quarta serie
delle lezioni CoRT, v. sopra), hanno riportato punteggi decisamente più alti ad
un test ideativo ed al test di creatività di Williams rispetto alle classi di
controllo. Anch’esse (paragonabili alle prime in termini di capacità
complessive di partenza) erano state testate all’inizio ed alla fine dell’anno
scolastico ma non avevano ricevuto nessun insegnamento di questo tipo (per una
consultazione completa dei risultati, v. la rivista “Dialogo”8).

Gli esiti complessivi sono stati molto incoraggianti.
Gli articoli sui due esperimenti sono stati anche sottoposti alla Commissione di
valutazione della XI Conference on
Thinking
organizzata dall’Università di Phoenix- USA (2003) e da essa
accettati per la presentazione.


Uno degli strumenti più importanti delle CoRT è l’APC.
Esso è uno strumento che forza chi pensa ad allargare i suoi orizzonti ed a
prendere in considerazione opzioni prima semplicemente ignorate. L’acronimo APC
sta per:


 


A  (in inglese Alternatives)   
= Alternative

P  (in inglese Possibilities)    = 
Possibilità

C  (in inglese Choices)         
= 
Scelte

 


Quando si
pensa si ha spesso la sensazione che tutte le idee, scelte ed alternative
possibili siano semplicemente dinanzi a noi, e che quindi ci si possa limitare
ad esaminarle. Frequentemente però la risposta ai nostri problemi non è
costituita dalle soluzioni più ovvie, è necessario invece uno sforzo
deliberato, un tentativo strutturato per ricercare opzioni differenti, magari più
adeguate rispetto a quelle che vengono in mente spontaneamente. Per raggiungere
questo scopo è, però, necessario un organizzatore grafico, un supporto che
aiuti la mente, la guidi nella sua riflessione e la indirizzi nelle varie
direzioni. Pensare in fondo non è naturale: tutto ciò che è naturale è
istintivo, perciò stereotipato.


 

 

Parte II

 


L’esperimento


 


Per vedere se
studiare comporti di per sé il pensare (inteso come pensare produttivo) è stato organizzato il seguente nuovo esperimento in
due classi dell’Istituto Tecnico Statale “F. Besta”, cui erano state
insegnate allo stesso modo le lezioni CoRT fin dall’inizio dell’anno scolastico
presente (2003-2004).


La I C,
composta da studenti dell’età media di 14 anni e la II E, formata da
quindicenni, sono state divise in due metà (9+9 la I C e 6+6 la II E)
comprendenti elementi grosso modo comparabili in termini di profitto scolastico
e di capacità complessive. All’interno di ogni classe una metà fungeva da
gruppo sperimentale e l’altra da gruppo di controllo.


Ad entrambi i
gruppi, in tutte e due le classi, sono stati assegnati due brani da studiare; si
diceva che poi sarebbero stati dati loro dei voti (si è voluta simulare la più
tipica situazione scolastica) sulla base delle risposte scritte fornite ad
alcune domande che avrebbero conosciuto in un secondo momento, alla fine del
periodo concesso per lo studio (20 minuti per i due brani).


Trascorso il
tempo, i testi dei due brani venivano sottratti; subito dopo la metà
sperimentale era invitata fuori per ricevere delle consegne particolari: lì si
diceva semplicemente loro che
avrebbero dovuto servirsi dello strumento dell’APC per rispondere alle domande
(senza che esso venisse rispiegato, ovviamente). Mentre gli altri erano nel
corridoio, alla metà rimasta in classe si dava la raccomandazione che avrebbero
dovuto pensare accuratamente e rispondere
nella maniera più ricca possibile
alle domande; non veniva, però, prodotto
alcun cenno specifico all’APC. Si ribadisce quanto detto: entrambi i gruppi
avevano studiato l’APC alcune settimane prima in maniera simile.


Le due metà
venivano, quindi, riunite ed erano loro assegnate le medesime domande sui due
brani, senza che ci fosse la possibilità che gli alunni si scambiassero
informazioni o idee. La stessa procedura è stata seguita nelle due occasioni
(il 12/1/2004 per la I C ed il 13/1/2004 per la II E).


Uno dei due
testi, così si diceva, era un brano storico di Plutarco su Alessandro Magno. Il
secondo era, invece, un passaggio tratto da una novella di fantascienza di un
supposto narratore italiano, Giorgio Corradini: in effetti, entrambi i brani
erano stati composti dallo scrivente nello stile opportuno.


Si riportano
di seguito le due letture.

 



 

I° brano

 


La spedizione di Alessandro Magno


 


Alessandro
Magno varcò l’Ellesponto alla testa di un esercito agguerrito composto da Traci,
Macedoni, Illiri e Greci (mancavano però gli Spartani – o ce n’erano pochi di
quella città- visto che essi si erano chiusi in un isolamento improduttivo,
segno inequivocabile della loro crisi): 4×10.000 uomini lo componevano e tutti
quanti erano determinati a battere l’esercito persiano. Alessandro Magno
partecipava spesso alle azioni in prima linea, infondendo coraggio ai suoi
soldati. L’impresa già in partenza si presentava come un’impresa epica date le
prevedibili difficoltà che sarebbero state sicuramente incontrate. Ma il suo
esercito era ben formato e pronto ad ogni evenienza. (Plutarco)

 


II° brano



 


Il pianeta Kebola



 


Quel povero
soldato semplice stava solo, lì all’aperto, esposto al freddo ed alla pioggia.
Era 1000 anni luce distante dalla Terra e proprio in quel momento gli veniva di
pensare ai suoi cari che, al calduccio di una casa confortevolmente riscaldata,
stavano cenando. Eh già, in quel momento, laggiù era festa, la più attesa e
la più amata delle feste, il Natale! Ma lui non poteva partecipare alla gioia
ed alla serenità comunicate dallo stare assieme, agli amabili discorsi della
sua famiglia. Si trovava invece sul pianeta Kebola, quattro volte più grande
della Terra, in un ambiente desolato, sotto una luce fioca dal colore cinereo,
ricca di vapori sulfurei. Non avendo studiato (a scuola andava malissimo ed
aveva lasciato perdere subito), non poteva neanche aspirare a posizioni di
rilievo. Lui ed i suoi commilitoni erano venuti dalla lontana Terra come
conquistatori e dovevano ora proteggersi da eventuali contrattacchi. Avevano il
compito di diffondere la civiltà terrestre, così avevano detto loro i
superiori. La gravità, quella gravità rendeva però tutto insopportabile!
L’aria era pesante da respirare; perciò al soldato era parsa chiara la ragione
per cui anche il più insignificante dei movimenti era una sofferenza atroce.
“Ah se l’aria fosse più fine e frizzante, potrei almeno farmi una
corsettina qui attorno alla base, per sgranchirmi un po’ le ossa e sciogliere i
muscoli!” diceva tra sé e sé. E con la mente andava all’arietta
tonificante di casa e a come grazie a ciò si muoveva in scioltezza laggiù.

L’amico
Giacomo, sul pianeta Kebola con lui, ascoltava i suoi discorsi: egli (che invece
a scuola andava bene e si era fatto una certa cultura), lo trattava però da
ignorante. Tra i due non s’era, dunque, sviluppata una vera amicizia.

Adesso il clima
invernale rendeva quel turno di guardia al campo base insopportabile. (Giorgio
Corradini)


 


Le
domande erano in parte “fattuali”, cioè gli alunni venivano invitati
a ricordare e a riportare dati che erano inseriti nei due brani: e queste erano
ovviamente le consegne più semplici. Ma c’erano anche altre domande che
richiedevano uno sforzo di natura diversa, più “elaborativa” (sempre
che gli alunni ne fossero capaci!).


Nel caso del primo brano la domanda “fattuale”
era: “Come si comportava in battaglia Alessandro Magno?”. Per
rispondervi, bastava rievocare il passaggio implicato: in fondo i dati erano
forniti dal brano direttamente.


La seconda domanda- sempre riguardo alla prima
lettura- era già più impegnativa, giacché per rispondere in una maniera che
avesse senso e fosse logica, bisognava impegnarsi in uno sforzo di riflessione
“trasformatrice”. Essa era: “Quanti uomini aveva a disposizione
Alessandro Magno?”.


Per
soddisfare la richiesta in maniera “intelligente”, bisognava fare i
conti con un dato del testo che destava indubbiamente più di una perplessità.
In esso si parla, infatti, di 4×10.000 soldati, che indiscutibilmente è un modo
curioso per esprimere una quantità complessiva.


Questa maniera di porre la notizia poteva forse fare
pensare alla disposizione in marcia dell’esercito stesso o al contributo che i
vari popoli alleati fornivano, ma nessuna di queste supposizioni, a pensarci
bene, era pienamente convincente.


Per
trarsi d’impaccio il modo più persuasivo restava quello di eseguire la
moltiplicazione e di riferire il totale. Per potere rispondere in questo modo si
doveva, però, fare un “minimo” sforzo di pensiero
“produttivo”. L’alternativa sarebbe stata riportare l’informazione
alla stessa guisa (4×10.000), restare, cioè, alla “lettera” del
brano, spegnendo così il pensiero.


Per quanto riguarda la seconda lettura la domanda
“fattuale” (che richiedeva insomma solo uno sforzo
“rievocativo”) era: “Perché si erano spostati dalla Terra sul
pianeta Kebola?”.


La domanda a cui si poteva, invece, rispondere sia in
maniera quasi “ovvia”, senza nessuno sforzo riflessivo, stando, cioè,
alla superficie del testo, sia in modo più ricco, collegando elementi distanti
del testo, era: ” Perché Giacomo tratta l’amico soldato da
ignorante?”. La risposta più scontata era che Giacomo aveva più cultura,
perché a scuola andava meglio, e perciò aveva la puzza sul naso, per così
dire.


Ma
un’altra ne era possibile solo che uno mettesse in collegamento elementi lontani
del brano. L’amico soldato attribuiva la difficoltà di ogni movimento alla
pesantezza dell’aria, ma altrove viene detto che sul pianeta Kebola la gravità
era quattro volte quella della Terra: pertanto egli sta solo esprimendo una
concezione “ingenua” (pregiudizio che è molto diffuso tra gli
adolescenti9,
nonostante essi abbiano già studiato a quell’età il fenomeno più volte nelle
Scienze).


La
pesantezza non è tanto dovuta all’aria ma alla gravità. Quindi è molto più
probabile che il giudizio “severo” di Giacomo sia generato da questa
persistente attribuzione indebita dell’amico piuttosto che dal titolo di studio.
Per arrivare a questa risposta era indubbiamente necessario uno sforzo
riflessivo di un certo spessore, in considerazione del fatto che bisognava
sfuggire anche alla trappola della concezione naturale sempre aperta per tutti
gli studenti, nonostante gli sforzi degli insegnanti di Scienze per non farveli
ricadere. 


Si può altresì affermare, data la summenzionata
situazione, che lo sforzo generativo era inferiore nel primo caso, di molto
maggiore per quanto riguarda il secondo brano.


 


Formulazione
dell’ipotesi


 


L’ipotesi di partenza era che gli studenti del gruppo
di controllo, nonostante le raccomandazioni orali e scritte di iniziare la loro
compilazione solo dopo avere pensato in maniera ricca, rispondessero alle
due domande “riflessive” nella maniera più ovvia e scontata, almeno
la stragrande maggioranza di loro, pur dimostrando di avere studiato bene i
brani, fornendo dati corretti alle domande “fattuali”, quasi che il
riflettere, del secondo livello, non sia di per sé implicato nello studiare,
nelle normali situazioni di scuola.


La supposizione era ancora che gli alunni del gruppo
sperimentale i quali, invece, esplicitamente erano stati invitati ad usare
quegli strumenti mentali che possono guidare la riflessione produttiva (nel caso
l’APC di de Bono), esprimessero, tutti, risposte più convincenti,
andando al di là di ciò che sopra è stato indicato come “ovvio”.


 


I risultati


 


Ecco i risultati riportati nelle tabelle:


 Tabella
I

 




 I°
brano


I C

Gruppo sperimentale (9 studenti)

 

Gruppo di controllo (9 studenti)

 

Solo risposta “ovvia” (4×10.000)

Risposta “generativa” (40.000, ecc.)

 

Solo risposta “ovvia” (4×10.000)

Risposta “generativa” (40.000, ecc.)

Numero studenti

0

9

Numero studenti

5

4


II
E

Gruppo sperimentale (6 studenti)

 

Gruppo di controllo (6 studenti)

 

Solo risposta “ovvia” (4×10.000)

Risposta “generativa” (40.000, ecc.)

 

Solo risposta “ovvia” (4×10.000)

Risposta “generativa” (40.000, ecc.)

Numero studenti

0

6

Numero studenti

4

2


Nota: nel caso del
primo brano alcune risposte tipo dei due gruppi sperimentali, oltre a
“40.000”, sono state indicazioni “divergenti” come:
“Sarebbero 40.000, ma io sono sicuro che ad essi vanno poi aggiunti alcuni
dei prigionieri catturati durante il tragitto, costretti a combattere, secondo
l’usanza antica”, oppure “Tanti, molti, perché era amato dai suoi
soldati, visto che era sempre in mezzo a loro” o, ancora, “Se è
lecito disporre i numeri in maniera diversa, allora possiamo dire:
20.000+20.000, o 30.000+10.000, ecc.!” ed, infine, “Abbastanza da
vincere moltissime battaglie”.

Nei due gruppi
di controllo la risposta “ovvia” è stata data anche da alcuni degli
alunni considerati dagli insegnanti tra i più bravi!

 


Tabella
II


 

II

°
brano


 

 I
C

Gruppo sperimentale (9 studenti)

 

Gruppo di controllo (9 studenti)

 

Solo risposta “ovvia” (a scuola l’amico non
studiava)

Risposta “generativa” (l’amico non capiva
le cose, i motivi della “pesantezza” dell’aria, la gravità,
ecc.)

 

Solo risposta “ovvia” (a scuola l’amico non
studiava)

Risposta “generativa” (l’amico non capiva
le cose, i motivi della “pesantezza” dell’aria, la gravità,
ecc.)

Numero studenti

0

9

Numero studenti

9

0

                                                                       
          


 II
E


Gruppo sperimentale (6 studenti)

 

Gruppo di controllo (6 studenti)

 

Solo risposta “ovvia” (a scuola l’amico non
studiava)

Risposta “generativa” (l’amico non capiva le
cose, i motivi della “pesantezza” dell’aria, la gravità, ecc.)
 

Solo risposta “ovvia” (a scuola l’amico non
studiava)

Risposta “generativa” (l’amico non capiva
le cose, i motivi della “pesantezza” dell’aria, la gravità,
ecc.)

Numero studenti

0

6

Numero studenti

5

1

 


Nota: nei due
gruppi sperimentali accanto a risposte generiche, ma non “ovvie”, tipo
“Giacomo lo trattava male perché non capiva come stavano le cose lì”
oppure “Lo trattava male perché non coglieva la diversità della vita di
Kebola rispetto alla Terra”, troviamo indicazioni molto specifiche. Due
alunni, uno di I C e uno di II E, sono stati in grado di tratteggiare con
particolare acume l’errore di attribuzione all’aria invece che alla massa di
Kebola della pesantezza dei movimenti, commesso dall’amico di Giacomo,
indicandolo come causa di quel giudizio di ignoranza.

Tra i 15
componenti dei gruppi di controllo nessuno è stato capace di tanto (per uno dei
pregiudizi al riguardo più radicati e difficili da vincere negli adolescenti,
come si diceva dianzi). Tutti gli alunni dei gruppi di controllo (anche i più
bravi) hanno dato solo la risposta più scontata, eccetto una ragazza che ha
aggiunto “l’amico non aveva studiato e per questo non capiva come stavano
le cose”, essendo stata l’interpretazione corrente dei suddetti gruppi che
era invece tutta una questione di boria!


Nota sulle due
tabelle
: il
test “chi quadro” in ogni caso risulta significativo, p
<0,001, come si può evincere già a prima vista.

 


Una
precisazione


 


In che
misura è possibile affermare che i discenti i quali hanno risposto nella
maniera meno ovvia, hanno realizzato per ciò stesso una comprensione profonda
del brano10?
Il pensiero produttivo, di secondo livello, è simile forse alla comprensione
profonda?


Ogni comprensione può dirsi profonda innanzi tutto
in quanto è in grado di operare collegamenti con i significati già presenti
nella mente del soggetto che apprende.


Se per comprensione profonda intendiamo solo questo,
però, essa è ancora quello che io ho definito pensiero di I livello. Sì, c’è
un collegamento con ciò che è personale,
dentro il soggetto, c’è ancoraggio
alla rete di sensi soggettivi, ma si resta al testuale, in altre parole, si resta alla disposizione
“evidente” del brano ed alle linee di senso che esso sembra suggerire.


Quanto richiesto dalle due domande
“riflessive” non è, però, comprensione di I livello, perché bisogna
avviare un “movimento”, essere produttivi sul testo: fare qualcosa,
cioè, che, a rigor di logica, non è necessario, perché un significato è lì
a disposizione e potrebbe anche soddisfare!


Ci vuole, invece, uno sforzo di pensiero laterale, come direbbe de Bono11,
per sfuggire alla trama della lettura, collegandone gli elementi in maniera non
usuale.


Certo la
comprensione profonda può essere intesa anche in quest’altra maniera, cioè,
come capacità di riuscire a fare collegamenti di II livello – ovvero in maniera
personale, testuale sì, ma anche produttiva-,
tuttavia questo a mio parere è già pensiero generativo, perché comporta uno
sforzo di ristrutturazione del “campo”.


Questa
comprensione non esiste di norma nell’apprendimento corrente, neanche nei più
bravi.


D’altra parte nessuno può negare come il
“pensare” di secondo livello sia il “pensare” in senso
proprio, per cui vale la pena impegnarsi e che rende l’uomo tale, garantendone
il vero progresso.


 


 

Conclusioni


 


I
risultati di questo esperimento, certo circoscritto a due classi di adolescenti,
confermano l’ipotesi di partenza. Essi sembrano indicare come in una tipica
situazione scolastica l’apprendere sia in buona misura un processo separato dal
pensare.


Una piccola controprova è arrivata il giorno
successivo a quello in cui si sono svolti gli esperimenti. Agli studenti delle
due classi era stato assegnato un nuovo compito, questa volta più semplice.


La consegna era: “Indica tutti i verbi che la
parola studiare ti fa venire in
mente”.


In II E i 5 verbi più scelti (in ordine di
frequenza) sono stati memorizzare,
annoiarsi
(!), capire, imparare,
ricordare
; in I C (in ordine di comparsa) leggere, imparare, ripetere, memorizzare, capire.

In entrambi i casi il verbo pensare è stato all’ultimo posto in termini di apparizione.


Come si vede lo studiare è
memorizzare, ricordare,
ripetere,
al massimo capire, che
è, però, cercare di intravedere per sommi capi quello che l’autore dice: ma
allora il rispetto del testo ha la prevalenza su qualsiasi considerazione di
natura riflessiva e personale (come il I ed il II brano hanno sinteticamente
dimostrato: si pensi, ad es., ai tanti del gruppo di controllo che hanno scelto,
al riguardo del brano su Alessandro Magno, la notazione 4×10.000,
anche se destava più di una perplessità!).


Per portare gli alunni al vero pensiero non basta,
però, rivolgere loro appelli generici perché si impegnino in tale direzione:
non producono nessun effetto.


È molto
più efficace l’utilizzo di strumentali mentali, come quelli offerti dalle
lezioni CoRT, tra cui si trova l’APC di E. de Bono, che possono guidare ed
organizzare in maniera fruttuosa gli sforzi riflessivi. Bisogna, però, che se
ne faccia un uso deliberato, cioè che questi strumenti vengano richiamati
esplicitamente perché essi producano un effetto considerevole.


 



Giuseppe Tidona



 


Ragusa,
maggio 2004



 

 


 

Note:

1
Vedi Bruner,J., Goodnow, J.J., & Austin, G.A., A
Study of Thinking,
New York, John Wiley and Sons, 1956.

2
Nickerson, R., S., Perkins, D., Smith E., The
Teaching of Thinking,
Hillsdale, New Jersey, Lawrence Erlabaum
Associates, 1985, p. 50.

