È la luce a generare le ombre, a definirne i contorni e le
proporzioni; è la luce a scrivere sulla pellicola, ad imprimere
macchie color magenta e ciano e blue. La luce si imprime e si
impressiona; ma poi, nella magia dello sviluppo, la luce
comincia ad impressionare, ad impressionarci.
Ecco, è di queste impressioni che mi interessa scrivere:
tracce, impronte, scie di ombre, frammenti di ricordo impressi
sulla mia memoria di spettatore.
Tutto qui: un incontro la settimana, attraverso una cartella
dattiloscritta, per condividere un’idea di cinema. Forse è un
percorso accidentato, perché fatto di emozioni e sensazioni
provate davanti a uno schermo; ma soprattutto è un discorso
sentimentale, che propone un certo cinema. Lo propone e lo
promuove, ma non lo promoziona (le merci non appassionano!).
Scrivere di cinema è qualcosa che nasce già imperfetto,
tarato. E sterile. Ma scrivere delle emozioni, che la visione di
un film ha generato in me spettatore critico rappresenta la
proposta di uno scambio, di un confronto. Questo è ciò che
offro e cerco: un confronto; un dialogo aperto sul cinema delle
sale o in vhs o in dvd: sul cinema visto e kolossale o sul
cinema invisibile, cancellato ai nostri occhi da una censura
ridicola (de eso
no se abla)…
Ho rubato il titolo di questo spazio, ombre/shadows, all’opera
prima di John Cassavetes: l’unico autore che si può definire
con l’ossimoro di regista indipendente americano.
Cassavetes crede nel frammento per rappresentare la vita; crede
nella libertà sul set, per restituire all’istinto degli
uomini (attori, tecnici, maestranze) l’emozione del gesto
cinematografico. Il cinema di Cassavetes è figlio di
un’ossessione: rappresentare la realtà, esserne non solo
l’impronta, ma il segno, anzi il disegno organizzato dal
pensiero. Ombre, tracce di realtà, contro la sintassi
cinematografica del campo e controcampo, in un continuo gioco di
scavalcamenti e violazioni della concezione e della confezione
cinematografica: cinema controluce.
Per ora basta, more later…
alessandro
de filippo