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Stati Uniti: quale futuro? Editoriale del novembre 2004

Editoriale
Novembre 2004

 

Stati Uniti: quale futuro?

 

     Credo che la rielezione di George Bush
non ci debba sorprendere più di tanto. La maggioranza del popolo americano, tornato massicciamente a votare, ha espresso
chiaramente un sentimento comprensibile: PAURA. Dopo l’11
settembre, gli americani vivono un senso di insicurezza forse non paragonabile
ad altri periodi della sua storia. E la paura genera il bisogno di una forte
identificazione, di indiscutibili valori condivisi (Dio, Patria, Famiglia), di
semplificazioni valutative (amico/nemico, bene/male). Forse il problema
centrale, negli USA, è la difficoltà della gente di rappresentarsi il mondo, al di là
delle immagini che gli propongono i “media”. Non è un caso che
l’americano medio sia sorpreso di fronte alla scoperta che nel mondo ha
più nemici che amici e si chieda: perché? I mass-media, anche in assenza di
un vero e
proprio monopolio, non sono certo i migliori informatori dell’opinione pubblica
americana, nonostante la presenza di una grande tradizione giornalistica
di informazione e denuncia. Non è difficile
immaginare che l’americano medio abbia poche possibilità di entrare in
contatto con le immagini shoccanti della fame, delle misere condizioni di vita
in tanta parte della Terra, delle devastanti conseguenze dei bombardamenti a tappeto sulle
“città dei terroristi”. Quale rappresentazione del
mondo può nascere da migliaia di ore trascorse davanti a canali televisivi commerciali,
pieni di “spot pubblicitari” e “reality show”?

     Johan Galtung*, nel 1999,
fece un’interessante previsione: entro 25 anni
l’impero americano sarebbe crollato. Dopo la prima elezione di Bush jr., ridusse tale
termine a 20 anni. Questo grande studioso norvegese basa
le sue previsioni su un’attenta analisi sistemica, fondata sulla teoria delle sinergie delle
contraddizioni sincronizzate
, già verificata precedentemente. Infatti, nel
1980 egli rilevò che l’Unione Sovietica presentava cinque forti
contraddizioni, che l’avrebbero portata al crollo al massimo entro dieci
anni: dopo 9 anni e 10 mesi, nel 1989, ci fu il Crollo del Muro di
Berlino, con tutto ciò che ne seguì. 

    
Nel mese di giugno di quest’anno, lo stesso Galtung, in una conferenza a
Roma, ha presentato le sue nuove valutazione sulle prospettive dell’
“impero americano”. Secondo Galtung, gli USA presentano oggi ben
15 contraddizioni sincronizzate (vedi in dettaglio sul suo sito
www.transcend.org),
che possono avere, entro 15 anni, solo due sbocchi: o  un improbabile
tentativo, nella fase finale, di imporre una dittatura mondiale o un
recupero di razionalità e senso della realtà, che potrà far reinserire
gli USA nel novero dei Paesi “normali”, rispettosi degli altri
popoli, senza più deliri di onnipotenza. 

    
Il primo compito dei veri amici degli americani, diventa così soprattutto
quello di informarli, dicendo loro la verità sulle troppe cose che
ignorano, in particolare della loro politica estera. 

Pippo
Palazzolo

Novembre
2004

*
Johan Galtung è fondatore dell’International Peace Reserch Institute. Docente
di Studi sulla Pace all’Università delle Hawaii, Galtung è anche direttore
del programma ONU Transcend, che si pone l’obiettivo di risolvere in modo
nonviolento i conflitti. Ha ricevuto il Premio Nobel alternativo per la
Pace nel 1987 ed è autore di una vastissima produzione sulle possibilità
di risoluzione nonviolenta dei conflitti. Alcuni dei suoi libri sono stati
pubblicati in italiano dalle edizioni del Gruppo Abele ed Esperia.

 

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