3
Vedi Petter, G., La mente efficiente,
Firenze, Giunti, 2002.

4
E. de Bono, CoRT Thinking, Blandford, Dorset, Direct Education Services Limited,
1973-1975; vedi anche de Bono, CoRT
Thinking Program. Workcards and Teacher’s Notes
. Chicago, Science
Research Associates, 1987.

5
Ib., vedi la sezione Philosophy and Background to the CoRT Lessons.

6
Ib., vedi la sezione CoRT 1.

7
Ib., vedi la sezione CoRT 1.

8
Vedi, “E’ possibile migliorare la creatività e la riflessività dei
ragazzi?”, in Dialogo, anno
XXVI, n.7, ottobre 2001, Modica, pp 1-9, e “Riflessività e creatività
a scuola”, in Dialogo, anno
XXVII, n. 7, ottobre 2002, Modica, pp.7-8.

9
sui pregiudizi dei giovani, vedi il mio articolo “Comprensione e
competenze”, in Dialogo, anno
XXV, n. 6, giugno 2000, Modica, p.4.

10
Vedi, sulla comprensione profonda, Marton, F., & Saljo, R., On
qualitative differences in learning- I: Outcome and process, in British
Journal of Educational Psychology
, 1976, 46, pp. 4-11 e On qualitative
differences in learning- II: Outcome as a function of the learner’s
conception of the task in British
Journal of Educational Psychology
, 1976, 46, pp. 115-27.

11
v. E. de Bono, Lateral Thinking, N.Y., Harper & Row, 1970.

 

Appendice
e Tabelle dei Risultati Esperimento
(Download
Word Document, 196 k)

 

                                     
Laboratorio
Scuola (altre ricerche del prof. G.Tidona)

 

Insegnare e apprendere
(ottobre 2003)

Studenti capaci e studenti incapaci
(maggio 2003)

    Il
tema:

quali metodiche per aiutare gli studenti nello sviluppo di idee?
(gennaio 2003)

  Riflessività e creatività
a scuola: le lezioni Co.R.T., un secondo esperimento
.
(settembre 2002)

Competenze
e … sesso
(gennaio 2002)


                              

E’ possibile migliorare la creatività e la
riflessività dei ragazzi?
(settembre
2001)

 

                                                             
Per contattare
l’Autore, si può scrivere all’indirizzo e-mail
gtidon@tin.it
.

 

 

 

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filosofia e fisica

Dalla fisica contemporanea, nuove conferme delle antiche dottrine sapienziali d’Oriente, in questo contributo di Claudio Messori.

 

Il principio di equivalenza energia/tempo

di Claudio Messori

 

        Tchouang Tseu

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, nell’alternanza di stati rarefatti e stati condensati o, per essere più precisi, di processi rarefattivi e processi condensativi.

Come dice Tchouang Tseu, tredicesimo patriarca della tradizione taoista: L’uomo non è altro che un momento nella trasformazione dei fenomeni [….] Si è viventi per effetto di una mutazione, si muore per un altro mutamento […] Ogni nascita è un condensarsi, e ogni morte un disperdersi della materia. La nascita non è un guadagno, la morte non è una perdita […] Condensato, il Ki assume una forma (in sanscrito rupa); rarefatto, esso è il substrato dei mutamenti (in sanscrito nama).

Nel linguaggio della fisica contemporanea, l’alternanza di processi rarefattivi e condensativi, si traduce in una serie ininterrotta e multidimensionale di transizioni di fase,o transizioni di stato, dove la fase è il parametro che qualifica la dinamica di un fenomeno ovvero il suo andamento nel tempo, e lo stato è lo stato fisico correlato.

Il passaggio dallo stato liquido a quello gassoso o solido dell’acqua, così come il passaggio di un elettrone da un’orbita di risonanza ad un’altra in un atomo, corrispondono ad altrettante transizioni di fase, dove ad ogni fase o stato corrisponde un diverso livello energetico, una diversa configurazione vibrazionale e una diversa dinamica interferenziale.

I cicli circadiani e circannuali (l’alternanza del giorno e della notte, l’alternanza stagionale), così come le trasformazioni che accompagnano i processi fisiologici, piuttosto che la trasformazione di un processo fisiologico in processo patologico e viceversa, sono scanditi da transizioni di fase.

Quando la traiettoria descritta dal divenire di una entità fisica (e psichica) sta per essere deviata da una transizione di fase, per un istante il sistema stesso viene a trovarsi in uno stato al limite di fase, uno stato che la tradizione orientale chiama bardo, un punto di biforcazione oltrepassato il quale il sistema cambia, parzialmente o totalmente, in modo reversibile o irreversibile, la propria identità formale e/o vibrazionale.

L’acqua, per esempio, rimane sempre acqua, tanto allo stato liquido, quanto a quello solido e gassoso. Il punto di biforcazione che segna le sue ordinarie transizioni di fase dà luogo ad una trasformazione parziale e reversibile. Se però, con un semplice procedimento chimico di elettrolisi, separiamo i due atomi di idrogeno dall’atomo di ossigeno, che insieme compongono una molecola d’acqua, ecco che l’acqua cessa di esistere come tale. Questo ci suggerisce che non è sufficiente avere a disposizione due atomi di idrogeno e uno di ossigeno per ottenere l’elemento acqua. Bisogna che tra di essi si instauri un certo tipo di legame,e perché ciò avvenga gli atomi coinvolti devono poter interagire a determinate condizioni. Questo vale tanto per la formazione di una molecola d’acqua quanto per la formazione degli atomi che la compongono.

Un atomo, in effetti, è uno spazio pressoché vuoto, occupato in minima parte da elementi dotati di massa (i protoni e i neutroni del nucleo atomico e gli elettroni diffusi intorno ad esso) e in massima parte scosso da un sistema di interazioni mediate da quanti di energia, in particolare da fotoni, che mediano le interazioni elettromagnetiche agitandosi alla velocità della luce.

Fino a poco più di un secolo fa, i fisici ritenevano che l’atomo fosse il mattone fondamentale, irriducibile, di cui è composta la materia. Poi hanno scoperto un universo subatomico regolato da leggi proprie, molto diverse da quelle che regolano la dimensione ordinaria della materia. Hanno individuato varie famiglie di oggetti fisici elementari (particelle e anti-particelle) che, a differenza degli oggetti fisici congelati in un reticolo spaziale relativamente stabile come nel caso di un atomo di una molecola o di un sistema di molecole, si comportano come se apparissero e scomparissero incessantemente da una matrice fisica nota come continuum spaziotemporale, intrinsecamente costituita da una irriducibile compenetrazione delle tre coordinate spaziali con la coordinata temporale, tale per cui ogni modificazione dell’una modifica anche l’altra (teoricamente questo è vero anche in assenza di massa, come nel caso del fotone, ma di fatto la fisica considera questa relazione non irrilevante solo in presenza di masse enormi, come quelle in gioco nel campo dell’astrofisica).

Tuttavia, il significato attribuito al continuum spaziotemporale, elemento centrale del corpo teorico della relatività generale di Einstein, oltre ad essere insoddisfacente (non è in grado di comprendere la sua rilevanza in presenza di masse infinitesimali o in assenza di esse) di fatto non risolve ma anzi rende più stridente un dilemma mai veramente sopito: cos’è il tempo?

L’indice del flusso nella trasformazione degli eventi che assegna loro un passato un presente (mai presente) e un futuro? Il chronon, il tempo-durata dei genetisti che fissa il limite temporale entro il quale una funzione può essere esplicata (come il limite temporale entro il quale una data semenza deve essere interrata perché possa germinare)? Il tempo come sequenza di scansioni fatte di un prima e di un dopo? Il tempo percepito in funzione delle modalità della percezione? Il tempo assoluto in antitesi al tempo relativo? Il tempo che si dilata e si contrae in funzione delle dilatazioni e contrazioni spaziotemporali? Il tempo anterogrado di una particella elementare contrapposto al tempo retrogrado della sua antiparticella?

Negli ultimi anni si è fatta strada, in particolare ad opera dello statunitense Thomas E. Bearden (vedi: The Tom Bearden Website), un geniale e solido modello teorico e sperimentale (che ha già trovato applicazioni nella estrazione di energia dal vuoto quantistico, e prima ancora in ambito militare) entro il quale la definizione di tempo, ma anche di spaziotempo, di vuoto quantistico, di energia, di forza, di carica, di spin e di molto altro ancora, assume finalmente una connotazione non tautologica ma rigorosa, illuminante e soprattutto efficace: il tempo equivale ad energia (elettromagnetica) compattata nel dominio energetico del tempo in funzione del quadrato della velocità della luce (come lo è la massa ma nel dominio energetico dello spazio, in accordo con la nota equazione einsteniana, dove l’energia è data dal prodotto della massa per la velocità della luce al quadrato).

Thomas E. Bearden

A differenza della massa e dei fenomeni ad essa correlati che sono osservabili, il tempo come dimensione energetica non è osservabile a priori, nondimeno possiede una struttura e una dinamica energetica distinte da quelle esibite dal dominio dello spazio-massa.

Tutti i fenomeni fisici (e quindi anche quelli psichici) sono sistemi energetici termodinamicamente aperti orientati verso un punto di crisi (bardo) la cui struttura e la cui dinamica sono funzione del loro grado di appartenenza all’ambito dell’uno o dell’altro dominio energetico.

Ogni fenomeno fisico è variamente interessato da processi energetici legati alle transizioni di fase del momento angolare (spin) fotonico (fotoni polarizzati nel tempo/fotoni polarizzati nello spazio).

In particolare, l’induzione attiva delle trasformazioni energetiche intercorrenti tra il dominio del tempo e il dominio dello spazio, è legata (i) alla formazione di stati eccitati nell’uno e/o nell’altro dominio, (ii) al potenziale delle cariche coinvolte, (iii) nonché ai processi biunivoci di trasferimento e di decadimento energetico.

Il fenomeno mentale, ad esempio, è un fenomeno energetico appartenente alla categoria dei fenomeni energetici polarizzati nel tempo (va comunque detto che nessun fenomeno energetico appartiene esclusivamente all’uno o all’altro dominio, ma contempla sempre una parte anche solo virtuale dell’altro dominio).

La sua dinamica e la sua struttura gli consentono di interagire con il dominio dello spazio corporeo grazie alla costituzione di stati energetici eccitati e coerenti polarizzati nel tempo e interfacciati con stati energetici eccitati e coerenti polarizzati nello spazio. In entrambi i casi questi stati energetici si comportano come attrattori strani (caos deterministico) e come resistori negativi costituiti da una distribuzione di cariche di segno opposto in accoppiamento di fase e polarizzate in un caso nel tempo e nell’altro caso nello spazio.Gli attrattori o resistori negativi polarizzati nel tempo assorbono distribuzioni caotiche di energia elettromagnetica dal dominio dello spazio (corporeo), le trasformano in distribuzioni energetiche coerenti e le riemettono nel dominio dello spazio (corporeo). Gli attrattori o resistori negativi polarizzati nello spazio (corporeo) svolgono la stessa funzione ma in senso inverso.

Stando così le cose possiamo riscrivere il nostro enunciato iniziale nel modo seguente: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, nell’alternanza di processi energetici (elettromagnetici) polarizzati nel tempo e processi energetici (elettromagnetici) polarizzati nello spazio.

La tradizione indo-asiatica riassume questo dinamismo energetico universale nell’archetipo di tutte le antinomie, o coppie di contrari o coppie di cariche opposte, noto ai cinesi come YinYang. Il potenziale energetico implicato e dormiente nello YinYang principiale si fa manifesto e agente in un sussulto di autoriverberazione (il principio agente delle trasformazioni di fase) che innesca il ciclo ininterrotto di morti e rinascite (Samsara) orientate e animate dal Ki, il vettore sintropico delle trasformazioni energetiche. Il Ki, o Prana, o Pneuma, o Ruah, è veicolato dalla ri-sonanza (accoppiamento di fase) delle tre sillabe sacre hindù: OM il Padre, AH la Madre, Hum il Figlio, la triade energetica generatrice che prorompendo nel e dal grembo vacuo dello YinYang primordiale, L’Uovo Cosmico dei cinesi, produce il frastuono di un boato (rimbombo) il cui Suono si traduce in Spazio e la cui Eco si traduce in Tempo, la trama e l’ordito di una spirale ri-sonante di transizioni di fase energetiche.

Tutte le maggiori cosmogonie, e gran parte di quelle minori, condividono il corpo centrale di questa visione sull’origine dell’universo. Un fatto che non deve sorprendere, dal momento che tutte queste cosmogonie sono state concepite in seno alle prime generazioni di comunità stanziali delle pianure dedite all’agricoltura, e da quelle nomadi, dedite alla pastorizia e alla transumanza (intorno ai 40.000 anni fa, Paleolitico Superiore). Così come non sorprende che la Manifestazione discenda da una relazione primordiale potente e inquietante come quella che innescò la nascita psicologica di homo sapiens, e che l’Uovo Cosmico col tempo abbia sviluppato quattro prolungamenti, uno per ogni punto cardinale, trasformandosi ora nell’immagine teriomorfica di una tartaruga sacra, ora nell’immagine metallurgica di una croce fiammeggiante: il posto occupato da homo sapiens et faber nel teatro della manifestazione non può non essere orientato, così come non può rimanere privo di senso.

Il fatto che la fisica d’avanguardia oggi reinterpreti in chiave quantistico-relativistica la matrice spaziotemporale della manifestazione cambierà forse il nostro modo di orientarci, ma non aggiungerà nulla o punto al senso della nostra esistenza.

Claudio Messori

febbraio 2008

Per approfondimenti:

– Energy from the Vacuum, di T. Bearden, Signature Edition (visita il sito: www.cheniere.org/sales/buy-ev.htm)

– www.members.aol.com/scabala25/index.htm

– www.glafreniere.com/sa_phaseshift.htm

Dello stesso Autore:  

“la nascita psicologica dell’uomo”

L’Autore: attraverso lo studio critico e comparativo del pensiero occidentale e orientale, Claudio Messori propone nelle sue opere una definizione della dimensione fisica del fenomeno mentale, entro un quadro teorico e sperimentale ricavato dalla fisica delle particelle, dalla teoria dei campi elaborata nell’ambito della elettrodinamica quantistica, dalla teoria dei sistemi, dallo studio dei sistemi non-lineari, nonché dalla interpretazione della psiche umana in chiave junghiana, legata anche alla tradizione taoista, Vedanta, Zen e Dzogchen.

Nel 1996 pubblica un saggio dal titolo Caotica-mente. Guardando la mente con il filtro del caos, a cui fa seguito nel 2000 Il Sole e la Luna. Sulla natura dei simboli e della mente umana, entrambi editi dalla Casa Editrice FCE di Milano. Un terzo saggio, Le metamorfosi della meraviglia. Riflessioni sugli itinerari della conoscenza dall’Età del Bronzo ad oggi, esce alla fine del 2004 per la Maremmi Editori – Firenze Libri.

Claudio Messori è uno studioso di tecniche e discipline terapeutiche non convenzionali (shiatsu, micro massaggio e terapie psico-motorie estremo orientali, dry needling , coppettazione, pranoterapia), che utilizza nella sua attività professionale di terapista.

Per contattarlo: e-mail: homomundi@naisango.it

Il suo sito web: www.naisango.it

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Origini del Linguaggio Orale e della Schiavizzazione del Genere Femminile

 



Origini
del Linguaggio Orale e della Schiavizzazione del Genere Femminile

di
Claudio Messori

messori.claudio@gmail.com

ABSTRACT


 
    Partendo da una lettura in chiave
quantistico-relativistica della dimensione fisica in generale e di quella
psichica in particolare viene presentata una interpretazione
antropologico-junghiana dell’origine del linguaggio orale e del come, del
perchè e del quando il genere femminile è stato schiavizzato dal genere
maschile. Dai petroglifi o incisioni su pietra di Bhimbetka, India, datati
tra 290.000 e 700.000 Anni Fa, Paleolitico Medio- Inferiore, che sembrano
alludere ad una sintesi tra l’impronta cava di un capezzolo e gli
orifizi dei dotti mammari, al conflitto psichico tra femminile e maschile
espresso dal serpente nel simbolismo mitologico della più antica
raffigurazione dell’ouroboros tratta dal testo alchemico
egizio-ellenistico risalente a c. 4000 AF intitolato la Chrysopoeia di
Cleopatra
(l’alchimista), ciò che viene testimoniato è un lento
processo di individuazione psico-bio-logica che solo in tempi recenti
(circa 60.000 anni) portò alla costituzione del complesso psichico
relativamente autonomo e indipendente che chiamiamo funzione
epigenetica del reale
(pre-razionale e pre-verbale), o coscienza.
Con la costituzione della funzione epigenetica del reale le comunità
umane progressivamente cessano di essere il mondo per iniziare a interpretarlo
e a sentirlo in termini di soggetto e oggetto,
distinguendo se stessi dalla Natura e sviluppando l’abilità del fare
cultura. Lo sviluppo del linguaggio orale diviene una conseguenza della
crescente centralità dell’anima del fare cultura: adattare le forze
della Natura agli scopi umani. Da non più di 20.000 anni la potenza
generatrice della Parola entra in aperta competizione con la potenza
generatrice della Natura, legittimandola attraverso il battesimo
semantico, e con la potenza generatrice della donna, scaricandole addosso
le frustrazioni maschili vissute in rapporto ad un seno materno (La Grande
Madre Terra) percepito come non gratificante, minaccioso, mortifero,
imprevedibile, esigente.

     KEYWORDS: relazioni dinamiche
non-lineari, dimensione tensoriale, dimensione energetica, reti di spin,
volumi spaziotemporali, iterfaccia tra dimensione quantistica e dimensione
relativistica, accoppiamenti di fase, relazioni di interferenza,
interfacciamento neuro-bio-logico, animale culturale, processo di
individuazione psico-bio-logico, imaginifico, funzione epigenetica del
reale, coscienza, pensiero fonemico, dicotomia soggetto-oggetto,
rinascita, stabilità acustica, fonemi vocalici, coppia archetipica
maschile-femminile, battesimo semantico, identificazione simbolica
capezzolo-seno-pene:bocca-cavo orale-vagina.



Prolegomeno

 

    
Nella visione prospettata dalla elettrodinamica quantistica, e in
particolare dalla QED (Quantum Electrodynamic Field Theory), la realtà
energetica fondamentale viene descritta come una distribuzione
spazio-temporale di onde-particelle (oggetti quantistici intrinsecamente
ambivalenti noti come quanti, o insiemi di pacchetti di energia e impulso
capaci di manifestarsi sia come sistemi ondulatori che come sistemi
corpuscolari), denominata campo esteso o campo quantistico , una
distribuzione di perturbazioni di energia e di impulso associata a:
(1)due ordini di grandezza: a) l’intensità , data dal numero dei quanti
e dall’intensità delle loro frequenze unitarie di oscillazione, e b) la
modalità oscillatoria, rappresentata dalla fase, grandezza matematica che
fornisce il ritmo dell’oscillazione;
(2) due campi correlati: a) un campo di materia, associato alle
fluttuazioni spaziali dei quanti privi di carica, e b) un campo di onda,
associato alle fluttuazioni elettromagnetiche dei quanti dotati di carica;
(3) due regimi o stati correlati: a) un regime quantistico quasi-inerte o
stato quantistico di minima energia detto anche vuoto quantistico, dove le
uniche oscillazioni che lo attraversano, dette oscillazioni di punto zero,
non sono in grado di eccitarlo, e b) un regime quantistico eccitato,
agitato da moti di turbolenza torsionali e da flussi di energia e impulso
capaci di innescare le transizioni di fase che danno luogo alla
strutturazione della materia.



     Nella
prospettiva della QED la strutturazione della materia avviene per
accoppiamento di fase o risonanza oscillatoria tra le modalità
oscillatorie coinvolte nella perturbazione ed eccitazione del campo
quantistico.

    
In estrema sintesi: ogni varietà elettrodinamica (campi di materia
e campi di onda), termodinamica (gas, liquidi, solidi) e chimica
(inorganico, organico), corrisponde ad una configurazione oscillatoria
coerente (dominii di coerenza oscillatoria) sviluppata attorno ad una
frequenza fondamentale più i suoi armonici , mentre le transizioni tra
una varietà e un’altra corrispondono alla soppressione di certi modi
oscillatori o ritmi , che da esplicati diventano implicati, e alla
amplificazione di altri modi oscillatori che da implicati diventano
esplicati.

