Focus -
di Cosimo Alberto Russo
La rivolta di questi
giorni a Lhasa e nelle altre province tibetane ha riportato all’attenzione
distratta del pubblico occidentale la questione tibetana. Probabilmente
senza l’avvicinarsi dei giochi olimpici (che avranno luogo in Cina) non si
avrebbe avuta né la rivolta dei tibetani, né il risalto che essa ha sui
mass media. Purtroppo molte inesattezze sono state scritte e dette sulla
situazione in Tibet e sulla sua storia recente. Si legge da molte parti
che l’attuale ribellione è dovuta al desiderio di indipendenza del popolo
tibetano, ma non si dice che il Tibet ERA uno stato indipendente che è
stato occupato militarmente dalla Repubblica popolare cinese nel 1950. La
realtà quindi è data da un movimento di resistenza contro un paese
occupante, movimento di popolo mai sopito dal giorno dell’invasione. Non
si ricordano neanche le stragi compiute dai cinesi nel 1959 e in seguito
con la cosiddetta “rivoluzione culturale” (1966 – 68). In pratica si stima
che 1/6 della popolazione del Tibet sia stato ucciso dai cinesi dal 1950
ad oggi (circa un milione duecentomila persone).
Oggi vivono in esilio,
dispersi in varie parti del mondo ma in gran parte in India, circa 130.000
tibetani. Le condizioni di vita della residua popolazione autoctona delle
province tibetane sotto dominio cinese sono molto dure; vi è stato un
forte flusso migratorio cinese che oggi rappresentano la maggioranza degli
abitanti del Tibet, la cultura e la religione tibetana sono perseguitate e
ridotte alla semiclandestinità. I monasteri sono stati in gran parte
distrutti, i pochi ricostruiti faticano a trovare maestri per una quantità
di giovani oramai in gran parte dimentichi delle loro origini culturali.
Ecco perché il Dalai Lama parla di genocidio culturale.
A tutto ciò va aggiunto il degrado ambientale
portato dai cinesi, con una deforestazione selvaggia (non tutto il Tibet è
un altopiano desolato), attività minerarie (anche nei luoghi sacri per i
tibetani) e la creazione di siti di stoccaggio di scorie atomiche.
Purtroppo la Repubblica popolare cinese è oggi
una potenza economica di cui il mondo occidentale non può fare a meno;
ecco spiegate le quasi inesistenti iniziative dei governi occidentali a
difesa del popolo tibetano. Non fa piacere scriverlo, ma ha ragione il
Dalai Lama nel sentire lo sconforto per qualcosa di terribile che potrebbe
ancora avvenire al suo sfortunato popolo.