do
the right thing / fa’ la cosa giusta
di
Spike Lee
(U.S.A.,
1989, 113’)
di Alessandro De Filippo
Brooklyn
è al di là del ponte. Ci sono una serie di ponti che collegano la
periferia di New York al suo centro finanziario e artistico, che prende il
nome di Manhattan. Ponti che non uniscono, bensì delimitano confini
invalicabili tra razze, culture, fasce sociali. Di qua Wall Street, con le
sue strade pulite, colletti bianchi, locali raffinati, il Village con gli
artisti nei loro loft così trendy, Tribeca e i locali jazz; di là
quartieri come Brooklyn, il Queens e, naturalmente, il Bronx. Nomi che
abbiamo sentito decine di volte al cinema e che arrivano a sembrarci
persino familiari in una mappa immaginaria, che l’immaginifica Hollywood
mai si è stancata di tracciare.
Spike
Lee fa un’operazione diversa: ambienta tutta la sua storia in una
strada, anzi un incrocio tra due strade di uno delle decine di ghetti
afroamericani della suburbia di Brooklyn.
Sal,
un italoamericano (“a fuckin’ guido”), in questo ghetto nero ha
costruito la sua pizzeria mentre lentamente si stanno insediando i primi
negozi gestiti da proprietari asiatici. Tutto qui: niente plot, niente
intreccio narrativo, se non l’incomprensione tra chi è diverso e non
vuole capire per paura di capirsi; incomprensione che diventa lotta
verbale, insulto e immediatamente dopo rissa, omicidio, vendetta e
distruzione.
È
stupida la vita in questo maledetto piccolo ghetto di neri poveri e
ignoranti, di italianozzi mangiaspaghetti e un po’ fascisti, di gialli
disperati e violenti, di poliziotti abbrutiti fino a divenire peggio dei
criminali stessi. Non c’è amicizia, non ci sono rapporti interpersonali
che medino sui conflitti tra razze, sui contrasti tra chi ha e chi
vorrebbe avere, sulle contraddizioni economiche e culturali (Frank Sinatra
vs Malcom X). Non c’è amicizia, perché non c’è conoscenza,
incontro, scambio. C’è solo paura. Paura mentre a dicembre dell’anno
duemila un partito politico del Parlamento Italiano, che si chiama Lega,
scende in piazza a Milano contro l’immigrazione; paura ieri quando a
Roma il signor Haider stringeva la mano al Papa; paura pochi giorni fa,
quando il Cardinale Biffi della Chiesa Cattolica Romana sosteneva con una
lettera aperta al quotidiano “La Padania” che la Lega di Bossi era il
Fronte di Liberazione Cattolico contro l’avanzata dell’Islam in
Italia. È solo paura se da un anno circa, dal sito web ufficiale di
Haider è possibile linkare il sito del Ku Klux Klan o dei vari gruppi
neonazisti dell’ex-Germania dell’Est: anche lì si parla di difesa del
patrimonio culturale e religioso europeo, oltre che di difesa della razza.
E fa ancora più paura pensare che l’unica risposta “buonista”, che
siamo stati in grado di proporre in Italia per superare le tensioni
sociali legate alla mescolanza razziale sia stata prima la politica
dell’uguaglianza e poi quella dell’integrazione (termine leggermente
più soft, ma ugualmente pericoloso)...
Crediamo
che si debba guardare oltre questi confini ridicolmente riduttivi del
confronto tra culture: la nuova attenzione, il nuovo rispetto deve essere
riconosciuto proprio riguardo alla diversità, all’essere altro da noi
europei, bianchi, cattolici, socratici, capitalisti; in una parola: il
rispetto va riconosciuto proprio nei confronti dell’altro in quanto
altro. Non tutti uguali, parte di un gruppo, chiusi all’interno di un
circolo di eletti (kuklux,
Ku Klux appunto), ma tutti diversi e diversamente diversi.
alessandro
de filippo
adefi@tiscali.it
agosto
2005