    
Le teorie dei campi dell’interazione del vuoto quantistico suggeriscono
che la vita biologica sia retta da una costante interazione tra la
distribuzione di energia e impulso localizzata nel sistema biologico e la
distribuzione spazio-temporale di onde-particelle di regioni specifiche
del sottostante campo o vuoto quantistico. Questa interazione può essere
descritta come segue. Il campo quantistico registra il comportamento e
l’evoluzione spaziotemporale (quantistico-relativistica; reti di spin;
volumi spaziotemporali) dei sistemi energia-materia (in questo caso
biologici) sotto forma di figure di interferenza formate da fronti
d’onda iterferenti compresi entro un dato spettro di frequenze di
oscillazione. Le figure di interferenza vengono memorizzate sotto forma di
frattali olografici accessibili a sistemi con una configurazione
stereodinamica isomorfa rispetto ai sistemi che hanno prodotto le figure
di interferenza. Dato che i fronti d’onda si sovrappongono in molteplici
dimensioni, il campo quantistico funziona come una interfaccia olografica
che conserva e trasmette informazione (= accoppiamenti di fase), mettendo
sistemi di dimensione diversa (quantistica/relativistica) e piani diversi
di strutturazione della materia in collegamento tra loro. Le strutture e i
sistemi biologici sono configurazioni stereodinamiche isomorfe attivamente
interfacciate con le figure di interferenza (del campo quantistico) che le
hanno generate.

 


Prima
Parte

 

L’UNIVERSO
IN UNA PROSPETTIVA QUANTISTICO-RELATIVISTICA

 


fig.1:
La Via Lattea.
 
La Via Lattea appartiene al Gruppo Locale, un piccolo gruppo di 3 grandi
ed oltre 30 piccole galassie, nel quale occupa la seconda posizione per
dimensioni (la prima è la grande Galassia di Andromeda) ma la prima per
massa. Poiché ci troviamo nelle regioni esterne di questa galassia, solo
circa 20 anni luce al di sopra del piano equatoriale ma a circa 27.000
anni luce dal centro galattico, si presenta come una striscia luminosa che
attraversa il cielo lungo il piano di simmetria, chiamato anche
“equatore galattico”. Il centro si trova in direzione della
costellazione del Sagittario, assai vicino al confine con le costellazioni
dello Scorpione e di Ofiuco. Le principali costellazioni attraversate
dalla Via Lattea sono: Perseo, Cassiopea, Cigno, Aquila, Sagittario,
Scorpione, Orione, Toro e Auriga.

 




 
    
L’Universo di cui facciamo parte è un universo di relazioni dinamiche
che descrivono due dimensioni fisiche distinte e coesistenti: la
dimensione relativistica o dimensione tensoriale (Teoria della Relatività
Generale, Teoria della Gravità Quantistica a Loop o a reti di spin,
Teoria del Campo Torsionale,
Teoria dei Twistor), e la dimensione quantistica o dimensione energetica
(Fisica Quantistica, Teoria Quantistica dei Campi, QED o Quantum
Electrodynamics Field Theory).

    
Nella dimensione tensoriale la Relazione e la Dinamica sono agenti fisici
(causa motrice) in potenza, sono autoreferenziali, sono irriducibili, sono
gli agenti fondativi del nostro Universo, sotto forma di loop
spaziotemporali o reti di spin sono tutto quello che c’è. Nella
dimensione energetica le relazioni e le dinamiche sono agenti fisici in
atto, sono epifenomeni derivati e riducibili.


    
Tanto la dimensione tensoriale quanto la dimensione energetica possono
trovarsi in due stati distinti: uno stato non eccitato e uno stato
eccitato. Nello stato non eccitato della dimensione tensoriale (stato
fondamentale) il potenziale relazionale e il potenziale dinamico restano
al di sotto di un limite soglia e non danno luogo a fenomeni perturbativi
in grado di sviluppare relazioni di interferenza tra gradienti di
potenziali.


    
Nello stato eccitato questa possibilità è assolta e dalle relazioni di
interferenza tra gradienti di potenziale (volumi spaziotemporali, reti di
spin) scaturisce il fenomeno energetico. Nello stato non eccitato della
dimensione energetica (stato quantistico di minima energia, oscillazioni
di punto zero) i potenziali relazionali e i potenziali dinamici restano al
di sotto di un limite soglia e non danno luogo a fenomeni perturbativi in
grado di sviluppare relazioni di interferenza tra modi oscillatori diversi
(accoppiamenti di fase, dominii di coerenza e di incoerenza oscillatoria).


    
Nello stato eccitato questa possibilità è assolta e dalle relazioni di
interferenza tra modi oscillatori diversi scaturisce il processo di
strutturazione del fenomeno energetico (processi di confinamento e di
localizzazione, stati rarefatti e stati condensati, energia-massa,
onda-particella).


    
Alla costituzione di diversi dominii di coerenza oscillatoria sono
associate diverse frequenze portanti che imprimono linee diverse al
processo di confinamento e di localizzazione degli oggetti energetici. A
frequenze portanti diverse corrispondono famiglie diverse di correlazioni
tra la dimensione tensoriale dei gradienti di potenziale (reti di spin) e
la dimensione energetica dei processi di confinamento e localizzazione
degli oggetti energetici (frequenze e ritmi di oscillazione).


    
Le famiglie di correlazioni si dividono in due grandi gruppi: un gruppo
orientato (polarizzato) in funzione del continuo spaziotemporale
(dimensione tensoriale) e un gruppo orientato in funzione della
tridimensionalità più il tempo (la dimensione energetica prevede due
stati energetici: energia rarefatta nel dominio del tempo, ed energia
compressa nel dominio dello spazio cioè massa). Il fenomeno biologico
occupa una posizione intermedia: da un punto di vista energetico è un
fenomeno che si mantiene (autopoiesi) al limite di fase tra ordine
(dominii di coerenza oscillatoria) e caos (dominii di incoerenza
oscillatoria); da un punto di vista relativistico si diversifica
(apprendimento e selezione) ricorrendo a strategie adattive basate su
correlazioni non energetiche (es.: entanglement).In altre parole il
fenomeno biologico integra il processo di confinamento e di
localizzazione
dell’oggetto energetico (che dà forma tanto alle
particelle subatomiche quanto alle galassie) con il processo di
individuazione
dell’oggetto biologico (che si contestualizza sotto
forma di autopoiesi). Il processo di individuazione è un processo
interattivo e non lineare basato sull’apprendimento, sulla selezione e
sulla diversificazione delle funzioni, da cui deriva la diversificazione
delle strutture e degli organismi. Il compito di mediare tra le esigenze
di ordine energetico (autorinnovamento) e le esigenze di ordine biologico
(autotrascendenza) è svolto dalla attività genica. Il compito di
interfacciare la dimensione quantistica con la dimensione relativistica è
svolto dal nucleo catalitico cellulare (microtubuli).


    
Nella linea zoologica il ruolo svolto dal nucleo catalitico cellulare
viene integrato dalla attività neuroelettrochimica. L’attività
neuroelettrochimica sviluppa e individualizza le possibilità e le
tendenze relazionali e dinamiche di interfacciamento tra la dimensione
tensoriale (sub e pre-energetica) e la dimensione quantistica
(energia-massa). Il risultato è ciò che chiamiamo sensazione,
percezione, immagine mentale.


    
In accordo con la spin-mediated consciousness theory di Maoxin Wu e
Huping Hu e con gli enunciati della psicologia del profondo di Carl Gustav
Jung, in particolare con la tesi dell’Unus Mundus, il fenomeno psichico
è un fenomeno fisico che scaturisce dalle relazioni e dalle dinamiche di
interfacciamento NEUROLOGICO tra la dimensione energetica e la dimensione
tensoriale. Fuori da queste relazioni e dinamiche ciò che chiamiamo
fenomeno psichico NON ESISTE. L’attività di interfacciamento
neurologico letteralmente FA (collasso della funzione d’onda)
l’oggetto psichico, e lo fa sotto forma di oggetto fisico privo di
massa, le immagini appunto, gli oggetti fisici del dominio
quantistico-relativistico.


    
Le tendenze e le possibilità relazionali e le dinamiche della linea
zoologica umana sviluppano una nuova attività di interfacciamento, che va
ad integrare quella del nucleo catalitico cellulare e quella
neuroelettrochimica trasformando l’oggetto psichico in pensiero:
l’attività psichica.


 

 

 

Seconda
Parte

IL
FENOMENO BIOLOGICO IN UNA PROSPETTIVA QUANTISTICO-RELATIVISTICA

 

 

fig.
2 :
Le
tre spirali

 

     Nella catena delle cause la variazione biofisica precede la variazione
biochimica, anche all’origine della vita. L’evoluzione biologica è la
storia del processo di integrazione e di individuazione a cui vanno
incontro le relazioni biofisiche e biochimiche che definiscono gli
organismi biologici. Queste relazioni non sono lineari ma caotiche (caos
deterministico).La strutturazione della materia organica e inorganica è
un processo dinamico non-lineare che avviene grazie all’interfacciamento
tra dimensione quantistica e dimensione
quantistico-relativistica.L’informazione è l’attività di ricombinazione
delle relazioni che intercorrono tra le disposizioni degli spin a livello
quantistico (spin= momento angolare e momento magnetico) e a livello
relativistico (spin= autodinamismo). I trasferimenti di informazione si
realizzano come fenomeni di interferenza. La formazione di configurazioni
dinamiche stabili avviene per accoppiamento di fase (risonanza).


    
Spesso quando ci riferiamo alle dinamiche dei fenomeni fisici confondiamo
l’informazione con la comunicazione, l’informare con il comunicare. E’ un
errore grossolano perchè comunicazione/ comunicare presuppone una
intenzione, una azione come conseguenza di un atto di volontà, mentre
informazione/informare riferite alle dimamiche dell’energia/materia NON
PRESUPPONE ALCUNA INTENZIONALITA’. Il processo di strutturazione
dell’energia e della materia (gas-liquidi-solidi;
inorganico-organico-biologico) non avviene affatto attraverso “scambi
di informazioni” (comunicazione) ma attraverso relazioni di
interferenza.


    
Con riferimento ai fenomeni fisici (i fenomeni psichici sono fenomeni
fisici particolari) il termine informazione/informare sta per influenzare,
condizionare (ma anche: essere influenzato, condizionato) lo stato di un
oggetto fisico e/o dell’ambiente attraverso l’interazione tra di
essi(livelli energetici, modalità oscillatorie, configurazioni di campo,
disposizioni tensoriali, etc.). Le coordinate che definiscono l’ambiente
possono essere tridimensionali/quadridimensionali,
quantistiche/relativistiche.Qualsiasi cosa possiate pensare, compreso il
pensare, i pensieri, le sensazioni, le emozioni, i gesti, le parole, hanno
una tracciabilità in termini di relazioni di interferenza.Su queste basi,
ad esempio, una delle scienze ausiliarie del Veda, il chandas , o scienza
della prosodia, distingue le differenti classi dei mantra secondo i ritmi
che sono loro propri, e che corrispondono alle diverse modalità
vibratorie dell’ordine non-locale (entanglement), che essi debbono
esprimere. Un mantra infatti, è un suono musicale o una parola, o una
sillaba o una serie di sillabe, che deve essere emesso con un preciso
ritmo, intonazione e intensità, perchè riproducendo un certo ordine
vibrazionale possa entrare in risonanza con certi stati dell’essere. E
così è per la recitazione dei sutra, per un certo ordine di gesti
(mudra) e per un certo ordine di figure simboliche (yantra, a cui i
mandala appartengono ).


    
Il fenomeno biologico terrestre è un fenomeno energetico autocatalitico
(si autoriproduce attraverso processi biofisici e biochimici
autoaccelerati non-lineari) e autopoietico (ridefinisce costantemente se
stesso e al proprio interno si sostiene e si riproduce).


    
I sistemi biologici sono sistemi energetici transienti termodinamicamente
aperti,cioè liberi di scambiare energia e materia con l’ambiente, la
cui esistenza dipende dalla loro capacità e possibilità di sfruttare una
fonte energetica esterna adeguata (biocompatibile).A differenza dei
sistemi energetici inorganici, che sono polarizzati nel dominio dello
spazio, i sistemi biologici sono polarizzati nel dominio del tempo, sono
sistemi transienti al limite di fase tra ordine e caos.


    
Negli animali ad organizzazione tissutale (invertebrati e vertebrati) la
differenziazione cellulare porta alla costituzione di cellule, tessuti e
organi specializzati (a) nel ricavare informazioni (= accoppiamenti di
fase) dalle variazioni chimico-fisiche (perturbazioni, variazioni di
stato, stimoli) provenienti dall’ambiente interno ed esterno, (b) nel
registrarne la rilevanza, e (c) nello stimolare l’organismo a reagire in
modo conseguente e consonante.


    
La funzione selettiva esercitata sui trasferimenti energetici dal nucleo
catalitico cellulare viene trasferita e amplificata nella costituzione del
foglietto ectodermico, dalla cui differenziazione embrionale originano
epidermide, tessuto nervoso e organi di senso. Nel processo non-lineare di
diversificazione filogenetica la cellula nervosa o neurone ricopre il
ruolo di unità recettoriale dell’individuo zoologico ad organizzazione
tissutale, la cui duplice funzione, selettiva sulle variazioni di stato e
di interfacciamento funzionale tra i sistemi tissutali innervati, affianca
ed integra la funzione esercitata dal nucleo catalitico cellulare sui
trasferimenti energetici. La differenziazione cellulare che porta alla
individuazione del neurone risponde alla richiesta filogenetica
(biforcazione) che ad un certo stadio della evoluzione (Cambriano) assegna
alla linea zoologica dei sistemi biologici un nuovo grado di libertà
nella relazione con l’ambiente: LA RELAZIONE COMPORTAMENTALE
NEURO-DIPENDENTE.


 



 

Parte
Terza

 

 Da
quando, come e perchè si è sviluppato il linguaggio orale e
da quando, come e perchè il genere femminile è stato sottomesso da
quello maschile. 

 

 

 


fig.3: L’ouroboros

Questa immagine dell’OUROBOROS è tratta dal testo alchemico
egizio-ellenistico risalente a c. 4000 AF intitolato la Chrysopoeia di
Cleopatra (l’alchimista). L’iscrizione all’interno dell’ouroboros
dice: Tutto è Uno – Uno è il Tutto. Questo serpente (conflitto
psichico tra femminile e maschile) è forse l’unico ouroboros per metà
bianco (maschile) e metà nero (femminile). L’analogia con le forze
opposte e complementari del noto simbolo taoista dello YIN-YANG è
evidente.

 




    
All’interno
della piramide di Unas in Egitto (c. 4000 AF), è scritto:

Un
serpente si intreccia con un serpente …

il
serpente maschio è morso dal serpente femmina,

il
serpente femmina è morso dal serpente maschio,

il
Cielo è incantato, la terra è incantata,

la
radice maschile del genere umano

resta
incantata.

  

    
Sulla base dei reperti paleoarcheologici sino ad oggi rinvenuti (datati
tra 20.000 e 700.000 anni fa), manufatti ricavati dalla lavorazione della
pietra e dell’osso ispirati all’uso paleoapotropaico della
raffigurazione della genitrice-nutrice femminile e dei suoi attributi
anatomici “vitali” capezzoli-vulva-seno (dai petroglifi o incisioni su
pietra di Bhimbetka, India, datati tra 290.000 e 700.000 Anni Fa,
Paleolitico Medio- Inferiore, che sembrano alludere ad una sintesi tra
l’impronta cava di un capezzolo e gli orifizi dei dotti mammari; alla
Venere di Tan Tan, Marocco, datata tra 300.000 e 500.000 AF, Paleolitico
Medio-Inferiore; alla Venere di Berekhat Ram, Israele, datata tra 230.000
e 500.000 AF, Paleolitico Medio-Inferiore; agli
abbondanti ritrovamenti
di statuette
esclusivamente femminili risalenti al tardo Paleolitico, tra cui: la
Venere di Hohle Fels di circa 35.000-40.000 AF; la Venere in osso di
Kostenky c. 30.000 AF; la Venere di Montpazier c. 30.000 AF; la Venere di
Dolni Vestonice c. 24.000-26,000 AF; la Venere di Willendorf c. 25.000 AF;
la Venere di Savignano c. 25.000 AF; la Venere di Moravany c.
22.000-24.000 AF; la Venere in pietra calcarea di Kostenky c.
21.000-23.000 AF; la Venere di Laussel c. 20.000-23.000 AF; la Venere di
Brassempouy c. 23.000 AF; la Venere di Lespugue c. 23.000 AF; la Venere di
Garagino c. 22.000 AF; la Venere di Malta c. 21.000 AF), e in base alla
ricostruzione dei flussi migratori umani intercorsi durante il Paleolotico
Inferiore-Medio e Superiore (una serie di asce in pietra, quarzo,
rinvenute a Creta e datate tra 130.000 e 800.000 AF attestano che già a
decorrere dal Paleolitico Inferiore-Medio forse Homo erectus e di certo
Homo Heidelbergensis costruiva imbarcazioni rudimentali per la navigazione
in mare aperto), possiamo affermare con ragionevole certezza che
l’essere umano diviene a tutti gli effetti un animale culturale solo
molto tardivamente nella storia dell’umanità, approssimativamente
intorno ai 60.000 AF (tardo Paleolitico). Al fine di fare cultura,
infatti, non è sufficiente ricorrere ad abilità ideative e manuali per
far fronte alla pressione ambientale o per ricercare e colonizzare nuove
nicchie ecologiche, così come non è sufficiente fare uso di modalità
espressive anche peculiari come la lavorazione paleolitica della pietra.
Il requisito essenziale per fare cultura è dato dal riconoscersi come
individualità distinte dal proprio ambiente, e questa nascita psicologica
è un evento giunto a maturazione solo verso la fine del Paleolitico, con
Homo Sapiens. Dopo un lungo processo di individuazione psico-bio-logica
iniziato almeno 1.200.000 anni prima con Homo Abilis e interamente speso
per l’assolvimento delle esigenze legate alla sopravvivenza e alla cura
della prole, in Homo Sapiens (e quindi da circa 200.000 AF in avanti) il
territorio psichico umano da indifferenziato quale era si scopre sempre più
differenziato dalla sedimentazione di un complesso psichico relativamente
autonomo e indipendente che chiamiamo funzione epigenetica del reale
(pre-razionale e pre-verbale). Le fasi di questo processo di
individuazione psico-bio-logico
possono essere ricapitolate nel modo
seguente. A fronte di esigenze pratiche legate alla sopravvivenza,
riproduzione e allattamento, oltre che in ragione di una età media
inferiore ai trent’anni e di un elevato tasso di mortalità infantile e
femminile post-partum, durante il lungo periodo di tempo pre-culturale il
procacciamento del cibo dovette essere una attività quasi esclusivamente
maschile, mentre la cura della prole dovette essere una attività quasi
esclusivamente femminile. In queste condizioni di assoluta precarietà, le
strategie adattive sulle quali la nostra specie animale potè contare
furono rigorosamente quelle prescritte dalle tendenze e dalle possibilità
filogeneticamente ereditate, prime fra tutte quelle legate alla facoltà
psico-percettiva e al modulo comportamentale imitativo. Nell’incontro con
la pressione ambientale, in un arco di tempo di ben oltre un milione di
anni, l’esercizio di queste tendenze e possibilità formarono capacità e
competenze adattive destinate al superamento della stereotipia
comportamentale.

 

fig.
4:
Bhimbetka
Petroglyphs, Daraki-Chattan Cupules, Auditorium Cave, India.
Lower
Paleolithic  (BeParietal stone carved, dated c. 290.000-700.00o BPfore Present)

Le tendenze e le possibilità filogeneticamente ereditate dalla
linea zoologica umana sono di due tipi:

  
1)
tendenze e possibilità relazionali e dinamiche legate a funzioni di
mediazione (ruolo svolto dalla attività genica e dalla attività
sensoriale e psico-percettiva) tra le esigenze di ordine energetico
(localizzazione-autorinnovamento) e le esigenze di ordine biologico
(individuazione-autotrascendenza);

  
2)
tendenze e possibilità relazionali e dinamiche legate a funzioni di
interfacciamento tra la dimensione quantistica e la dimensione
relativistica (ruolo svolto dal nucleo catalitico cellulare – microtubuli
-, dalla attività neuroelettrochimica e dalla attività
psico-percettiva).


