
Streghe mentre evocano un temporale -
incisione del XV secolo |
Una donna condannata dalla Santa Inquisizione nel 1617
Margarita: strega a Scicli, infermiera a
Palermo
di Giuseppe Nativo
Il Tribunale dell’Inquisizione spagnola, sin dai primi
anni del suo insediamento in Sicilia (secc. XV- XVI), rivolge la sua attenzione
su tutta una serie di soglie di differenza prevalentemente di tipo
culturale e religioso, caratterizzando, in maniera unitaria, tutti i
territori sotto il dominio della corona iberica e innervando, con il suo
cospicuo ed articolato organico, gran parte degli strati sociali
dell’isola. |
E’ attraverso i vetusti
carteggi inquisitoriali che lo storico entra in contatto con quelle tristi
vicende che hanno contraddistinto l’operatività di quel “santo” Tribunale.
Studiare l’Inquisizione non è un atto neutro. Ci si pone dal punto di vista
delle vittime, ma anche da quello dei giudici per cercare di comprendere perché
hanno operato in quel modo, che cosa ha reso per loro praticabile la via della
violenza o comunque di un severo giudizio nei confronti di quei “diversi”
considerati come forieri di una “devianza” che avrebbe sovvertito gli “standard”
del pensiero ufficiale.
Sul finire del ‘500 il Sant’Uffizio siciliano, su
direttive dell’Organo centrale madrileno (“Consejo de la Suprema y General
Inquisicion”), cerca di avocare a sé – riuscendo nell’intento – la competenza
giuridica a poter giudicare anche altri reati, quali, ad esempio quelli relativi
a pratiche terapeutiche “magico-religiose” o “medico-esorcistiche”,
contraddistinti come “magària” o “hechizeria” (stregoneria). Esempi di ritualità
al confine tra il mondo sensibile e quello “occulto” si rilevano dallo studio
delle “Relaciones de causas” cioè di quelle relazioni, redatte in forma
sintetica, riguardanti i processi inquisitoriali che gli inquisitori
distrettuali trasmettono periodicamente alla citata struttura centrale.
Proprio
da questi carteggi, custoditi presso l’Archivo Historico Nacional di Madrid,
emergono tristi vicende come quella che inizia a Scicli quel 18 agosto dell’anno
domini 1615 con l’arresto di una donna non più giovane. Tra i capi d’imputazione
vi è quello di guarire “algunos enfermos”, attraverso la somministrazione di
pozioni a base di erbe. La sventurata è, dunque, colpevole di “hechizeria”.
Storia d’altri tempi, ma vicenda di ordinaria amministrazione per quel periodo.
Inizia così, stretto nella tenace morsa del processo inquisitorio, il calvario
giudiziario di quella donna “natural de Xicli”. Ad accusarla sono alcuni
“testigos” che – nel segreto dell’istruttoria – “testifican” di aver visto
“Margarita” guarire molte persone, alcune delle quali affetti da “puestoles en
la mano”, pronunziando sacre “orationi”. Interrogata più volte nel corso della
sua carcerazione, durata quasi due anni, a nulla valgono i suoi
tentativi di respingere con forza quanto testimoniato dai segreti
accusatori. |

Strega e diavolo in una incisione
del XV secolo |
Strappata dalla
sua Scicli e deportata a Palermo, vede sempre più lontana la speranza di poter
tornare ad abbracciare il luogo natio. Gli inquisitori chiudono la fase
processuale condannando “Margarita” a “servire murada” (una sorta di arresti
domiciliari) “por cinco anos” presso un nosocomio panormitano. La prassi
inquisitoriale è rispettata. Per “Margarita” la condanna è triplice. Per il
Tribunale dell’Inquisizione siciliana di rito spagnolo lei è una strega. Per la
giustizia ordinaria quella donna, a seguito della sua “attività” di “curatrice”,
è colpevole di esercizio abusivo della professione medica. Per il Tribunale
ecclesiastico si tratta di un’incallita eretica, giacché peccano tutti quelli
che credono “…alli sogni et alli incanti, alli indovini, a stregarie…”.
A Margarita, resasi colpevole
di aver alleviato le sofferenze del popolino, non resta altro che chiedere alle
sue compagne di sventura: “…chi dite che io sia? Strega, eretica o erborista?”.
Giuseppe Nativo
Nota: il presente articolo è stato
pubblicato anche sul quotidiano "La Sicilia" dell'11.9.2006
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