Festa e rito. La foto racconta.
di Giuseppe Nativo
Un palazzolese a
Ragusa che scatta foto dai Nebrodi agli Iblei. Accanito fotoamatore e
studioso delle tradizioni popolari siciliane. Sei lustri trascorsi a
raccogliere un notevole materiale fotografico e magnetofonico. Alle spalle
numerose mostre e non poche pubblicazioni (“Feste del Popolo Siciliano”,
II voll. , 1995-’98; “Una Festa sui Prati – Santa Rosalia”, 1996; CD-Rom
“Natale in Sicilia”, 2004). Tutto ciò risponde al nome di Vincenzo
Giompaolo che, armato della sua inseparabile macchina fotografica,
“scultore dell’immagine”, propone un libro in cui una preziosa raccolta di
foto (circa 200) si coniuga con la chiarezza di un testo che introduce il
lettore nel variegato universo delle tradizioni religiose del patriarca
San Giuseppe. Immagini che si snodano e ripercorrono ideali di un’arte, di
una fotografia non come fredda rappresentazione della realtà ma,
piuttosto, di una calda raffigurazione oggettiva di una tradizione – a
volte folcloristica, a volte religiosa – esistente e spesso poco
conosciuta dalle nuove generazioni.
Questo, in
sintesi, il tessuto espositivo della recente fatica creativa di Giompaolo,
“San Giuseppe in Sicilia. Altari, cene, tavolate” (Utopia Edizioni, 2006,
pp. 221). San Giuseppe, in Sicilia, è un santo famoso, ma anche molto
amato. Protettore dei falegnami, è stato proclamato “patrono” della chiesa
da papa Pio IX nel 1870. Il suo culto è presente in 83 comuni, dei circa
400 che compongono la Trinacria, 15 dei quali lo hanno eletto a loro
patrono. La festa in suo onore rappresenta non solo un momento di
aggregazione, ma anche un momento importante di ritrovo per tutta la
comunità nella quale ciascun individuo si riconosce parte integrante. Uno
dei momenti folcloristici e più esaltanti della festa è il cosiddetto
“banchetto di San Giuseppe” che, in base all’uso locale, prende il nome di
“altare”, “cena” o “tavolata”. Si tratta di tavole, a volte a più ripiani,
trasformate in una sorta di piccole “cappelle” – molto spesso predisposte
per voto – ricchissime di pane dalle svariate forme che rappresentano “a
varva” e “i vastuni ri San Giuseppi”, ma vi sono anche “i iadduzza” e “i
ucciddati”. La tavola, ricolma di numerose pietanze, presenta per tutto il
perimetro dei grossi finocchi i cui pennacchi sono fatti scivolare sulle
svolte. All’ora stabilita per il pranzo, un gruppo di persone (un bambino,
una ragazzina ed un anziano che impersona San Giuseppe), ovvero la Sacra
Famiglia, si dispone davanti alla “cena” (a S. Croce Camerina-Rg), il S.
Giuseppe alza la mano e benedice il cibo dicendo: ‘ncantu ‘ncantu c’è
l’ancilu santu, Patri Figghiu e Spiritu Santu (in ogni cantuccio c’è
l’angelo santo, Padre Figlio e Spirito Santo).
Un momento “festivo” che si ripete in tutto
il territorio siciliano e che Giompaolo cerca, attraverso le sue foto, di
fissarne un frammento, il “baleno dell’immagine”, per valorizzarlo e
rigenerarlo nel tempo.
Giuseppe Nativo
Ragusa, giugno 2006