     La
prescrizione e l’assegnazione filogenetica di tendenze e possibilità
relazionali e di dinamiche centrate sul ruolo svolto dalla attività
psico-percettiva e dal modulo comportamentale imitativo orienta la nostra
specie verso una crescente centralità del processo di individuazione
(psico-bio-logico), nella cui elaborazione sedimenta, sotto forma di coscienza,
una nuova e peculiare linea di strategie adattive e sovradattive basate
sulla attività immaginifica e relativamente distinta da essa: la
funzione epigenetica del reale
(pre-razionale e pre-verbale).

imaginifico
(termine introdotto da Anton Maria Salvini, 1653-1729), dal greco eidolopoios
o idolopeo, che produce immagini (gli oggetti
fisici privi di massa che assegnamo alla dimensione relativistica), è la
matrice filogenetica (quantistico-relativistica) che continua e continuerà
a nutrire la vita psichica dell’umanità, è il territorio originario
e distintivo del processo di individuazione psico-bio-logico della specie
umana, è il non-luogo e il non-tempo della produzione di immagini
psico-percettive
e della eccedenza di senso, che per migliaia
di generazioni, molto prima di trasformarsi in materiale psichico
inconscio e conscio
, in simboli e in significati, dominò
incontrastato sulle dinamiche della vita relazionale degli individui e
delle comunità umane. Con la costituzione di quel complesso psichico
relativamente autonomo e indipendente che chiamiamo funzione epigenetica
del reale (pre-razionale e pre-verbale) il mondo cessa di essere solo
vissuto per essere anche interpretato. Psicologicamente la possibilità di
interpretare il mondo equivale ad uscire fuori da una relazione di
continuità con l’ambiente esterno e interno (psichico) per proiettarsi
nell’al-di-là, in un tempo e in uno spazio fatti a misura della
interpretazione del mondo e di sé. Nel fare un Io distinto da un Altro
dall’Io il mondo viene così scisso in un soggetto-Io che osserva e un
oggetto-Altro dall’Io che viene osservato, in una tesi e una antitesi.
La dicotomia soggetto-oggetto è la fonte primigenia delle antinomie,
ovvero delle coppie di contrari che rimandano ad una relazione polare
(tensione psichica) tra una tesi (ciò che posso vedere) e una antitesi
(ciò che non posso vedere). Da quando gli esseri umani iniziarono a
pensare e a sentire il mondo in termini di soggetto e oggetto (e cioè da
circa 60.000 AF in avanti), distinguendo se stessi dalla Natura (funzione
epigenetica del reale=coscienza) e cessando di identificarsi con essa , le
comunità umane svilupparono anche l’abilità del fare cultura. Recando in
sè la possibilità di scegliere a quale spazio e a quale tempo attenersi,
l’esercizio della coscienza (funzione epigenetica del reale) feconda il
mondo dando vita a nuovi mondi, e feconda l’individuo dando vita a nuovi
individui. Infatti, porsi di fronte alla natura conoscendosi ANCHE come
distinti da essa corrisponde a nascere una seconda volta, cioè a
ri-nascere. Il motivo della rinascita permea di sè tutte le culture umane
e si autoalimentò, sistematizzandosi (in-formandosi), nella nascente (tra
60.000 e 20.000 AF) produzione linguistica (per uso rituale e supportata
dal canto sillabico delle sciamane) e nel neonato pensiero fonemico
(pre-verbale).

    
Filogeneticamente gli organi e gli apparati che partecipano alla fonazione
sono nati tutti per scopi diversi dalla vocalizzazione o dal canto. Nel
corso dell’evoluzione gli organi della produzione del fiato si sono
costituiti per approvvigionare i polmoni di aria; la laringe è comparsa
nei Mammiferi come saracinesca fra il mantice e l’ambiente esterno; il
condotto vocale corrisponde alla prima parte del canale alimentare; gli
organi dell’articolazione della parola hanno come funzione primaria quella
di masticare; le cavità di risonanza nasale corrispondono alle prime vie
respiratorie mentre il velo palatino ha il compito principale di impedirvi
il riflusso del cibo. La fortuna della laringe umana come organo della
parola e del canto dipende dal fatto di trovarsi in fondo a un tubo di
risonanza, variabile per lunghezza, forma e volume: la prima parte del
canale alimentare. Le labbra, infatti, senza un risonatore adatto a
modulare i suoni possono produrre soltanto pernacchie. Con il passaggio
dal quadrupedismo alla stazione eretta il canale vocale si è piegato ad
angolo retto dividendosi in due grandi cavità di risonanza: la bocca e la
gola. Se le manovre di labbra e lingua messe in atto dal neonato per
poppare vengono effettuate durante l’emissione della voce, le cavità di
risonanza ne risultano modificate e i suoni che le attraversano subiscono
modulazioni così accentuate da poter essere usati come segnali di
comunicazione nel linguaggio. Quando a questa capacità del condotto
vocale si somma l’attitudine della laringe a produrre note nell’ambito di
almeno due ottave, l’essere umano si trova in gola, pronto all’uso, lo
strumento musicale più flessibile ed espressivo di quanto la sua tecnica
mai riuscirà a produrre. Queste condizioni consentono all’uomo la
produzione spontanea e senza sforzo di suoni distinti e costanti. Basta,
infatti, per esempio, spingere in avanti o retrarre completamente la
lingua durante l’emissione di un suono per ottenere, anche senza volerlo,
una I e una U. A questo riguardo il comportamento delle corde vocali non
è dissimile da quello delle labbra che, benché formatesi per succhiare
il latte e trattenere i liquidi , sotto una pressione di fiato adeguata
possono di volta in volta produrre pernacchie o suonare uno strumento a
fiato. La voce percorre il canale vocale, e questo che nella faringe ed in
bocca si allarga nelle due ampie cavità di risonanza bocca-gola ne
amplifica regioni di frequenza diversa a seconda dell’ampiezza e della
forma che il comportamento articolatorio impone loro di volta in volta. Le
vocali non sono altro che modulazioni timbriche del suono glottideo
generato dalla laringe, mentre le consonanti sono costituite
principalmente da modulazioni transitorie delle vocali, ottenute con
variazioni ulteriori e di brevissima durata, nella forma del canale
vocale, date dalle occlusioni articolatorie. Affinché un sistema di
segnali possa essere usato come codice in modo economico occorre
innanzitutto che questi (i segnali) siano distinti ed invariabili. Occorre
cioè che, come si richiede ai segni vocali, essi siano dotati di stabilità
acustica
. I segnali vocalici emessi dall’uomo soddisfano a questa
esigenza e si dividono in due suoni vocalici fondamentali, la U (suono
chiuso, espirato) e la E (suono aperto, aspirato), e tre suoni vocalici
sussidiari, la A, la I e la O (suoni neutri, respirati). Il linguaggio
orale umano poggia sulla articolazione e modulazione glottidea di tre
triplette di suoni vocalici U,E,A/U,E,I/U,E,O, sommati alle occlusioni
consonantiche ottenute con gli atteggiamenti articolatori. Il cantato di
queste vocalizzazioni è conosciuto come canto armonico o throat singing,
il canto apotropaico degli sciamani.


 

fig.
5:
The
Tan-Tan Venus,
Morocco,
dated

c. 300.000-500.000 BP

 

   Nei
mammiferi umani gli archetipi psicologici dell’immaginifico assegnano una
valenza femminile a ciò che è introflesso (con-cavo, centripeto) ed una
valenza maschile a ciò che è estroflesso (con-vesso, centrifugo). Ai
fini dell’atto riproduttivo il genere femminile e il genere maschile
formano i due fattori fondamentali dalla cui compenetrazione scaturisce la
relazione-unione che genera la vita, secondo lo schema: la concavità
accoglie la convessità / la convessità penetra la concavità; il
femminile accoglie la relazione (genitrice) / il maschile la feconda; nel
femminile prevale la forza dell’accogliere / nel maschile prevale la forza
dell’agire. L’importanza di queste associazioni archetipiche sul
divenire delle dinamiche comportamentali umane è cruciale sin dagli
albori della nostra specie. Tra la fine del Paleolitico e la fine del
Neolitico (tra circa 30.000 e 10.000 AF; tra la fine della cultura totemica e la fine della cultura megalitica) 
il progressivo affermarsi della
funzione epigenetica del reale (su basi magico-simboliche) e del pensiero
fonemico ( per scopi rituali) nella organizzazione sociale e nella
produzione culturale delle comunità umane imprime una svolta epocale alla
evoluzione delle produzioni culturali e delle organizzazioni sociali
successive. Durante questo periodo si assiste da un lato ad una
radicalizzazione dell’affrancamento delle comunità dalla primordiale
identificazione con la Natura, a vantaggio di una sempre più incisiva
competizione con le forze della Natura finalizzata alla loro
addomesticazione, e dall’altro lato assistiamo ad un progressivo
affinamento delle strategie e delle tecniche impiegate per
l’approvvigionamento di cibo. La diffusione della coltivazione
cerealicola e dell’allevamento di bestiame innesca un processo di
diversificazione della organizzazione sociale e di reinterpretazione dei
ruoli sociali. L’importo di energia psichica (libido) guadagnato con la
crescente stabilizzazione del soddisfacimento alimentare viene in parte
sottratto all’assolvimento delle esigenze legate alla riproduzione ed
utilizzato per funzioni eminentemente sovradattive, in primo luogo per la
produzione linguistica e per la elaborazione e la differenziazione della
produzione culturale adesso sì protesa verso il pensiero logico-astratto
e verso l’uso sociale della parola.

 


 

 fig.
6: Flussi migratori umani tra 200.000 e 4.500 AF

    


Da circa 15.000 anni (cultura megalitica) il motivo della rinascita si
contestualizza nell’alveo del Logos introducendo una gerarchia semantica
del reale secondo cui: la Natura crea ma è solo con il battesimo
semantico che il creato viene riconosciuto come reale. La potenza
generatrice della Parola (ruah, pneuma, soffio, anima/animus, prana, c’hi)
entra così a pieno titolo in aperta competizione
con la potenza generatrice della Natura e la tradizione sciamanica passa
dalle mani della donna a quelle del maschio, prima Signore degli Animali,
poi Signore delle Anime, oggi Signore degli Atomi. Sul piano psicologico
questo sovvertimento semantico-culturale dell’ordine naturale si traduce
in una reinterpretazione della naturale attitudine femminile
all’accoglienza e di quella maschile all’azione, con ricadute drammatiche
sul futuro delle donne. La naturale potenza generatrice della donna viene
associata alla potenza generatrice della Natura e sottoposta ad una
radicale e sistematica operazione di addomesticamento e sottomissione. La tensione psichica tra la radice femminile (anima) e la radice maschile (animus) che alberga in ogni essere umano si trasforma in conflitto psicologico assumendo le sembianze del serpente,
e il genere maschile si autoproclama padrone della Donna-Natura
consegnandosi alla storia nelle vesti dorate di prigioniero del suo stesso
incanto: tramite l’identificazione simbolica capezzolo (seno)= pene e
bocca (cavo orale)= vagina, vengono scaricate sulla donna le frustrazioni
maschili vissute in rapporto ad un seno materno (La Grande Madre Terra)
percepito come non gratificante, minaccioso, mortifero, imprevedibile,
esigente.

    
La bocca che accoglie il capezzolo per la suzione emette anche il suono
per la fonazione; lo Spirito entra dalla bocca e ingravidando
l’intelletto ne esce sotto forma di parola che legittima il mondo; il
pene entra nella vagina e ne esce sotto forma di creatura. Il maschio crea
attraverso la bocca. E con l’invidia dell’utero il cerchio si chiude. Il
re è nudo: l’oroborus metà bianco (maschile-convesso) e metà nero
(femminile-concavo) riunisce la bocca (vagina) che accoglie la coda (pene)
e la coda che penetra la bocca generando al proprio interno (Utero-Logos)
il frutto dell’incanto maschile. Uno è il Tutto, Tutto è Uno, genere femminile a parte.


    
Cosa ne sarà di questo incanto adesso che le abili mani della scienza
concepita al maschile penetrano l’utero femminile con gli strumenti
salvifici della inseminazione artificiale?






“Tutto nella donna è enigma


e
tutto nella donna


ha
un’unica soluzione;


questa
soluzione si chiama gravidanza”.


(F.
W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

Claudio
Messori

messori.claudio@gmail.com

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 



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– Vitiello G. Quantum
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– Schneider M. Gli animali
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– Eliade M. Lo Sciamanismo e
le tecniche dell’estasi
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– Eliade M. Trattato di storia
delle religioni
. Bollati Boringhieri 1999, Torino, Italia.

– Eliade M. Storia delle
credenze e delle idee religiose. Dall’età della pietra ai Misteri
Eleusini
. Vol. I, Sansoni Editore 1999, Firenze, Italia.

– Stanley
S. M. Children of the Ice Age. W. H. Freeman and Company 1998, New
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– Salza A. Ominidi. Uomini e
ambiente tre milioni di anni fa. Nuove scoperte.
Giunti Ed. 1999,
Firenze, Italia.

 


Uberti M. Vocalizzazione ed evoluzione, in:


Albano B. I King. Dalla geometria vibratoria dell’Universo alla
chiave dell’agopuntura.
ECIG 1989, Genova, Italia.



 

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A passeggio nel barocco ibleo



 

Viaggio
fotografico attraverso alcuni luoghi del barocco ibleo

di
Pippo Palazzolo

Vi offro le immagini fotografiche raccolte nel corso
di alcune mie passeggiate a Ragusa e Modica, che hanno come soggetto i
balconi, con dettagli delle suggestive figure, e le chiese del barocco ibleo.

 

 

 

I balconi…

 

 

 

un puttino…
 
una madre con il
figlio…
 
una cariatide…
   
l'”intellettuale”…

il dubbio…


 
 
 

 

 

l’amore
   

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

Dopo il devastante terremoto dell’11 gennaio
1693, la Sicilia sud-orientale fu ricostruita quasi interamente. 

La
possibilità di edificare senza particolari vincoli, permise quindi di
progettare le città, a partire dall’impianto urbanistico, nel più puro stile
dell’epoca: il barocco.

Palazzi nobiliari e chiese, edificate in quel
periodo, rappresentano splendidi esempi di architettura tardo barocca, come a Noto,
Palazzolo Acreide, Scicli, Modica, Ragusa, Militello Val di Catania,
Caltagirone, Catania, comuni recentemente dichiarati dall’Unesco patrimonio
culturale dell’Umanità
.

 

 

foto di Pippo Palazzolo

e
le chiese…


 

vai a “Immagini
della Sicilia”

 

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Editoriale Novembre 2004

Editoriale
Novembre 2004

 

Stati Uniti: quale futuro?

 

     Credo che la rielezione di George Bush
non ci debba sorprendere più di tanto. La maggioranza del popolo americano, tornato massicciamente a votare, ha espresso
chiaramente un sentimento comprensibile: PAURA. Dopo l’11
settembre, gli americani vivono un senso di insicurezza forse non paragonabile
ad altri periodi della sua storia. E la paura genera il bisogno di una forte
identificazione, di indiscutibili valori condivisi (Dio, Patria, Famiglia), di
semplificazioni valutative (amico/nemico, bene/male). Forse il problema
centrale, negli USA, è la difficoltà della gente di rappresentarsi il mondo, al di là
delle immagini che gli propongono i “media”. Non è un caso che
l’americano medio sia sorpreso di fronte alla scoperta che nel mondo ha
più nemici che amici e si chieda: perché? I mass-media, anche in assenza di
un vero e
proprio monopolio, non sono certo i migliori informatori dell’opinione pubblica
americana, nonostante la presenza di una grande tradizione giornalistica
di informazione e denuncia. Non è difficile
immaginare che l’americano medio abbia poche possibilità di entrare in
contatto con le immagini shoccanti della fame, delle misere condizioni di vita
in tanta parte della Terra, delle devastanti conseguenze dei bombardamenti a tappeto sulle
“città dei terroristi”. Quale rappresentazione del
mondo può nascere da migliaia di ore trascorse davanti a canali televisivi commerciali,
pieni di “spot pubblicitari” e “reality show”?

     Johan Galtung*, nel 1999,
fece un’interessante previsione: entro 25 anni
l’impero americano sarebbe crollato. Dopo la prima elezione di Bush jr., ridusse tale
termine a 20 anni. Questo grande studioso norvegese basa
le sue previsioni su un’attenta analisi sistemica, fondata sulla teoria delle sinergie delle
contraddizioni sincronizzate
, già verificata precedentemente. Infatti, nel
1980 egli rilevò che l’Unione Sovietica presentava cinque forti
contraddizioni, che l’avrebbero portata al crollo al massimo entro dieci
anni: dopo 9 anni e 10 mesi, nel 1989, ci fu il Crollo del Muro di
Berlino, con tutto ciò che ne seguì. 

    
Nel mese di giugno di quest’anno, lo stesso Galtung, in una conferenza a
Roma, ha presentato le sue nuove valutazione sulle prospettive dell’
“impero americano”. Secondo Galtung, gli USA presentano oggi ben
15 contraddizioni sincronizzate (vedi in dettaglio sul suo sito
www.transcend.org),
che possono avere, entro 15 anni, solo due sbocchi: o  un improbabile
tentativo, nella fase finale, di imporre una dittatura mondiale o un
recupero di razionalità e senso della realtà, che potrà far reinserire
gli USA nel novero dei Paesi “normali”, rispettosi degli altri
popoli, senza più deliri di onnipotenza. 

    
Il primo compito dei veri amici degli americani, diventa così soprattutto
quello di informarli, dicendo loro la verità sulle troppe cose che
ignorano, in particolare della loro politica estera. 

Pippo
Palazzolo

Novembre
2004

*
Johan Galtung è fondatore dell’International Peace Reserch Institute. Docente
di Studi sulla Pace all’Università delle Hawaii, Galtung è anche direttore
del programma ONU Transcend, che si pone l’obiettivo di risolvere in modo
nonviolento i conflitti. Ha ricevuto il Premio Nobel alternativo per la
Pace nel 1987 ed è autore di una vastissima produzione sulle possibilità
di risoluzione nonviolenta dei conflitti. Alcuni dei suoi libri sono stati
pubblicati in italiano dalle edizioni del Gruppo Abele ed Esperia.

 

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Dall’Atlante agli Appennini

Recensione del libro di Maria Attanasio “Dall’Atlante agli Appennini”

 


 

 


“Dall’Atlante agli Appennini” di Maria
Attanasio – Presentazione a Modica, domenica 30 novembre 2008, ore 18.00,
presso Hotel Failla, dallo scrittore e poeta Diego Guadagnino

 Ad
un secolo dalla scomparsa di De Amicis, la scrittrice calatina rivisita
uno dei racconti del libro Cuore

 di Giuseppe Nativo

 

    
“La lunga fila di migranti si
concentra in un denso e caotico stormo; si slanciano tutti insieme
correndo sull’imbarcazione, che nell’impatto si schianta in un groviglio
di corpi e assi di legno galleggianti; un ragazzino claudicante e una
senegalese… rimangono travolti; i corpi sono deposti poco lontano sulla
spiaggia
”.


    
“La testa di Youssef ciondola sulla spalla di Sidi Habibi seguendo
l’oscillazione sempre più forte del peschereccio; il rullio si confonde
con quello del camion che un mese prima dall’aeroporto di Tunisi lo ha
portato a Tripoli: un continuo dondolio di teste e gambe tra improvvisi
sobbalzi nella strada accidentata. Un sonno a brandelli
…”.

    
Non deve essere stato tanto facile per il piccolo Youssef intraprendere un
viaggio molto pericoloso e difficile per la sua età. Youssef non fa certo
parte di quel mondo cellofanato delle merendine o delle scarpette griffate
cui si sofferma spesso la comunicazione per l’infanzia. Fa parte di un
altro universo, quello di chi si deve guadagnare la vita con fatica e
dolore e, quotidianamente, prova sulla propria pelle la carezza del freddo
pungente, il selciato sotto la schiena, l’umidità, l’incertezza che piova
da un momento all’altro, la paura di svegliarsi derubato. Quello di
Youssef è quasi un mondo a parte, quello degli immigrati, che ruota
attorno a quelle persone molto spesso emarginate da una società ricca di
valori vuoti nella loro intima essenza. Un mondo che per raggiungerlo e
toccare con mano è necessario attraversare il “mare aperto” di un “blu
senza scampo” “che a poco a poco si fa nero”. Un mare notturno dove
l’orizzonte è dipinto nel cuore di Youssef, giovane marocchino alla
ricerca della propria mamma di cui da troppo tempo non ha notizie. Di qui
la ferma decisione di intraprendere il viaggio verso quell’isola
sconosciuta chiamata Sicilia. E’ attorno a Youssef che ruota l’intero
intreccio narrativo proposto dalla scrittrice calatina Maria Attanasio
nella sua recente fatica letteraria dal titolo “Dall’Atlante agli
Appennini” (Orecchio Acerbo Ediz., 2008, pp. 112).

    
Si tratta di un racconto bello, coraggioso, gravido di tante domande che
portano, inevitabilmente, a tante riflessioni, ma anche un’occasione di
rilettura e rivisitazione, in chiave moderna, di alcune delle pagine più
amare di De Amicis – a cento anni dalla sua scomparsa – “Dagli Appennini
alle Ande”, uno dei più celebri “racconti mensili” incastonati nel volume
che ha rappresentato il “diario scolastico” di una nazione, il libro
“Cuore”. Nella scrittura dell’Autrice si rileva l’impegno civile, la
cocente rabbia davanti all’ingiustizia, ma soprattutto emerge dirompente
la capacità di descrivere, raccontare, di rendere tangibile, il problema
epocale delle migrazioni, i drammi che ne scaturiscono, lo strappo
violento dalla propria cultura, famiglie smembrate, spesso alla deriva,
alla ricerca di una terra lontana dal suolo natio.

    
Ma se titolo, trama, personaggi,
presentano un richiamo esplicito all’epopea ottocentesca del piccolo Marco
di deamicisiana memoria, “Dall’Atlante agli Appennini” è un tuffo
spregiudicato e disinibito nella contemporaneità. Il penultimo racconto
mensile del “Cuore” racconta l’odissea di Marco, “un ragazzo genovese di
tredici anni, figliuolo d’un operaio” che parte da solo per l’Argentina
alla ricerca della madre, domestica presso una ricca famiglia del posto,
di cui non si hanno notizie da molti mesi. Maria Attanasio, che,
magistralmente, ha sempre coniugato l’invenzione narrativa alla ricerca
storica (“Correva l’anno 1698 e nella città avvenne un fatto memorabile”
1994; “Di Concetta e le sue donne”, 1999; “Il falsario di Caltagirone”,
2007), va dritta al cuore del dramma dei clandestini – partiti mille volte
per sfuggire alla miseria e alla malasorte della loro anima peregrina –
attualizzando la problematica della ricerca disperata e dell’esodo forzato
mettendo al posto del ragazzino ligure un suo coetaneo marocchino nell’era
“apocalittica della globalizzazione”, della tragica erranza degli ultimi
verso mete che molto spesso si rivelano pure illusioni.

    
Così, spiega l’Autrice, “Marco è
diventato Youssef, il suo paese non è ai piedi dell’Appennino ma
dell’Atlante marocchino, l’Eldorado non si chiama Argentina ma Italia”.
Youssef, dopo un fallito tentativo di raggiungere l’Italia dalla Spagna,
si imbarca in Libia su una sorta di traghetto della vita e della morte,
che è insieme arca di Noè e vascello di Caronte. La partenza si rivela
subito una tragedia per alcuni che restano travolti dalla massa
incontrollabile dei clandestini in cerca di un posto. Giunto in Sicilia,
quasi come un naufrago privo di identità, Youssef perde il suo nome
diventando Giuseppe, “nome che risolutamente rifiuta, rivendicando per sé
quello di Marco, come il protagonista di una fiction italiana per ragazzi
che aveva visto alla televisione”. Nel suo lungo peregrinare per la
Penisola, nel desiderio irrefrenabile di ricongiungere il proprio cuore a
quello della propria madre Youssef incontra tanti suoi “paesani”. Pagine
disperate il cui grido di accoglienza, di giustizia sociale, bussa al
cuore del lettore che è condotto in full immersion nella narrazione per la
quale l’Autrice sente l’esigenza dirompente di raccontare non “una”
storia, ma “la” storia proposta, scrive Maria Attanasio, “per conforto di
speranza; di giustizia realizzata. Che non c’è, ma ci può essere. Perché
nel racconto anche la vita che non è, prende la parola e si fa vita”.

    
E di ciò si è fatta interprete l’Autrice con il suo “cunto” inframmezzato
di immagini, sorta di flash gravidi di laceranti pensieri disegnati, che
scandiscono il testo e che fanno breccia nell’animo del lettore attraverso
la tecnica a carboncino del disegnatore Francesco Chiacchio.



Giuseppe Nativo


Ragusa, novembre 2008


 

  


Maria Attanasio

 


L’Autrice

    
Maria Attanasio nasce a Caltagirone, dove ha svolto l’attività di
insegnante e dirigente scolastico. Inizia a pubblicare nel 1979 con
“Interni” (pubblicato nell’antologia dei “Quaderni della Fenice”). La
silloge “Nero barocco nero” 1985 segna il suo debutto nel campo della
poesia. Seguono “Eros e mente” (1996) e “Amnesia del movimento delle
nuvole”  2003. Redattrice della rivista “Tabella di marcia”, ha
collaborato a diversi periodici (“Gobold”, “Nuovi Argomenti”, il
quotidiano “La Sicilia”). La prima prova nel settore della scrittura
narrativa arriva nel 1994, quando pubblica per Sellerio “Correva l’anno
1698 e nella città avvenne un fatto memorabile”. Nel 1997 pubblica piccole
cronache di un secolo”, un libro di racconti ambientati nel XVIII secolo,
scritto insieme al conterraneo Domenico Amoroso. Nel 1999 è la volta del
bellissimo racconto ”Di Concetta e le sue donne”, con cui da vita al
personaggio di una donna (Concetta) immersa in un frammento di storia
civile e politica della Sicilia di un tempo. Con “Il falsario di
Caltagirone. Notizie e ragguagli sul curioso caso di Paolo Ciulla”.
L’autrice cerca di gettare luce su uno dei tasselli di memoria popolare
del calatino: il “curioso caso”, ancora vivo nell’immaginario collettivo
delle vecchie generazioni, di Paolo Ciulla che nasce a Caltagirone nel
1867 e finisce i suoi travagliati giorni nel 1931 nell’Albergo dei Poveri
Invalidi, “passando per la rivoluzione, l’arte, il manicomio e la galera”
Il personaggio di Ciulla si rivela come una sorta di Robin Hood, un
leggendario amico dei poveri che pone al servizio del popolino la sua arte
di pittore, la sua perizia di fotografo, il suo impegno sociale a difesa
degli oppressi. Con questo libro ha ricevuto il Premio Elio Vittorini. 
Nel 2008 pubblica il libro per ragazzi “Dall’Atlante agli Appennini” una
rivisitazione in chiave moderna del libro di De Amicis “Dagli Appennnini
alla Ande”. Con questo racconto riceve il Premio Martoglio 2008.


 

 

 

 

 

difendiamo la democrazia e la Costituzione



“De l’esprit des loix”, di Montesquieu,
Ginevra, 1748

Fra i
primi firmatari, Gustavo Zagrebelsky e Umberto Eco

 



Appello di “Giustizia e Libertà” in difesa della
democrazia e della Costituzione: Rompiamo il silenzio

 


Charles-Louis
de Secondat, barone de La Brède e de

Montesquieu (La
Brède, 18.1.1689 – Parigi, 10.2.1755)


Editoriale


Prima che sia troppo tardi

di
Pippo Palazzolo

 

   
Alla vigilia
delle elezioni del 13 aprile 2008, sentii la necessità di scrivere delle
riflessioni sull’importanza di andare a votare, considerato che la
situazione richiedeva l’impegno di tutti i cittadini democratici. Scrissi,
in particolare, che il pericolo era che vincesse un partito “personale”,
il cui leader avrebbe potuto anteporre i propri interessi particolari a
quelli della collettività

(vedi).

   A
meno di un anno di distanza, si sono già verificate diverse delle ipotesi
più pessimistiche di allora e mi ritrovo a sentire il bisogno di fare un
nuovo appello ai lettori, perché si mobilitino contro quello che mi sembra
essere un attacco devastante alle fondamenta stesse del nostro sistema
democratico e liberale.

   
Infatti, nell’arco di meno di dieci mesi, il Governo Berlusconi (o,
meglio, il Governo di Berlusconi):

bullet

  ha
espropriato il Parlamento (nel quale, peraltro, ha una solidissima
maggioranza) della sua funzione legislativa, utilizzando la
decretazione d’urgenza
e il voto di fiducia per
imporre senza discussioni le sue scelte meno popolari, indigeste anche
ai suoi stessi parlamentari;


bullet

  
ha imposto, per lo più per motivi economici, una “riforma” della scuola
che sembra un preludio ad un vero e proprio smantellamento
dell’istruzione pubblica
, ignorando tutte le proteste che
coralmente si sono levate da parte di chi nella scuola ci vive;

bullet

   
si è messo preventivamente al riparo da ogni rischio giudiziario, grazie
al c.d. “lodo Alfano”;

bullet

  
ha concesso alla Lega Nord una legge sul federalismo fiscale e diversi
provvedimenti dal carattere apertamente razzista (dalle
impronte digitali per i bambini rom all’obbligo per i medici di
denunciare i pazienti “clandestini”);

bullet

  
ha subordinato la laicità dello Stato a tutte le richieste
provenienti dal Vaticano e dalla parte più reazionaria del mondo
cattolico, ricevendone in cambio aperto appoggio.

   
Ieri, però, è avvenuta una accelerazione del processo di distruzione dello
Stato di diritto: sfruttando l’onda di emotività che attraversa il Paese
per il “caso Eluana”, Berlusconi ha sfidato deliberatamente il Presidente
della Repubblica, presentando un ulteriore e ipocrita decreto-legge
incostituzionale, che potrebbe trascinare l’Italia ad un punto di rottura 
degli equilibri istituzionali. Così spera, probabilmente, di trovare una
giustificazione al suo tentativo di uscirne con una soluzione
“bonapartista”, come ipotizza  oggi Ezio Mauro (
vedi).

   
Sappiamo, almeno a partire da Montesquieu (1748), che un moderno Stato di
diritto si fonda sulla separazione e il bilanciamento dei tre poteri
fondamentali dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Solo il
corretto esercizio di ciascuno di essi, svolto nei limiti fissati dalla
Costituzione, può garantire la vita di un sistema politico democratico e
liberale. Quando, al contrario, uno di tali poteri cerca di esautorare gli
altri, lo sbocco inevitabile è la perdita dei diritti di libertà dei
cittadini, fino ad arrivare a governi autoritari o apertamente tirannici.

   
Ed è quello che, oggi, concretamente rischiamo. Berlusconi, forte del suo
enorme potere mediatico, minaccia il ricorso diretto al “popolo” per
modificare la Costituzione in senso presidenzialistico. C’è motivo di
preoccuparsi seriamente, perché costui è già di fatto il Capo e “padrone”
del Governo, ha un’ampia maggioranza nei due rami del Parlamento (e
ciononostante ne umilia la funzione con il costante ricorso ai
decreti-legge e ai voti di fiducia), sta cercando di realizzare un
progetto di riforma della Magistratura che, di fatto, ne limiterebbe
fortemente l’autonomia: cos’altro dobbiamo aspettare per esprimere con
forza il nostro dissenso?

   
Autorevoli costituzionalisti e stimati intellettuali hanno elaborato e
lanciato un accorato appello (“Rompiamo il silenzio”), nel quale mi
ritrovo perfettamente: vi invito a leggerlo e, se lo troverete
condivisibile, firmarlo e diffonderlo. Prima che sia troppo tardi…


Pippo Palazzolo


7 febbraio 2009

 

Per
firmare l’appello, vai alla pagina


http://www.libertaegiustizia.it/appelli/dettaglio_appello.php?id_appello=11

 

 

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Convegno Benessere


L’apertura
dei lavori del Convegno. A sinistra, il prof. Pippo Palazzolo, a destra, il
Prof. Nino Cirnigliaro, presidente del Centro Servizi Culturali.

 

Convegno de “Le Ali di
Ermes”

Le nuove vie del benessere:

medicina e terapie non
convenzionali

 

Davanti
ad un numeroso e attento pubblico, si è svolto lo scorso 26 marzo 2004, a
Ragusa, il Convegno promosso da “Le Ali di Ermes”, con la attiva
collaborazione del Centro Servizi Culturali. Numerose le relazioni, che
hanno presentato alcune delle “nuove vie del benessere”, non
trascurando quelle antiche e collaudate, come lo yoga. I lavori sono stati
aperti dal saluto del prof. Nino Cirnigliaro, presidente del Centro
Servizi Culturali. 

Dott.
Giorgio Minardo – omeopata

 

dott.
Salvatore Valvo – psichiatra

Queste,
in dettaglio, le relazioni presentate: dott. Giorgio Minardo, medico traumatologo –
omeopata
,“Il significato della malattia”; dott. Salvatore
Valvo, psichiatra, “La ferita narcisistica e la ricerca della felicità”
;
dott.ssa Manuela Agostinelli, erborista, “Bach: un fiore per
l’anima”


dott.ssa Pina Pittari, terapeuta olistica, “Rebirthing: respirare per ri-creare la
vita”
; Dario Distefano, conduttore gruppi psicodrammatici,
“Psicodramma: uno spazio per l’incontro”; Eugenio
Gallitto, fisioterapista, ” La cromoterapia: i colori che
guariscono”
; Valeria Vicari, insegnante yoga-fisioterapista,
“Curare con lo yoga”
.

Dott.ssa
Pina Pittari – terapeuta olistica

 


Pina
Bizzarro – insegnante yoga

Ha
concluso i lavori Pina Bizzarro, insegnante yoga, che ha proposto “L’isola
felice”
,
ultimo racconto del grande maestro di yoga André Van Lysebeth, recentemente
scomparso. 

I lavori sono stati moderati dal prof. Pippo Palazzolo, direttore de “Le Ali di Ermes”.

 


 

Con la collaborazione di:

 

 

Allianz Subalpina

Agenzia Generale

Via Mongibello, 82 – Ragusa

di S. Parrino e G. Cosentino – tel.0932-643364

 

 

Erboristeria NaturalMente

Via Archimede, 161 – Ragusa

della dott.ssa M.
Agostinelli – tel.0932-244105

 

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elezioni politiche 13 aprile 2008


Alcune
riflessioni sulle prossime elezioni politiche del 13 aprile


Totò, “persuasore
occulto”…

 

Votare
o non votare?

di
Pippo Palazzolo

 

 E’
utile ricordare che il voto è uno dei principali modi di esprimere la
sovranità dei cittadini e che è un diritto riconquistato grazie al
sacrificio di chi ha lottato fino alla morte per un’Italia democratica e
libera. E’ quindi un dovere, per ciascuno di noi, esercitarlo nel migliore dei modi
possibile, anche nelle situazioni in cui, come adesso, sembra che possa
incidere poco sulla vita politica del Paese.

 Si avvicina la data delle elezioni e
l’incertezza sembra la nota dominante della consultazione. Sono in tanti a
chiedersi se davvero vale la pena partecipare a queste elezioni politiche,
già in partenza sminuite dal mantenimento di una legge elettorale che la
classe politica si è confezionata ed ha mantenuto fino ad ora, nonostante
il referendum abrogativo che si dovrà tenere. Una legge elettorale  poco
democratica e iniqua, che fa comodo ai segretari di partito, perché
permette loro non solo di scegliere i candidati, ma anche di stabilire chi
di loro sarà eletto e chi invece sarà solo un portatore d’acqua, insomma,
di avere un Parlamento di “yes-men”.

 Oltre a questo, vi sono anche altri
motivi che potrebbero allontanare molti cittadini dalle urne. Alcuni di
questi riguardano i comportamenti di gran parte della nostra classe
politica che, senza considerevoli eccezioni:

   gode di un trattamento pieno di privilegi del
tutto sproporzionati alla realtà economica del Paese e si ritrova sempre
unanime nel votare nuovi aumenti di indennità;

    pretende spesso non solo l’immunità, ma anche
l’impunità, cercando di legare le mani alla magistratura;

    sta sempre più manifestando un volto grigio,
ha perso le ideologie e non propone valori forti, si accontenta di
ottenere posizioni di potere, facendo scivolare lo Stato verso un nuovo
“feudalesimo”, verso una privatizzazione della “res-publica”;

  ha accettato, di fatto, l’anomalia tutta
italiana di avere, ormai da 14 anni, un capo del Governo o
dell’opposizione parlamentare che è contemporaneamente proprietario della
maggiore concentrazione di mass-media privati in Italia, oltre che
titolare di enormi interessi economici.

       
Inoltre, in buona parte del Paese non è neanche possibile un esercizio
libero del diritto di voto: la promessa della “sistemazione”, specie nel
Sud, continua ad essere un’efficace arma di estorsione del voto, per non
parlare del condizionamento dovuto alla presenza di una malavita
organizzata senza confronti con gli altri Paesi europei.

      L’elenco potrebbe
continuare, ma credo che già basti per spiegare la crescita del partito
dell’antipolitica.

      Tuttavia,
vorrei adesso proporre un altro elenco ed è quello dei motivi per cui è
utile e necessario votare:

– il non voto dei cittadini liberi,
favorisce l’affermazione proprio di quei candidati che cercano il voto per 
tutt’altro motivo che il bene pubblico e sanno già che lo otterranno
perché spesso è un voto “obbligato”: non votare, infatti, significa che
per loro sarà sufficiente un minor numero di voti per essere eletti;

– i cambiamenti mondiali, sia politici che
economici, sono sempre più preoccupanti e possono essere affrontati solo
con la partecipazione responsabile dei cittadini alla vita politica del
Paese, senza colpevoli disimpegni, anche perché i conflitti aperti e
latenti sulla scacchiera mondiale sono tanti e complessi da richiedere un
Governo dello Stato che rispetti i principi della Costituzione e che non
sia subalterno a nessun Paese straniero o interessi economici privati. Non
possiamo dimenticare che nel 2003, l’allora Governo in carica si è
vergognosamente prestato ad allentare l’isolamento politico mondiale nel
quale si era trovato Bush e la sua sciagurata iniziativa di una nuova
guerra in Iraq: non vorrei avere lo stesso Governo in frangenti simili!

– non possiamo in alcun modo rinunciare a
contrastare la permanenza sulla scena politica di un personaggio che ha
governato l’Italia dal 2001 al 2006, ininterrottamente e godendo in
Parlamento di una maggioranza così ampia da poter fare approvare tutte le
leggi che ha voluto (specie di quelle “ad personam”…) e che adesso accusa il
Governo Prodi, durato in carica solo 20 mesi e con una maggioranza
risicata, di tutti i guai d’Italia;

– non è più in gioco una scelta fra destra
e sinistra, fra un programma e un altro. Oggi, purtroppo, l’alternativa è:
da un lato, un partito “personale”,  in cui sono confluiti i superstiti di
un partito ex-neofascista e collegato, al Nord, ad un movimento razzista e
secessionista come la Lega Nord e, al Sud, ad un movimento autonomista che
gode dell’appoggio (anche se solo per le elezioni regionali siciliane!)
dell’ineffabile on. Cuffaro; dall’altro lato, uno schieramento, formato
dal “Partito Democratico” e dall’“l’Italia dei Valori”, che forse non è
nuovissimo, ma nel quale ci sembra più facile individuare candidati che
hanno scelto la politica per fare politica e non per fare solo affari.

 Ci sono anche altre alternative per il
voto, come “la Sinistra – l’Arcobaleno” e i socialisti, ma se l’obiettivo
è raggiungere la maggioranza relativa e conquistare così il 54% dei seggi
alla Camera dei Deputati, ciò potrà avvenire solo se il raggruppamento
“Partito Democratico – Italia dei Valori” avrà anche solo un voto in più
del raggruppamento “Popolo delle Libertà – Lega Nord – Movimento per
l’Autonomia”, proprio per i meccanismi della legge elettorale con la quale
siamo costretti a votare.

 Un’ultima considerazione sulle
elezioni amministrative regionali siciliane, per le quali credo che ci sia
poco da dire: il curriculum vitae dei candidati sarà di prezioso
orientamento per tutti gli elettori, basta informarsi. Da parte nostra,
ribadiamo il valore della cultura della legalità e della dignità
dell’uomo: chiunque offra “favori” in cambio di voti, è al di fuori delle
più elementari regole della democrazia.

 Naturalmente non mi pronuncio né sui
singoli partiti né sui candidati, poiché penso che ciascuno  sappia
valutare le persone che si candidano e le loro storie personali. Scrivendo
queste note ho solo voluto condividere un mio stato d’animo e alcune
riflessioni, con l’invito a non cedere alla tentazione di voltarsi
dall’altra parte ma, nonostante tutto, far prevalere ancora una volta un
ragionamento “politico”, non dimenticando che la politica è anche l’”arte
del possibile”!


 Pippo
Palazzolo

 8 aprile 2008

“Democrazia non è star sopra un albero,
democrazia è partecipazione” (Giorgio Gaber)

 

 

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Delegazione ragusana del Centro Italiano di Astrologia

attività della delegazione di Ragusa del Centro Italiano di Astrologia

Astrologia

Nuovo:
“Oh amato Plutone!” di Vicente Cassanya


    Con vero piacere
ospitiamo questa
pagina della Delegazione di Ragusa del
Centro Italiano
Discipline Astrologiche
. La
Delegazione opera a Ragusa dal 1984, quando nacque grazie alla fiducia e alla
collaborazione prestata al delegato da Grazia Mirti e Armando Profita, amici e
maestri con quali il tempo e la distanza hanno solo rafforzato i legami dei
comuni ideali. 

     Con il tempo, i rapporti fra “centro” e periferia
(Ragusa, così lontana…) sono stati costanti e proficui, e così abbiamo avuto
tra noi tanti veri esperti dell’arte astrologica, che generosamente si sono
impegnati in conferenze e corsi: oltre ad Armando e Grazia, il carissimo Claudio
Cannistrà, Joe Fallisi, Paolo Crimaldi, Andrea Malvagna. 

     Proficui sono stati
poi i tanti contatti nelle diverse occasioni, dal lontano e indimenticabile
Convegno di Venezia con il grande Charles Harvey, agli incontri e ai discorsi
con il Presidente Dante Valente e tutti gli altri colleghi che ci hanno
consentito di crescere nella cultura astrologica e umanamente.

                                                  
Pippo Palazzolo 

delegato CIDA di Ragusa

 

Nel preannunciare ai soci ed
amici del CIDA di Ragusa la prossima apertura (Novembre 2007) della nuova sede della
Delegazione, siamo lieti di informare gli interessati che è possibile seguire un
percorso di formazione astrologica seria e completa, promossa dal CIDA
nazionale. Di seguito pubblichiamo tutte le informazioni sull’importante
iniziativa.


SCUOLA DI ASTROLOGIA
del CIDA – Centro Italiano di Discipline Astrologiche

 

La
Scuola Superiore CIDA, inaugurata il 13 novembre 2004, è strutturata sul
modello universitario, con varie materie, ognuna affidata ad uno o più
docenti. Si compone di un triennio comune ed obbligatorio e di un
biennio facoltativo con due indirizzi: previsionale e psicologico.

 Il
primo anno di Corso, che si tiene nella Sede CIDA di Bologna (in
via della Grada, 4), prevede 57 ore di lezioni teoriche più 15 ore di
esercitazioni, per un totale di 72 ore effettive di lezione.

Il
Corso si sviluppa in due semestri, frequentabili separatamente,
attraverso 8 week-end: pomeriggio del sabato (3 ore) e l’intera domenica
(6 ore) per complessive 9 ore effettive di lezione. Fra una sessione di
studio e l’altra intercorre un intervallo di due o tre settimane. Ogni
nuovo primo ciclo inizia in autunno, un secondo è previsto in primavera.

 Il
secondo ed il terzo anno di Corso prevedono ciascuno un
totale di 63 ore effettive di lezione, che si sviluppano attraverso
7 week-end.

 Il
programma del PRIMO ANNO comprende 5 materie d’esame:


Astronomia 1°

Storia


Mitologia


Tecnica Astrologica


Interpretazione 1°
.


Oltre ad una sessione di approfondimento, per complessive altre sei ore di
lezione, su argomenti di carattere trasversale quali: destino e libero
arbitrio, astrologia e psicologia, astrologia e scienza, astrologia e
didattica, etica.

 

Il programma del SECONDO
ANNO
comprende:

Astronomia 2°

Interpretazione 2°

Astrologia Medica

Tecniche Previsionali 1°

Astrologia delle relazioni
affettive
.

Oltre ad un’altra sessione di
approfondimento sui rapporti fra l’astrologia e le altre discipline (arte,
filosofia, musica, etc.).

Alla fine del biennio, le due
sessioni di approfondimento sui rapporti fra l’astrologia e le altre
discipline saranno oggetto di un colloquio.

 

Il
programma del TERZO ANNO comprende:


Tecniche Previsionali 2°


Astrologia Oraria


Astrologia Mondiale


Elementi di Sinastria


Counselling


Complementi di Astrologia.

 
 

La
distribuzione degli argomenti per il primo anno, è stata realizzata in
modo da non costringere i partecipanti a pernottare: la materia che viene
trattata il sabato è diversa dalla materia della domenica. Invece, per i
due anni successivi, ogni materia è trattata in seminari intensivi,
strutturati in uno o più week-end, più adatti ad una full-immersion di
approfondimento, una volta che si sono acquisite le nozioni base.

 Il
Corpo Docente è totalmente formato da Astrologi qualificati,
iscritti all’Albo Professionale e con la qualifica di docenti certificati.
Inoltre, si avvale dell’apporto di alcuni ospiti stranieri di prestigio
europeo, che terranno nel corso dell’anno alcune letture “magistrali”.


Ogni anno di corso è frequentabile in blocco o solo per singole materie.
Tuttavia, solo nel primo caso è data la possibilità di recuperare
entro 18 mesi le lezioni eventualmente perdute, senza alcun costo
aggiuntivo.

Gli
esami relativi – non obbligatori – ed i Colloqui possono essere limitati a
singole materie, ma solo coloro che avranno sostenuto e superato tutti gli
esami del primo anno otterranno l’attestato di Socio Certificato
(vedi Sestile nn. 132, 144 e 145 o il sito www.cidaregioni.it).

Chi
terminerà i tre anni della Scuola, superando tutte le prove, avrà
diretto accesso all’Albo Professionale
senza effettuare il relativo
esame.

A
coloro che limiteranno la loro partecipazione alla sola frequenza,
sarà comunque attribuito un punteggio cumulabile, utilizzabile per le
varie qualifiche associative.

 


AMMISSIONE
: Per essere ammessi a frequentare la Scuola si richiede il
superamento di un test di accesso, che dimostri che l’allievo è in
possesso delle conoscenze astrologiche di base. Tali conoscenze possono
essere acquisite tramite la frequenza di un Corso Certificato. Sono
disponibili libri e dispense a riguardo.

La
Scuola può essere frequentata anche per Corrispondenza con l’aiuto
di un tutor. Coloro che desiderano ricevere gli attestati relativi devono,
però, sostenere gli eventuali esami finali per ogni materia frequentata
presso la sede Cida.

Lo staff di gestione della
Scuola è formato da:

Dante Valente:   Presidenza

Stefano Vanni:   Direzione Didattica

Claudio Cannistrà:   Coordinamento Docenti e
Segreteria

Armando Billi: Coordinamento Progetti Formativi e
Amministrazione

Lidia Callegari: Coordinamento Formativo e
Tutoraggio


N.B. – Dati i posti limitati si darà precedenza a
chi avrà segnalato sollecitamente il suo interesse a Stefano Vanni (
stefanova19@libero.it)
e a Claudio Cannistrà (
canniclau@libero.it),
tel.
051-342445.

 

Si consiglia inoltre di visitare il
sito

www.cidaregioni.it
,
per ulteriori aggiornamenti. Si tratta del sito astrologico delle regioni
Toscana ed Emilia-Romagna, estremamente interessante e dalla piacevole
lettura.

 

 

 

 

Organizzato dalle Delegazioni del Cida di
Catania, Ragusa e Siracusa, si è tenuto, domenica 26 ottobre 2003, a Catania, il 2° Convegno Astrologico Regionale, sul tema:

“Esperienze
astrologiche del terzo millennio”
.

Davanti ad un uditorio qualificato e attento, si sono sviluppate le relazioni, che hanno toccato i più svariati risvolti della disciplina astrologica.

 Queste le relazioni
presentate al Convegno:


Dante
Valente (Presidente Nazionale CIDA): “Luci
ed ombre dell’Astrologia
”

Pippo
Palazzolo:
“Nettuno fra illusione ed
illuminazione”



Andrea
Malvagna: “Antichità e tradizione
nell’astrologia Vedica”

Grazia
Mirti: “L’iconografia e il mito”

 
Lavoro
di gruppo: “Gli archetipi al femminile”.

Anna
Gattai: “Mercurio terra e Mercurio
aria, uno stretto vincolo simbolico attraverso un parallelismo alchemico.”

Giuseppe
Rodante: “L’astrologia di W. B. Yeates”

Claudio
Cannistrà (Segretario Nazionale CIDA): “Antichi
principi in moderne tecniche astrologiche: lo spazio locale”

Liliana
Cosentino: “Datazione di un mito”

Annamaria
Neri: “L’astrologia dei sette chakra:
i pianeti, le costellazioni attraverso l’energia del Se e le vibrazioni dei
fiori di Bach”

Pia
Vacante:
” Determinismo e libero arbitrio:
un'”opposizione” irriducibile oppure una “congiunzione” di
due weltanschauung all’interno dei territori di psiche?



Armando
Profita:
“Esoterismo ed applicazione
del quintile”

Lucia
Biazzo: “Esplorazione onirica o poetica
all’alba del nuovo Eone”



 

Siti in sintonia:


http://astro-campus.awardspace.com

Astrodienst Banner

Il sito
astrologico con articoli

di Liz Greene e Robert
Hand

in otto lingue

www.cida.net

Centro Italiano di Discipline Astrologiche

 




www.astravidya.com
– sito di astrologia,
filosofia orientale, pedagogia olistica e counselling.

 

 




www.cidaregioni.it

Il sito astrologico della
Toscana ed Emilia-Romagna


 

 


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No alla Guerra



Editoriale 
– Marzo 2003
  

                                                                               
(Pablo Picasso, Guernica)

 

No
alla Guerra!

  

    
Nonostante tutte le iniziative contro
la guerra, oggi, 20 marzo 2003, è partito l’attacco americano contro
l’Iraq. Travolgendo tutte le resistenze e tutte le regole del diritto
internazionale (quel poco che ne resta…), uno Stato si assegna il ruolo di
“giustiziere” del mondo, giudice ed esecutore della condanna. Abbiamo già
detto che condanniamo il regime sanguinario di Saddam Hussein, che tante
sofferenze ha già inflitto sia al suo popolo che ai popoli vicini (curdi,
iraniani, kwaitiani), ma anche che la guerra contro un simile regime non ci
sembra una soluzione giusta né utile (utile sarà sicuramente per alcune
industrie belliche…). La violenza genera violenza, il terrorismo si vince solo
eliminandone le cause profonde che lo alimentano; questa guerra potrà solo
farlo crescere e dargli una parvenza di giustificazione.

   
Quello che più colpisce, in questa
circostanza, è la caparbietà con cui si è organizzato e portato a termine il
piano bellico da parte del governo statunitense: non sono serviti né gli altolà
di francesi, tedeschi, russi e cinesi, né uno dei più vasti movimenti di
opinione pubblica mondiale e neppure l’accorato appello di Papa Giovanni Paolo
II, che rappresenta la coscienza di centinaia di milioni di uomini.

   
In questo momento drammatico nella storia
dell’umanità, all’inizio di un conflitto dagli sviluppi imprevedibili, noi
invitiamo tutti a continuare con il massimo impegno la lotta per la pace, non
stancandoci di fare pressione, nei modi che la creatività può suggerire,
affinché chi esercita il potere senta questa volontà ferma di condanna alla
guerra e voglia di pace: che la speranza rimanga sempre accesa nei nostri cuori.

Pippo
Palazzolo

 

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Centro Yoga Shanti

Articolo introduttivo alla teoria e pratica dello yoga

  
Associazione
culturale per lo studio

e
la diffusione della filosofia yoga

 



     Siamo lieti di
pubblicare su “Le ali di Ermes” la presentazione dell’Associazione “Centro Yoga Shanti”,

che si propone l’obiettivo della diffusione
della filosofia e della pratica dello yoga. In modo chiaro e incisivo,

la responsabile del Centro, Pina Bizzarro,
espone qui di seguito i principi e gli scopi di questa importante
disciplina.

 I lettori interessati possono
visitare il sito dell’Associazione, all’indirizzo

www.centroyogashanti.org


 

Ringrazio il Direttore e l’amico
Pippo Palazzolo per avermi concesso questo spazio all’interno del suo sito. Il
mio compito, non facile, è quello di presentare lo Yoga. Nel biglietto da
visita di questa disciplina generalmente si mette 
in evidenza che è un metodo antichissimo che risale a più di 5000 anni
fa, che la parola yoga vuol dire “unione”, che è insieme una scienza ed una
filosofia che porta l’essere umano a realizzare la propria natura, il proprio
vero sé.


Ho letto  tante definizioni
sullo yoga, ognuna delle quali risente del percorso individuale di chi le
formula. Sono tutte davvero molte belle. Alcune pongono l’accento sugli
aspetti fisici, altre su quelli mentali, altre ancora sugli quelli spirituali.


Ma la scuola che mi sta formando come insegnante di yoga (I.S.F.I.Y. –
Federazione Italiana yoga – Roma), suggerisce che bisogna sempre partire dalla
tradizione, proprio per non perdersi in quella confusione che negli ultimi anni
ha gettato delle ombre su tutte le discipline orientali.


L’Unione Europea di Yoga indica il testo di Patanjali, gli “Yoga
Sutra”, come fonte di riferimento universalmente riconosciuta. Nel 2° sutra
del I° libro Patanjali definisce lo Yoga utilizzando solo 3 parole: “YOGA
CITTAVRTTI NIRODHA”
.


CITTA – rappresenta la mente nel senso più vasto del termine, con i
suoi aspetti consci e inconsci;


VRTTI – è un movimento, una vibrazione, qualche cosa che a un certo
momento viene a turbare uno stato di calma;


NIRODHA – è  il controllo,
la cessazione, o la non identificazione con le onde-pensiero di “città”

Lo yoga è perciò “ il
controllo, la cessazione o la non identificazione con il 
movimento della mente”


Le prime domande che sorgono sono: questo controllo è totale o parziale?
Devo dare una direzione univoca alla mente, al pensiero, o deve arrivare a una
cessazione dello stesso? Come è possibile controllare il movimento della mente
con la mente stessa?


Una cosa è certa: se vogliamo controllare la mente dobbiamo prima di
tutto conoscerla, comprendere il suo funzionamento e la sua attività.


L’altra domanda a questo punto è: come è possibile conoscere la
mente, osservare le vrtti senza identificarci in esse? Conosciamo
sufficientemente il processo del pensiero?


Qualunque sia la strada che scegliamo, bisognerà iniziare con un
processo di semplice osservazione, bisognerà partire dall’osservare cosa ci
succede dentro.


Non conviene cercare di partire subito avendo l’intenzione di fermare
la propria mente su un punto preciso, ma è molto più saggio imparare l’arte
dell’osservazione; attraverso
questa semplice osservazione e attraverso l’accettazione del proprio contenuto
interiore possiamo arrivare man mano ad un processo di non identificazione con
la mente e i suoi pensieri. Questa non identificazione toglie l’alimentazione
che produce il movimento e così è possibile arrivare al controllo della mente.


Assagioli, il padre della “psicosintesi”, afferma che per prendere le
debite distanze da quello che ci sta succedendo, proprio per non confonderci con
i contenuti cangianti della mente, dobbiamo avere la nitida coscienza
dell’”io sono – io esisto” al di là di tutto quello che ci può
capitare; invece di dire “ io sono felice o io sono triste”, potremmo dire
“un’onda di piacere o di dolore sta attraversando la mia mente”.


Tutte le scuole tradizionali parlando della mente, pongono l’accento
sull’importanza di creare la qualità
del testimone,
dissociarsi dal movimento mentale, cercando un punto di
osservazione favorevole e generalmente si richiama l’immagine di chi si siede
sulla riva del fiume mentre l’acqua scorre e la si osserva senza cercare di
fermarla.


La cosa più importante che possiamo fare perciò a tutti i livelli, sia
fisico, respiratorio e mentale, è fermarsi e lasciar decantare, imparare
l’arte di non fare assolutamente niente.


Vi è un aneddoto della vita del Buddha: si dice che un giorno il Buddha
viaggiasse con il suo discepolo Ananda e dopo aver camminato per ore, stanchi,
si fermarono in un bosco per la pratica meditativa. Il Buddha chiese ad Ananda
se poteva andare gentilmente a prendere dell’acqua al ruscello che avevano da
poco attraversato. Ananda tornando indietro vide che erano passati dei cavalli e
l’acqua era torbida, sporca e non sapeva come fare, anzi più la muoveva per
pulirla cercando di togliere il fango con le mani e più questa si sporcava.
Tornò indietro e disse che non aveva potuto prendere l’acqua e che
l’avrebbe cercata in un altro posto. Il Buddha rispose “tu torni là e vai a
prendere quell’acqua!”. Ananda tornò indietro e con il tempo che era
passato, l’acqua era diventata limpida da sola; così imparò la lezione del
fermarsi e saper aspettare.


Lo yoga ci insegna l’arte di osservare per lasciare sedimentare.
Pratichiamo le posizioni (asana) come pretesto per allenare la mente
all’osservazione a partire dal corpo, in quanto rappresenta l’aspetto più
facile da osservare. Inoltre le asana hanno la funzione di armonizzare il flusso
di energia che scorre nelle nadi (canali energetici), e questo si traduce anche
in un immediato benessere fisiologico. L’asana ovviamente è anche altro e mi
riserverò in futuro un approfondimento.

Una classe di yoga vuole essere
uno spazio di  ascolto consapevole
intervallato dalle asana
.

Perciò lo yoga non deve intendersi come un’insieme di esercizi più o
meno difficili, o una ginnastica dolce, ma come una disciplina psicofisica che
può condurci nella condizione di “cittavrtti nirodha”. Yogananda dice che
“là dove cessa il rumore inizia Dio”. Ciò vuol dire che nel momento in cui
facciamo esperienza di quella dimensione silenziosa e quieta della mente allora
e solo allora possiamo scoprire la nostra vera natura. Ogni tradizione e ogni
religione hanno dato un nome a questa realtà, si parla di Purusha, di Atman, di
Anima , di semplice scintilla divina o di energia universale ed eterna che è al
di là delle dimensioni spazio-temporali e che ci porta all’esperienza di una
dimensione di vita più ampia, rispetto alla nostra piccola storia personale che
è comunque inserita nel grande respiro cosmico.


I testi sacri ci dicono che c’è in ognuno di noi la possibilità di
cogliere e far emergere questa realtà, qualcosa di più grande rispetto a
quello che pensiamo di essere, di conoscere, di sentire. Ma se continuiamo a
identificarci nel nostro corpo, nel cumulo di conoscenze e di sentimenti che
gelosamente custodiamo, se non ci alleggeriamo un po’ e cominciamo ad uscire
dalle nostre solidificazioni mentali, non potremo mai percepire questa
dimensione più vasta che ci abita. Non è qualcosa che dobbiamo conquistare, ma
bensì riscoprire
. E’ la nostra vera essenza verso la quale confusamente
tutti noi aspiriamo.




Pina Bizzarro

sito web:

www.centroyogashanti.org


      

                                                   
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Shanti
Magazine Dicembre 2003

Shanti
Magazine Marzo 2004

Shanti
Magazine Giugno 2004

Shanti
Magazine Ottobre 2004


Shanti
Magazine Luglio 2005


Shanti
Magazine Settembre 2005


Shanti Magazine Dicembre 2005


Shanti Magazine Aprile 2006

 

                                                              
                                       
  

Centro
Yoga Shanti – Ragusa

 

tel.
338-8248366
 
– 

e-mail:
centroyogashanti@tin.it
– sito web:
www.centroyogashanti.org

 


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Editoriale

Editoriale
Dicembre 2004

 

Conosci
te stesso…


 

    
“Conosci te stesso!”, esortava Socrate. E, conoscendo te stesso,
conoscerai il mondo. Semplice, no? Eppure tremendamente difficile da
realizzare. Pensiamo a quante maschere indossiamo, nella
nostra vita! Proviamo a togliercele, a guardarci così come siamo
veramente, per riscoprire il piacere di parlare, muoverci, giocare e amare
spontaneamente, senza censure e dissimulazioni.

    
Oggi abbiamo tanti strumenti, vecchi e nuovi che, se solo lo vogliamo, ci
consentono di conoscerci veramente. La psicologia, ad esempio, con le sue
tante correnti: un buon percorso psicoanalitico può portare ad una
profonda conoscenza di sé.

    
Un’altra (e più antica) via verso la conoscenza della struttura del
nostro essere è l’astrologia. Il quadro astrale del momento di nascita
di un individuo, ci permette di vederlo in trasparenza, al
di là delle apparenze o delle maschere. Oggi la disciplina astrologica,
nelle sue applicazioni più serie, è tornata quasi alla sua originaria
importanza. Si sono ricostruite, pazientemente e utilizzando le moderne
acquisizioni di altre discipline, le chiavi interpretative che
consentivano nel passato, agli astrologi più affermati, di fare analisi e
previsioni di grande precisione.

    
Credo, tuttavia, che sia necessario sottolineare anche alcuni rischi della
via astrologica verso la conoscenza di sé: trasformare il ritratto
astrologico della personalità, che è dinamico, in una sorta di cliché,
dietro cui nascondere il proprio vero sé, rinunciando ad evolvere; usare
stereotipi astrologici nei rapporti interpersonali, rinunciando ad entrare
in rapporti autentici con l’Altro; confondere le previsioni con
le predizioni, divenendo così sostanzialmente
“fatalisti”.

    
La nostra rivista, tenendo ben presenti sia le possibilità che i limiti
delle analisi e delle previsioni astrologiche, ha fiducia nella serietà
degli operatori astrologici più qualificati e nella maturità dei suoi
lettori. Pertanto, da questo numero, nella Home Page abbiamo inserito un
link con il prestigioso sito di oroscopi Astrodienst, curato da studiosi
del livello di Liz Greene e Robert Hand.

    
Conoscere dettagliatamente le tante sfumature presenti nel proprio tema
natale e i propri “miti” personali, può essere utilissimo, a
condizione di non dimenticare mai che siamo esseri in divenire. E’
nella molteplicità di significati dei simboli che troviamo la libertà di
realizzare ciò per cui siamo venuti al mondo, cioè il nostro destino,
scegliendo di farlo consapevolmente.

 

Pippo
Palazzolo

 

 

 

 

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ombre

rubrica di critica cinematografica, a cura di alessandro de filippo

A partire da questo
numero, Alessandro De Filippo curerà per “Le Ali di Ermes” la
rubrica “Ombre”. Iniziamo pubblicando la presentazione del suo
libro “Ombre”, ed. Aitnaion, 2004.


 

ombre

di
alessandro de filippo

 

 

 

 

Non
è importante cosa accada nella realtà, ma dove si trova l’occhio, qual
è la posizione e la direzione dello sguardo…

Un
gioco che faccio spesso con i bambini delle materne, nei laboratori, è
quello della pubblicità dello yogurt Yomo:
se li inquadro dall’alto diventano piccoli come formiche; se li inquadro
dal basso invece diventano giganti; se capovolgo la telecamera, camminano
sul soffitto…

Aldilà
dello stupore dei bimbi, quello su cui spingo è creare in loro un
cortocircuito che metta in crisi il sistema della percezione. Un attimo
prima della rivoluzione copernicana quello che contava era il dogma del medium.
Allora c’erano le Sacre Scritture, ora ci sono i media
audiovisivi
: in entrambi i casi la funzione di controllo del medium
impone di conservare con violenza.

Ombre non
analizza e non disanima nulla perché è solo un libro, uno strumento di
carta; piuttosto si limita semplicemente a raccontare una trasformazione
già in atto, rapidissima e violentissima, dei mezzi di comunicazione di
massa. Siamo stati colonizzati, le nostre menti stanno adottando nuovi
sistemi operativi per ragionare, i nostri sogni sono piegati e piagati da
un immaginario imposto: il videogioco sparatutto strategico Call
of Duty
oppure la fiction Incantesimo,
per quanto rifiutati e inaccettabili fanno filtrare i propri codici
percettivi e socio-affettivi. Che lo si accetti o no, siamo tutti adepti
di questa nuova religione della realtà
separata
, della scissione tutta interna e interiore tra realtà e
rappresentazione tra la cosa e l’immagine.

Ombre è una
proposta di scambio, di confronto. È questo che offro e che cerco: un
confronto; un dialogo aperto sul cinema e la televisione: sul cinema già
visto e kolossale oppure invisibile, sulla televisione ordinaria e
mercantile o su quella di ricerca e di servizio.

Ombre è un
modo di guardare e di leggere la realtà, di imbarazzarsi oppure
indignarsi; è un tentativo di capire la comunicazione audiovisiva, ma
anche di affermare idee, di manifestarle; di fiancheggiare o contrastare
modelli di pensiero.

 

alessandro
de filippo

dicembre 2004

 

L’Autore:

 Alessandro
De Filippo vive e lavora a Catania. Si occupa di critica cinematografica e
televisiva; tiene annualmente cicli di lezioni di «Tecnica
Cinematografica» e «Teoria Cinematografica» presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia
dell’Università
degli Studi di Catania
; ha realizzato numerosi corsi-laboratorio di
educazione all’immagine, rassegne cinematografiche e un workshop sulle
costanti linguistiche del cinema hard-core, programmato in diversi
festival italiani e all’interno del Triple X
di Ljubljana e dell’InterFilm Festival Berlin. Da
settembre 2001 è docente di Lettere.

È
autore
di cortometraggi, documentari e installazioni video: Occhio nudo
(1994) Raus (1996) Birds as punctuation (1998) Joy
(1999); Lebeul me (2001).

Direttore
della fotografia e operatore di ripresa realizza nel 1998 la docufiction
RAI Rimedi contro l’amore,
vincitore del Nastro d’Argento come miglior mediometraggio; nel 1999 il
documentario RAI su Minimalia – una visione del XX secolo, mostra d’arte contemporanea a
cura di Achille Bonito Oliva, girato nel museo P.S.1
di New York; nel 2000 è ancora direttore della fotografia del
documentario RAI Lava Flow, sull’arte contemporanea catanese; sempre nel 2000 è
direttore della fotografia della fiction Strike
a light
,
presentata al Festival di Cannes; per la televisione svizzera, cura la
fotografia del documentario What is love? sulla Zürich Street
Parade
.

Nel
1996 entra a far parte del gruppo Cane CapoVolto; insieme agli
altri due membri, Enrico Aresu e Alessandro Aiello, compie una ricerca
radicale sui media dello Spettacolo; come membro del gruppo, è
rappresentante italiano all’Experimental
European Cinema Project
, simposio organizzato a Tokyo dal
cineasta sperimentale e scrittore Yann Beuvais, per l’Istituto Franco
Giapponese.

 

Collabora
con il sito
http://www.postcontemporanea.it/
.

Per
contattarlo: e-mail
adefi@tiscali.it
.


 

ombre 001:
Ombre, bianco contro nero

ombre 002: 
Arlington Road, di Mark Pellington

ombre 003: 
Blade Runner, di Ridley Scott

ombre 004: Pane
e fiori, di Mohsen Makhmalbef

ombre 005: Bread
and Roses, di Ken Loach

ombre 006: Slam,
di Marc Levin

ombre 007: Do
the Right Thing, di Spike Lee

 

Nota: la frase che si ascolta in apertura della pagina è di Alberto Grifi.

 

 

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La ferita narcisistica



 

Siamo
lieti di pubblicare la relazione del dott. Salvatore Valvo, esposta nel corso
del Convegno “Le nuove vie del benessere”, che si è tenuto a Ragusa,
il 26 marzo 2004.

 

La
ferita narcisistica e la ricerca della felicità

dott.
Salvatore Valvo – psichiatra

 

Saluto
i partecipanti e ringrazio il Prof. Pippo Palazzolo dell’invito rivoltomi.

Sono
uno psichiatra e come tale mi occupo di disturbi mentali da quasi un ventennio. La
mia formazione nel corso di questi anni si è sviluppata su due fronti uno di
matrice organica e meccanicista, l’altro umanistico, olistico ed esperenziale
(gestalt, danzaterapia, psicodramma e rebirthing). Quest’ultimo genere di
formazione mi ha aiutato e mi aiuta quotidianamente a capire meglio le mie
emozioni e a cercare di comprendere la sofferenza della persona che chiede
aiuto. Inoltre l’esperienza quotidiana alimenta sempre più la convinzione che
angoscia, tristezza, rabbia, euforia o passione non siano solo il risultato di
una danza di molecole, ma qualcosa di più complesso che ha radici nei vissuti
personali e relazionali di ognuno di noi.

 Inoltre
io ritengo che una società civile debba strutturare i suoi servizi sanitari e
formare i suoi operatori nel recupero di una dimensione etica e umana
dell’individuo che soffre e non solo nella ricerca di nuove molecole (pillole
della felicità!).

Il tema da me
scelto per questo convegno: “La ferita narcisistica e la ricerca della felicità” 
dove io aggiungerei “perduta”, è scaturito dall’idea di proporre
una riflessione sul significato da attribuire al termine peraltro oggi molto
inflazionato.

Prima
di procedere nella storia di questo concetto, che riguarderà necessariamente il
livello teorico e quindi rischierà di essere arida o difficile, può
essere utile partire dal dato clinico, affinché possiamo tenerlo come
punto di riferimento durante la discussione successiva. Le nostre disquisizioni
teoriche sono sterili se non ci aiutano a comprendere la clinica. A questo
proposito, il disturbo narcisistico di personalità è diventato molto di moda
negli ultimi tempi, e l’uso di questo termine, originariamente diffusosi nella
letteratura psicoanalitica, si nota sempre di più anche nel linguaggio comune.
Sembra che l’aggettivo “narcisista”, assieme a quello di “borderline
(che significa caso “al limite” o “al confine” tra nevrosi e
psicosi), a poco a poco abbiano preso il posto dell’aggettivo
“isterico”, usato per vari decenni anche questo in modo non sempre
rigoroso.

Quando
una parola viene usata per molto tempo, può diventare meno efficace, e alcune
parole nuove, forse solo per il fatto stesso di essere nuove, acquistano più
forza, forse perché vi è la fantasia che un interlocutore al quale esse non
sono familiari venga preso alla sprovvista e sia disposto a dare ragione a chi
magicamente le pronuncia; quando anch’esse si saranno diffuse, probabilmente
dovranno essere riciclate, e altre parole nuove avranno maggiore fortuna. Ci si
accorge a volte che ci lasciamo andare a tacciare un paziente di
“narcisismo” solo per il fatto di avere una sintomatologia vaga o di
difficile inquadramento diagnostico, oppure non facile da affrontare
psicoterapeuticamente, se non addirittura per scaricare la nostra frustrazione o
aggressività, proprio come a volte si faceva col termine “isterico”.

 

Il
mito di Narciso
(Caravaggio)

 

Evoluzione
storica del concetto

L’immagine
che ritrae il famoso Narciso di Caravaggio, mi permette di parlare del Mito di
Narciso, giovane di Tespi di eccezionale bellezza, figlio della ninfa Liriope e
del Dio del fiume Cefiso. Quando nacque il veggente Tiresia gli profetizzo che
sarebbe vissuto fino a tarda età se solo non si fosse visto.

Quando
Narciso ebbe raggiunto i sedici anni si era lasciato alle spalle una schiera di
amanti respinti di ambo i sessi. Tra gli spasimanti vi era pure la ninfa Eco che
fu punita da Era, perché la distraeva raccontandole lunghe favole mentre le
concubine di Zeus sfuggivano ai suoi occhi, privandola della parola e lasciandole
solo la possibilità di ripetere le ultime sillabe delle parole udite.

Narciso
respinge bruscamente Eco e gli Dei (Artemide) lo condannano a innamorarsi senza
poter soddisfare la propria passione. E così mentre Narciso passeggiava si
avvicinò ad una fonte incontaminata, e vide l’immagine riflessa di cui si
innamorò, ogni volta che tentava di abbracciare o baciare quel bel fanciullo
l’immagine scompariva, cosi capì che era se stesso e rimase ore a fissarsi
riflesso nell’acqua. L’amore gli veniva concesso e negato, egli si struggeva
per il dolore ma insieme godeva del tormento ben sapendo che almeno non avrebbe
tradito se stesso. Cosi morì, alcuni sostengono d’inedia, altri dicono che si
trafisse il petto con una spada, comunque si trasformò in un fiore il narciso
che cresce lungo i bordi dei corsi d’acqua.(fiore bianco con la corolla rossa
da cui pare si estragga un unguento la Cheronea con proprietà antiinfiammatoria,
antidolorifica).   

 

 E’
significativo che Narciso si innamorò della sua immagine solo dopo aver
respinto l’amore di Eco. L’innamorarsi della propria immagine – diventare
cioè narcisisti – è interpretato nel mito come una forma di punizione per
l’incapacità di amare.

Ma
chi è Eco? Se non uno specchio sonoro, potrebbe essere la nostra stessa voce
che ritorna a noi? Se cosi fosse e Narciso avesse potuto dire : “ti amo” Eco
avrebbe ripetuto queste parole e il giovane si sarebbe sentito amato. Ma
l’incapacità di dire queste parole identifica il narcisista, avendo ritirato
la libido verso il proprio Io.

 Definizione:
il termine narcisismo descrive una condizione sia psicologica che culturale. Per
comprendere come mai la personalità narcisista acquistò una tale importanza
sulla scena psichiatrica da essere inclusa nel 1980 nel DSM-III dall’American
Psychiatric Association
, occorre conoscere e comprendere alcuni sviluppi
avvenuti sia in campo sociale che psicoanalitico. Per quanto riguarda i primi,
si pensi solamente al famoso libro del 1978 di Christopher Lasch La cultura
del narcisismo
[Milano: Bompiani, 1981], cultura che caratterizzerebbe l’era
del benessere delle società avanzate, in cui la crisi dei valori e altre
complesse trasformazioni sociali avrebbero letteralmente stravolto il
significato dell’esistenza dell’uomo facendolo per così dire “ripiegare su
se stesso”: è ormai un luogo comune dei mass media definire le
ultime decadi di questo secolo come “l’era del narcisismo

 A
livello culturale

il Narciso può essere inteso: come una “perdita di valori umani”,
viene a mancare l’interesse per l’ambiente, per la qualità della vita, per
i propri simili.

Una
società che sacrifica l’ambiente naturale al profitto e al potere rivela la
sua insensibilità, per le esigenze umane.

Quando
la ricchezza occupa una posizione più alta della saggezza o la notorietà è più
ammirata della dignità e quando il successo è più importante del rispetto di
se allora vuol dire che la cultura stessa sopravvaluta l’immagine e deve
essere ritenuta narcisista.

A
livello individuale:
indica
un disturbo della personalità caratterizzato da un esagerato investimento sulla
propria immagine.(a spese del Se, intendendo per Se secondo A. Lowen sentimenti
e percezioni del proprio corpo).

I
narcisisti sono più preoccupati di come appaiono che non di cosa sentono.

 

Il
quadro clinico


Per
avere un’idea più precisa di cosa si intente per narcisismo in termini
descrittivi, è utile vedere i criteri diagnostici del DSM-IV-TR

In
ambito clinico il concetto di Narciso acquista un significato specifico, nel
campo della patologia esiste infatti un Disturbo narcisistico della personalità,
dove per disturbi della personalità intendiamo disturbi psichici
caratterizzati
da tratti permanenti del carattere che pur essendo patologici, non vengono
avvertiti dal soggetto come aspetti problematici.

I
criteri diagnostici del D.NarcisoD.P secondo il DSM IV sono principalmente:
una
modalità pervasiva di grandiosità, nelle fantasie, nel comportamento ed uno
stile relazionale basato sullo sfruttamento dell’altro.

In
entrambi i casi il soggetto si pone sul palcoscenico e relega gli altri al ruolo
di spettatori sia che decida di occupare la scena prepotentemente reclamando gli
applausi, sia che preferisca restare nascosto dietro le quinte in attesa
dell’occasione propizia al trionfo.

Sia
il Narciso arrogante, che parla senza rivolgersi a nessuno come se fosse davanti
ad un vasto pubblico che il Narciso schivo, che sfugge gli sguardi per difendere
le sue fantasie di grandiosità, proiettano sullo specchio quell’ideale di
perfezione che li allontana da  se
stessi e dal mondo.

Il
termine infatti è etimologicamente connesso alla parola greca Narkè che
significa torpore. Infatti il Narciso è il torpore di chi insegue il miraggio
di un ideale senza riuscire a vedere oltre i vapori delle sue fantasie di
grandiosità.

La
psicoanalista Kerberg afferma che i Narciso non sono in grado di distinguere tra
l’immagine di chi credono di essere e l’immagine di chi effettivamente sono.

 

 

Criteri
diagnostici

 

Per
quanto riguarda i criteri diagnostici secondo il DSM IV TR andando un po’ di
più nel particolare si deve dire che perché sia diagnosticato come disturbo di
personalità è necessario che almeno cinque dei seguenti elementi siano
presenti:

    
1)    
Ha un senso grandioso d’importanza (per es. esagera i risultati e i
talenti, si aspetta di essere notato come superiore senza una adeguata
motivazione)

2)    
E’ assorbito da fantasie illimitate di successo, potere, fascino,
bellezza e amore ideale.

3)    
Crede di poter essere speciale e unico e di dover frequentare e poter
essere capito solo da altre persone speciali o di classe elevata.

4)    
Richiede eccessiva ammirazione

5)    
Ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè la irragionevole
aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie
aspettative.

6)    
Sfruttamento interpersonale

7)    
Mancanza di empatia, è incapace di riconoscere e di identificarsi con i
sentimenti e le necessità degli altri.

8)    
E’ spesso invidioso degli altri o crede che gli altri lo invidino

9)    
Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi

 

Molti
individui di grande successo manifestano tratti di personalità che potrebbero
essere considerati narcisistici, ma soltanto quando questi tratti diventano
inflessibili, maladattativi e persistenti e causano conseguentemente
compromissione funzionale significativa o sofferenza soggettiva, configurano il
quadro che abbiamo descritto come Disturbo narcisistico di personalità.

Manifestazioni
e disturbi associati
:
la vulnerabilità dell’autostima, rende l’individuo con D.NarcisoD.P molto sensibile
alle ferite
dovute alle critiche o alla frustrazione. La critica può
tormentarli e lasciarli umiliati, avviliti, vanificati e svuotati. Tali
esperienze conducono a ritiro sociale o a una parvenza di umiltà che può
mascherare e proteggere la grandiosità.

   
Talvolta il funzionamento professionale può essere molto basso riflettendo
l’avversione ad accettare il rischio        
in situazioni competitive.

Sentimenti
persistenti di umiliazione e vergogna e l’autocritica che li accompagna,
possono associarsi a ritiro sociale, umore depresso, e disturbo distimico o
depressivo maggiore. Al contrario periodi prolungati di grandiosità possono
associarsi con umore ipomaniacale. Il D.NarcisoD.P. può essere associato con
l’anoressia nervosa, con i disturbi correlati a sostanze (specialmente con la
cocaina). Anche altri disturbi di personalità come: Istrionico, Borderline,
Antisociale, Paranoide, possono essere associati al D.NarcisoD.P.

Se
riteniamo inutilizzabile il concetto di narcisismo inteso solo come un eccessivo
amore per se stessi, sia per la superficialità che per la chiara intonazione
moralistica, allora dobbiamo chiederci, nell’utilizzare questo termine, a cosa
esattamente ci riferiamo.

 In
quanto medico psichiatra la mia ottica è orientata sul D.NarcisoD.P.

Ma
per fare chiarezza e proporre un discorso univoco sul narcisismo, mi sembra
necessario partire da due ipotesi.

La
prima è che il Narciso è strettamente correlato, in senso genetico e
psicodinamico con la formazione e la struttura dell’Io.

   
La seconda è che la patologia non si esaurisce esclusivamente nel cosiddetto D.NarcisoD.P.
ma pur con tratti diversificati può attraversare una gran parte della
psicopatologia.

   
In Psicologia la storia del Narciso viene in genere fatta risalire a Freud
con il suo lavoro del 1914            
“Introduzione al Narcisismo”; studio finalizzato ad opporsi alle critiche di
Jung circa l’impossibilità di applicare la teoria della libido per spiegare
la psicosi schizofrenica.

 

 

Sigmund
Freud

Freud
parti dall’osservazione che in origine il termine Narciso era riferito a quei
soggetti che derivano una soddisfazione erotica dalla contemplazione del proprio
corpo, si accorse che molti aspetti di questo atteggiamento potevano essere
riscontrati nella maggior parte delle persone, quindi pensò che il Narciso
potesse far parte del normale decorso dello sviluppo sessuale.

 Secondo
Freud noi abbiamo originariamente due oggetti sessuali: noi stessi e la persona
che si prende cura di noi (madre). Questa convinzione nasce dall’osservazione
che un bambino può derivare piacere erotico dal proprio corpo come anche da
quello della madre. Pensando a questo Freud ipotizzò che un “narcisismo
primario
” sia presente in ogni essere umano, Narciso che può per alcuni
rivelarsi l’elemento dominante della scelta oggettuale.

Con
Narcisismo primario Freud intende quello stato precoce in cui il bambino investe
tutta la sua libido in se stesso prima di scegliere degli oggetti esterni.

Con
narcisismo secondario Freud indica indica al contrario un ripiegamento sull’Io
della libido che verrebbe cosi sottratta ai suoi investimenti oggettuali.

Il
problema è : se esiste una fase normale di narcisismo primario, come avvenga
nello sviluppo patologico il fallimento dell’evoluzione da una fase di amore
di se (narcisismo primario) all’amore d’oggetto(diretto verso gli altri).


implicito in questo fallimento una mancanza che blocca la normale
crescita.

 Altri
autori negli anni successivi hanno chiarito meglio di Freud in che cosa consista
questa mancanza e anche se non descrivono direttamente il Narciso
propongono delle dinamiche che risultano importanti per la comprensione di
questa istanza.
 

Il
primo è Fairbairn, che descrive un Io libidico alla ricerca di un
contatto emotivo-affettivo che è presente già alla nascita e un Io
antilibidico che si sviluppa per una cronica indisponibilità emotiva della
madre e che è il frutto del rapporto con l’oggetto rifiutante.

La
tensione che nasce dal conflitto tra questi due aspetti costringe il bambino ad
operare una scissione tramite una funzione definita Io realtà.

La
concezione di Fairbairn propone la psicopatologia come la scissione di un
Io primario unificato e coeso che ha però bisogno di un oggetto gratificante e
di una situazione ambientale favorevole.

Con
la concezione del Sé vero e Sé falso Winnicott amplia successivamente
questa concezione.

 

Donald
Winnicott


“Non
è la soddisfazione istintuale che fa si che il bambino cominci ad essere e a
sentire che la vita è reale e degna di essere vissuta”

(Gioco e realtà). Perché questo succeda è necessaria una holding (azione di
contenimento) che gli permetta di esperire un ambiente affidabile fonte di quel
senso di Se progressivamente emergente che si manifesta come sentimento di
essere vivi, d’integrazione e di personalizzazione. Ma se le situazioni
esterne non sono favorevoli il bambino percepirà ogni esperienza come
interferenza o sopruso. Di fronte a questo vissuto sarà costretto a costruirsi
un falso Se necessario a proteggere il Se vero dallo sfruttamento e
dall’annientamento.

La
madre funge da intermediario con la realtà esterna, è l’area del gioco e
dell’oggetto transizionale che rende possibile la separazione e il ritirarsi
in se stesso.

Un
autore meno conosciuto è Grunberger che nel 1971 pubblica il suo lavoro
sul narcisismo. La tesi centrale è la seguente il Narciso è una energia
psichica che trova origine nello stato di elazione prenatale, costituita da una
perfetta omeostasi in assenza di bisogni, perché questi sono automaticamente
soddisfatti.

Dopo
la nascita il bambino deve affrontare le inevitabili frustrazioni dovute al
rapporto con la realtà, per sopperire al crollo del suo universo narcisistico
ha bisogno di elementi narcisistici provenienti dall’esterno (la madre).

In
un sano sviluppo è necessario che abbia luogo un rapporto dialettico tra la
componente istintuale-pulsionale e la componente narcisistica.

Per
realizzarsi nel modo più favorevole, questa dialettica narcisismo-pulsioni,
dovra appoggiarsi su due momenti o forme relazionali, la prima consiste nella
“valorizzazione narcisistica speculare”, rispecchiandosi nel genitore che
gli conferma attraverso l’amore il narcisismo.

Quest’apporto
(madre) non potrà tuttavia essere sempre completo, di qui la necessità di una
seconda forma di valorizzazione (di solito il padre) alla quale sarà dato un
valore unico ed esclusivo.Essa sarà idealizzata, divenendo il supporto
dell’ideale dell’Io (super Io) per il bambino. D’ora in poi, per amarsi,
dovrà passare attraverso la mediazione di questa formazione ideale.

Quanto
più precoci e intense saranno state le ferite narcisistiche tanto più rigorosa
diventerà questa istanza (super Io) e più difficile l’integrazione con la
componente pulsionale. La distanza tra l’Io e il suo ideale (Super Io) sempre
maggiore porterà a sentimenti di vergogna e a movimenti in senso depressivo
(1971, Studio sulla depressione)

.

Heinz
Kohut

Ma
e’ stato probabilmente Kohut l’autore che ha contribuito in modo decisivo
a stimolare l’interesse attorno al disturbo della personalità narcisista:
autorevole analista di Chicago, e già vice presidente dell’International
Psychoanalytic Association
, Kohut ha ispirato un grosso movimento
all’interno della psicoanalisi definito “Psicologia del Sé”, in
aperto contrasto con la corrente psicoanalitica tradizionale nota come
“Psicologia dell’Io”. Il movimento kohutiano, che secondo alcuni
rappresenta la più potente corrente di dissidenza all’interno della
psicoanalisi contemporanea ha posto al centro della teorizzazione il concetto più
esperienziale fenomenico di Self (il Sé, contrapposto a quello di Io, più
impersonale ed astratto), ha fatto leva su certe debolezze della tecnica
interpretativa classica riproponendo l’importanza di fattori quali
l'”empatia”, ha posto vari interrogativi sulla concezione tradizionale
dei fattori terapeutici della psicoanalisi, e così via. La sua influenza sul
movimento psicoanalitico è stata così grande che, al culmine del successo e
della espansione del movimento della Psicologia del Sé, alcuni addirittura
hanno affermato che Kohut sta a Freud come Einstein sta a Newton, nel senso del
discepolo che ha trasformato la teoria del maestro.

Il
pensiero di Kohut

Ma
vediamo brevemente come Heinz Kohut concepisce la psicodinamica dei
disturbi narcisistici. Kohut [1971, cit.] incominciò col notare due particolari
tipi di transfert nei pazienti narcisistici, che chiamò transfert
“speculare” e transfert “idealizzante”. Nel primo il
paziente esprimerebbe il bisogno di essere ammirato e “rispecchiato”
dal terapeuta, mentre nel secondo esprimerebbe il bisogno complementare di
idealizzare e ammirare il terapeuta stesso. Egli poi postulò che il compito del
terapeuta non è quello di frustrare questi bisogni, magari interpretandoli come
difese, ma quello di accettarli in quanto tali e di corrispondere empaticamente
ad essi per permettere al Sé di svilupparsi. Infatti secondo Kohut la genesi
dei disturbi narcisistici va ricercata in un atteggiamento “poco empatico”
da parte dei genitori che ha provocato l’arresto dello sviluppo a un “Sé
grandioso arcaico”, del quale appunto i due tipi di transfert prima
menzionati sarebbero la riattivazione nel transfert. E’ solo quindi permettendo
al paziente di ripercorrere queste tappe evolutive attraverso un rapporto
empatico col terapeuta, il quale ammira il paziente e permette a sua volta di
farsi ammirare da lui, che il paziente riesce gradualmente a mitigare o
modificare il suo Sé grandioso attraverso quelle che Kohut chiama “internalizzazioni
trasmutanti”.

Già
da questi pochi accenni si può intravedere la radicale diversità della teoria
kohutiana da quella freudiana classica. Kohut concepisce il Sé come qualcosa
che dipende dall’ambiente, che può farlo crescere o arrestare a seconda di
determinate proprie caratteristiche (come l’empatia dei genitori); il conflitto
è quindi tra il Sé e gli oggetti, e non è intrapsichico, come vuole la teoria
classica che postula una conflittualità tra Io, Es e Super-Io (in questo senso
si può dire che Kohut appartenga alla scuola della “teoria delle relazioni
oggettuali”, secondo la quale l’ambiente ha una grossa responsabilità
nella costituzione del soggetto).

Ma
perché si crea e che funzioni assolve questo Sé grandioso arcaico?

Alla
nascita il bambino per mantenere un senso di benessere a fronte delle difficoltà
e delle delusioni della realtà esterna, crea un’immagine grandiosa ed
esibizionistica del Sé (Sé grandioso) che successivamente verrà trasferita su
un oggetto-Sé transizionale che è la madre.

Ed
il bambino può mantenere questa immagine positiva (Sé grandioso), solo se
trova un reale oggetto che gli rinforza questo sentimento.

“L’accettazione
speculare della madre conferma la grandiosità nucleare del bambino; il suo
tenerlo e portarlo in braccio permette esperienze di fusione con l’onnipotenza
idealizzata dell’oggetto-Sé”.

Se
ci sono invece situazioni eccessivamente frustranti, si produce un
arresto evolutivo ed una messa in crisi traumatica del Sé grandioso che si
manifesterà, successivamente, come disturbo narcisistico di personalità.

 

Il pensiero di A.
Lowen

 

Uno
degli studiosi che più di tutti mi ha interessato per le sue teorie e il suo
metodo nella cura dei pazienti con disturbo narcisistico di personalità è A.
Lowen
medico psicoanalista formatosi alla scuola di Wilhelm Reich.

 


  
Alexander Lowen

Lowen
è d’accordo sulla definizione di Narciso come “disturbo della personalità”,
mentre non è d’accordo con Freud quando afferma che esiste un narcisismo
primario, ed interpreta il Narciso patologico come un fallimento del bambino
nella evoluzione dall’amore di se all’amore oggettuale, egli ritiene invece
che ogni forma di Narciso sia secondaria ad una difficoltà relazionale nel
rapporto tra genitore e figlio.

Lowen
è convinto che sia il Narciso dei genitori ad essere proiettato sul figlio.

L’autore
sostiene che il neonato nasce con un Se che è un fenomeno biologico,
Io è invece una organizzazione mentale che cresce e si sviluppa
insieme al bambino.

Il
senso o la coscienza del proprio Se prende forma e si sviluppa man mano che
l’Io mentale si definisce attraverso la consapevolezza.

Es.:
“Io mi sento adirato”

.

I
narcisisti operano una separazione o dissociazione dell’Io dal corpo,
risultandone una personalità scissa in due, una attiva che osserva: l’Io, e
una passiva l’oggetto osservato: il corpo.

Cosi
se sentiamo il nostro corpo entriamo in contatto con il nostro Se, se invece ne
abbiamo un immagine facciamo un contatto indiretto e falso.

Una
persona sana ha entrambe le esperienze e ciò non gli crea problemi, perché
l’immagine e l’esperienza diretta coincidono e vengono accettate.

L’accettazione
di se manca ai narcisisti che investono la propria libido sull’Io e non sul
corpo ritirandola dalle relazioni oggettuali, troncando o falsificando i
rapporti con il mondo esterno.

Alice
Miller

si basa sugli stessi presupposti del pensiero di Lowen, essa ha avuto modo di
verificare, nella lunga esperienza con pazienti narcisisti, come la modalità
relazionale con le figure genitoriali e in special modo come un rapporto non
nutriente con la madre possa determinare un blocco o una distorsione nella
evoluzione del Se autentico del bambino.

Spesso
i genitori non danno un sostegno e un affetto adeguato disconoscendo e non
rispettando l’individualità del proprio figlio, e al tempo stesso con la
seduzione cercano di plasmare il bambino e di farlo corrispondere alla immagine
che se ne sono fatti.

 Il
trattamento dei pazienti narcisisti secondo le tecniche bioenergetiche è
diretto ad aiutarli a essere in contatto con il proprio corpo, a recuperare i
sentimenti soppressi e a riacquistare l’umanità perduta.

Per
fare questo occorre ridurre le tensioni muscolari e le rigidità che impediscono
ai sentimenti e alle sensazioni di esprimersi.

La
chiave della terapia sta nella comprensione, senza di essa nessun
approccio o tecnica terapeutica ha senso o è efficace a livello profondo.

 Tutti
i pazienti hanno un disperato bisogno di qualcuno che li capisca, in quanto da
bambini non furono capiti, considerati e rispettati dai genitori.

Il
terapista che non riesce a capire la pena dei suoi pazienti, a sentire la loro
paura e a conoscere l’intensità della loro lotta per difendere il proprio
equilibrio in una situazione familiare che potrebbe condurre alla pazzia, non
sarà mai in grado di aiutare i pazienti a superare la ferita e il disturbo
narcisistico.

  

Caso
clinico
:
Il caso di Frank

 

  
  Frank aveva poco più di trent’anni quando mi consultò, circa la sua
incapacità di esprimere i sentimenti.

Aveva
un corpo ben fatto, muscoloso: era cresciuto in campagna e lavorava nella
fattoria dei genitori. A scuola aveva praticato la lotta (i lottatori sanno
incassare bene i colpi).

Frank
era il primo di cinque fratelli. “Per quanto riesco a ricordare,” narrò,
“mio padre non sapeva fare altro che gridarmi dietro, darmi dello stupido e
dirmi che “non valevo niente”.

Inoltre
mi picchiava ogni volta che facevo qualcosa che lo infastidiva –sul lavoro, a
tavola e perfino quando dormivo.Una volta, avevo undici anni, mi picchiò con un
tubo di gomma finché crollai sul pavimento pensando che mi volesse uccidere e
sentendo che stavo per morire. Mia madre, che era presente, mi disse: “Frank,
cerca di fare il bravo e fai quello che ti dice tuo padre.”

Durante
il racconto Frank non mostrò tracce di emozione. E’ vero che, avendomi
chiesto un consulto, voleva darmi rapidamente le informazioni necessarie, ma la
sua impassibilità mi sorprese.

Poi
raccontò di un ricordo che risaliva all’infanzia, “ricordo che avevo una
angoscia terribile e mi rotolavo sul pavimento mentre mia madre mi diceva che
ero un bambino cattivo. Non riuscivo a frenarmi, ero incapace di scappare. Mi
sentivo come se fossi posseduto da un spirito maligno.” Sono esperienze che
non possono non lasciare il segno, ma Frank aveva usato tutta la sua volontà
per superare questo vissuto devastante.

“Alle
scuole superiori e all’università,” proseguì, “ero duro e freddo. Dopo
essermi specializzato in psicologia, lavorai in un centro psicosociale, ma avendo
a che fare con gente che aveva dei problemi capii che anche in me c’era
qualcosa che non andava, arrivai al punto che durante un colloquio con un
paziente, mi parve di guardarmi allo specchio, sentivo di avere bisogno di una
terapia ma fu difficile ammettere di fronte a me stesso che in me c’era
davvero qualcosa che non andava.” “Ho dei problemi con le figure autoritarie
e con i pazienti, nei confronti delle prime provo terrore e rabbia, e ora so che
hanno origine dall’esperienza con mio padre. Con i pazienti mi sento superiore
e mi comporto come se sapessi già tutto.Mi accorgo d avere un forte
atteggiamento di sfida, un rifiuto che mi impedisce una qualsiasi azione
positiva. Adesso capisco che blocco me stesso per paura del fallimento e del
successo, che mento a me stesso su chi sono, che non posso concedermi un
intervallo di benessere. Mi è difficile lasciarmi andare all’intimità,
reprimo la rabbia e la collera e mi sono abituato a subire la violenza in
maniera masochistica.”

Il
racconto della brutalità subita da Frank mi sconcertò e mi venne in mente una
domanda: perché non era diventato uno psicopatico? Non avevo dubbi sul fatto
che potesse uccidere ma ero certo che non avrebbe tradotto in azione i suoi
impulsi. Aveva un sufficiente autocontrollo e c’era una incrinatura e non una
scissione nella sua personalità.

Il
consulto era stato deciso per vedere che cosa potessi fare per aiutare Frank a
ritrovare il contatto con la tristezza latente e con la collera che aveva
represso.

Piangere,
per Frank, significava ammettere di non essere capace di incassare. Era
dimostrando di saper sopportare qualsiasi cosa che aveva sconfitto il padre.

Con
l’esperienza che gli derivava dalla sua professione , Frank era in grado di
capire le dinamiche della sua condizione, mi basai dunque su questa
consapevolezza e usai un metodo molto semplice per farlo piangere.

Lo
feci sedere su uno sgabello con le mani protese verso una sedia dietro di lui.


una posizione stancante e se il corpo è rigido può essere anche dolorosa.

Per
resistere allo sforzo il paziente è costretto a respirare più a fondo. La
respirazione profonda carica il corpo di energia, perché permette di introdurre
più ossigeno nei polmoni.

Mentre
era steso sullo sgabello Frank fu incoraggiato ad emettere un suono fino a che
non avesse espulso tutta l’aria dai polmoni. Fare uscire completamente
l’aria agisce contro la tendenza a trattenersi e facilita così
l’espressione dei sentimenti.

Mentre
il paziente emette questo suono prolungato, arriva un punto, verso la fine
dell’espirazione, in cui la voce si rompe.

Il
suono che ne risulta è molto simile ad un singhiozzo, quindi se indugia nel
punto di rottura il paziente comincia a singhiozzare via via sempre più
profondamente man mano che cominciano a fluire i sentimenti soppressi di
tristezza. Questo sfogo si verifica se la persona vi è preparata e l’accetta.

Quando
fece questo esercizio Frank si abbandonò a una tristezza e a un pianto
profondo, tra i singhiozzi espresse anche la pena e la collera che provava.

“Dio
mio, perché mi hai fatto tanto male? Ti odio Come hai potuto farmi questo?”

Il
pianto e le grida durarono diversi minuti e per lui fu una vera conquista.

Ma
Frank aveva bisogno anche di esprimere più completamente la sua
collera……(lavoro sul lettino con pugni e racchetta). Il paziente può
abbandonare il controllo perché sa che c’è il terapista che lo mantiene.

Agli
occhi di chi guarda lo sfogo può sembrare spaventoso e pazienti sembrano dei
pazzi. Ma sono solo infuriati, non folli perché sanno quello che stanno facendo

Per
arrivare a conoscere se stessi i narcisisti devono ammettere la loro paura della
follia e sentire la rabbia omicida che hanno dentro e che identificano con la
follia.

Ma
possono farlo solo se il terapista conosce questi loro aspetti e non ne ha
paura.

La
vera pazzia è quella che loro considerano un segno di equilibrio mentale, cioè
la mancanza di emozioni.

 

 

     Comincia,
piccolo fanciullo,

a
riconoscere dal sorriso tua madre,

comincia
piccolo fanciullo;

a
chi i genitori non sorrisero,

nessun
dio lo degnerà della mensa,

nessuna
dea del suo letto.

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